Andreotti: no, la dc non risorgerà di Paolo GuzzantiEnrico Mattei

Andreotti: no, la de non risorgerà Andreotti: no, la de non risorgerà «Quando vedo il senatur, rimpiango Giorgio La Malfa» v.v.v^IvivXviv: : V IL SENATORE E LE NUOVE MAGGIORANZE SROMA E mi pesa la morte della de? Sentimentalmente sì. Ma razionalmente no. Un partito non può essere eterno». Il cardigan blu sul panciotto grigio su una cravatta azzurrina un po' slacciata, Giulio Andreotti che sta per compiere cinquant'aimi di vita parlamentare, il più longevo uomo di governo del mondo ora caduto in disgrazia ■ e accusato dai giudici di Palermo di collusione con Cosa Nostra, sta serafico dietro la sua scrivania dello studio al Senato della Repubblica. Si sa com'è Andreotti: apparentemente non si scompone mai e neanche le ultime bordate del pentito Marino Mannoia lo hanno scalfito, anche se un po', lo ammette, lo hanno irritato. Siamo andat i a trovarlo non tanto per parlare di mafia e delle sue vicende politico-giudiziarie, quanto per parlare della de. Della de, nel momento in cui i Buttiglione e i Casini sembrano poter ricomporre i pezzi di quel vecchio grande partito che fu egemone. Andreotti cominciò la sua carriera politica da quando la de di De Gasperi nacque e lui, appena laureato, fu sottosegretario nel governo del grande democristiano trentino. Senatore Andreotti, vuol dire che la de aveva senso soltanto come contraltare del pei? «No, per carità. In Germania la de seguita ad essere forte malgrado il crollo del muro e tutto il resto. No, secondo me la de l'hanno ammazzata le coalizioni forzate e il frazionismo delle correnti». E che gliene pare di queste avvisaglie di una nuova de? «Di una nuova de? Mah». Che vuol dire: mah? «Sa, non è una materia che segua moltissimo e non voglio dire cose a vanvera». Ma si tratta pur sempre del suo vecchio partito, non pro. va qualcosa dentro l'anima? «Ma qui i sentimenti non c'entrano, io credo che la storia non si ripeta se non si ripetono le circostanze e non è questo il caso». Insomma, secondo lei, la de è destinata a rinascere, sia pure sotto altre spoglie e se il governo Berlusconi fallisse? «No. Alle restaurazioni non credo. Semmai il discorso si può aprire sulle riforme costituzionali, dove del buon lavoro è già stato fatto». Ha voglia di tornare in gioco? «Io? A gennaio compirò settantasei anni e debbo pensare al giorno che non ha tramonto. E intanto sono impegnato a liberarmi dal trabocchetto in cui anonimi nemici mi hanno fatto inciampare». Parla del processo per mafia? «Parlo di questa vicenda incredibi- le. Sa, io mi sono letto più di diecimila pagine di atti e dentro ho trovato di tutto, anche lo sbarco degli americani in Sicilia, tutta la storia patria. Ma non un fatto, un solo fatto con data, circostanze...». Be' proprio oggi Marino Mannoia ha detto che lei incontrò due volte anche Bontade... «Che è un morto. Tutta la gente che avrei incontrato è morta. Tutti morti. I cugini Salvo sono morti, Lima è morto e anche questo Bontade, ho fatto verificare, è morto». Senta un po', ma questo Lima, che era comunque un suo uomo, non le parlava mai della mafia siciliana? «Lima? Lei forse non l'ha conosciuto: era un uomo talmente asciutto e di poche parole, e così riservato che soltanto dopo la sua morte ho scoperto che andavamo dallo stesso sarto». Che effetto le fa sedere sui banchi dell'opposizione dopo una vita al governo? «Buona. Io non sono un fazioso. E' un'esperienza interessante. Mi dà un po' ai nervi quest'abitudine di scaricare tutti i guai di oggi sul passato, anche le alluvioni e il maltempo». Che effetto le fa sentire i nuovi vincitori parlare di voi come appestati? «Nel Vangelo è il fariseo che dice ogni giorno: io non sono come gli altri. Finisce all'inferno. In realtà, a noi viene rimproverato come vizio quello che invece è una virtù politica, e cioè la mediazione». Se la sente di dire che cos'era questa de? «Sì. Era l'espressione politica dell'anima sociale dei cristiani. Abbiamo cercato di costruire una città in cui non ci fossero differenze abissali fra i redditi e in parte ci siamo riusciti». Ma è stato un partito della grande ammucchiata... «Sono stati motivi di difesa e internazionali ad imporre coalizioni in cui si è smarrita la pari dignità a favore della rappresentatività. In parole povere: il 2 per cento che fa superare il 50 per cento vale quanto il 49. E' questa deformazione che ha ucciso la proporzionale e ha fatto nascere l'idea del sistema maggioritario che fa miracoli. Lo stiamo vedendo. Direi che ha ragione Bartali». Tutto da rifare? «Se non tutto, molto». Ma il maggioritario ha creato la maggioranza. «Mah. Quando vedo Bossi alla te- i levisione mi viene nostalgia di | Giorgio La Malfa». La de che è morta era ancora ; quella di De Gasperi? «Sì e no. De Gasperi suscitava ri- | spetto anche in persone lontane dalla religione e sapeva miscelare alleati molto lontani tra loro». Chi, per esempio? «Oh, uomini come Pella e Vanoni. Penso alla fiducia che dette ad Enrico Mattei, malgrado le scomuniche di don Sturzo. Penso anche al celebre discorso in cui invitò Dossetti a "venire alla stanga"». Lei era l'ombra, di De Gasperi. E' vero che Pacelli lo fece soffrire? «Pio XII era mosso dalla priorità assoluta di salvare l'Italia dalle persecuzioni atroci del comunismo staliniano. E pensava che la chiusura a destra indebolisse il fronte anticomunista. Così, nacque la cosiddetta operazione Sturzo, con i missini in Campidoglio». Beh, stava per arrivarci Fini, che comunque è al governo... «Oggi, quando Fini spiega con la riga e con il compasso che lui e il suo partito hanno più nulla a che fare con il vecchio modello postfascista, offre un elemento importante per valutare quanto allora De Gasperi avesse ragione. Comunque, nell'occasione del ventennale della Conciliazione, nel 1949, Pio XII rivolse a De Gasperi un saluto scritto di suo pugno che è un grande riconoscimento morale di quell'uomo». De Gasperi criticava mai i magistrati? «Ricordava sospirando che un tribunale ordinario lo aveva condannato per tentato espatrio clandestino, senza la minima prova che fosse diretto all'estero». Non capisco: espatriava o no? «Fu arrestato a Orvieto». Quanto pesava allora la politica estera sulla de? «Molto. Nel senso che un uomo come De Gasperi dava alla politica estera la priorità: il suo grande la- I voro è stato quello di riportare l'I- ; talia nella comunità internaziona- ■ le da cui il fascismo l'aveva latta uscire». La de di De Gasperi cacciò socialisti e comunisti, Nenni e Togliatti, dal governo nel ; 1947. Fu perché lo ordinarono gli Usa? «Fu per il radicale dissenso con i due leader di sinistra proprio sulla politica estera. Fu un momento difficile. Metà del partito e forse più pensava che la piazza ci avrebbe travolto, e Sturzo sul Giornale d'Italia appoggiava apertamente un governo Nitti». Con il futuro Presidente della Repubblica Gronchi, De Gasperi era in rotta totale. C'erano questioni personali? «Gronchi era un farfallone nella vita privata e a De Gasperi non andava giù, perché esigeva dalla sua gente un comportamento correttissimo ed austero. Sì, c'era un fatto privato ed era questo». E' un bene o no che i cattolici abbiano un loro partito? «E' da decidere. Adesso i cattolici i dovranno vedere se i valori cui si ispirano possano essere tutelati o meglio tutelati in ordine sparso o con un nucleo organicamente compatto». Crede davvero che qualcuno abbia voluto farla fuori usando i pentiti di malìa? «Beh, sa, è difficile non crederlo. Dal momento che io so di essere del tutto innocente e quelli seguitano a dire un Cumulo di falsità, vuol dire che qualcosa dietro c'è». Pensa siano i servizi segreti americani, come ha già detto? «lo non lo so. Qualche volta accade che i servizi americani, come accade anche in Italia, tendano a fare una politica per conto loro. Non so dirlo. Certo è che si è assistito a una grande operazione fatta di tante parole e nessun fatto. E io adesso devo dedicare questa parte della mia vita a difèndermi da accuse che non stanno in cielo né in terra, per oppormi a quel disegno». Lei che rapporti aveva con il giudice Carnevale detto l'ammazzasentenze? «Proprio nessuno. Quanto alle sue sentenze, io ogni volta che rimetteva in libertà dei mascalzoni dichiaravo pubblicamente, e ci sono le fotocopie degli articoli con 11 itoli che lo testimoniano, che era una vergogna, una offesa al popolo italiano. Quanto a lui personalmente posso dire di non conoscerlo. Lo incontravo sempre ih compagni i di altre persone al premio Fiuggi; non ci siamo mai frequentati, inai incontrati, mai andati io a casa sua o lui a casa mia e non abbiamo mai parlato a quattr'occhi». Ha ancora paura fisicamente? «Beh, si. Che cosa vuole: la lezione che abbiamo imparato è che se vuoi accreditare qualcuno come mafioso, basta ammazzarlo. Questoeun criterio assai poco generoso che hanno usato con molte persone. Bisogna stare attenti all'uso di certi sistemi che fanno parte di un sistema comunicativo...» Che cosa farà Andreotti dopo questo processo? «Scriverò un libro molto accurato su tutto quello che mi è successo, Credo che varrà la pena, almeno per dare un senso a questa persecuzione cosi insistente e stupida». Perché stupida? «Perché quando conobbi Lima, nel 1968, io ero già stato ministro una dozzina di volte ed ero un uomo già in vetta alla carriera politica. Mi spiega lei che genere di interesse potevo avere io a mettermi alla caccia di voti mafiosi? Io ero il deputato più votato d'Italia e credo che un pacato ritorno alla logica e al buon senso non guasterebbe». Paolo Guzzanti I II processo per mafia? «Tutta la gente che dicono avrei incontrato è morta...» Alcide De Gasperi Andreotti fra i cardinali Ruini e Ratzinger Qui accanto: Enrico Mattei e Salvo Lima