«La Falange sulla Uno bianca»

Nell'arsenale dei fratelli Savi i fucili che hanno ucciso i carabinieri al Pilastro Nell'arsenale dei fratelli Savi i fucili che hanno ucciso i carabinieri al Pilastro «la Falange sulla Uno bianca» Perìzia sulle armi smaschera i quattro banditi LO STATO CANCELLI QUELL'OMBRA che lia scandito, nell'indifferenza o quasi degli investigatori, tutti i tatti più strani e più tragici del periodo recente della rivoluzione e della destabilizzazione italiana, dai furti in casa dei politici alle bombe e alle stragi. A caldo, dopo l'arresto dei poliziotti, comprendiamo la cautela del capo e del vicecapo della polizia: tra l'altro, Masone e De Gennaro sono due dirigenti di buona e riconosciuta professionalità, nati e cresciuti nelle squadre mobili, promossi in forza dei risultati del loro lavoro e nominati da pochissimo ai vertici dell'apparato di sicurezza. E' giusto che si preoccupino per l'allarme destato dallo smascheramento della banda della «Uno» bianca, ma è altrettanto logico che evitino generalizzazioni che potrebbero ripercuotersi sull'intero corpo di polizia. Invece, meno comprensibile, e anzi fin troppo rituale, ci appare l'atteggiamento del ministro dell'Interno Roberto Maroni; solo qualche mese fa così severo con il questore e il prefetto di Vicenza, male informati sulle manifestazioni dei naziskin, e oggi attestato sulla linea delle «mele marce" e dei «criminali travestiti da poliziotti»: come se l'unica sua preoccupazione tosse di circoscrivere e minimizzare la gravità di quel che è successo, evitare contraccolpi e limitare le conseguenze politiche del caso. Ma, pur con tutta la prudenza necessaria, la Falange armata che ricompare dietro quei poliziotti arrestati, quei carabinieri ammazzati, quei sei anni di violenza, rapine e razzismo a Bologna, tutto ciò porta con sé una domanda: quella firma, cosi tristemente famosa e in odore di servizi deviati, è messa per sviare o per indirizzare le indagini? E' una risposta die lo Stato deve a se stesso. Marcello Sorgi RIMIMI DAL NOSTRO INVIATO Falange Annata e via Volturno. Sono gli ultimi misteri che nascono attorno alla storia sanguinaria della banda dei fratelli Savi. Forse sono loro quelli della Falange Annata. E per le indagini sull'agguato all'anneria di via Volturno, salta fuori un nuovo, incredibile sospetto: l'ultimo nome segnato sul registro sarebbe proprio quello di uno dei fratelli terribili. Eppure, per quel fatto non fu mai ascoltato, neanche una volta, dagli inquirenti. Certo, ormai è inutile stupirci: poliziotti con trascorsi dubbi lasciati nella sala operativa, un altro che avrebbe dovuto essere il primo dei sospetti trattato invece con i guanti, come se fosse lui la vera vittima dei fratelli sanguinari, chiamato persino a Roma per vedere se si poteva aiutarlo per un trasferimento. L'hanno annestato mentre stava andando a colloquio. Non ci si può più stupire di niente. E le notizie che arrivano ogni giorno sono bombe gettate fra le macerie. Sono davvero loro quelli della Falange Annata? Certo, se la \ finna delle anni fosse una prova che conta, potrebbero essere ancora loro, sempre loro, la banda dei fratelli Savi, dei poliziotti di Rimini e Bologna, il lungo e il corto e i complici folli, per ignavia o per chissà che altro. La pistola che uccise a Lodi l'I 1 aprile del '90 l'educatore carcerario Alberto Mormile sarebbe fra quelle sequestrate ai fratelli Savi. Quell'agguato fu il primo rivendicato dalla Falange Armata, con una telefonata all'Ansa di Bologna. Indizi, ce ne sono, e più di uno: i primi risultati non ancora ufficiali delle perizie balistiche, il fatto che quella sigla abbia poi rivendicato, guardacaso, molti altri delitti della Uno bianca, e un identikit dimenticato nelle carte, che sembra rimandare proprio a Fabio Savi. Smentite anche, chissà quanto convinte. Quella del vicequestore di Rimini Gennaro Arena: «Allo stato attuale delle indagini non sono assolutamente in grado di confermare questa notizia». E quella di Daniele Paci, uno dei sostituti che segue le indagini: «Io per ora non ci credo, ci andrei cauto». C'è per ora la parola della perizia balistica, affidata al superesperto della Polizia scientifica di Roma, Martino Farneti. Il fucile a ripetizione Beretta Arzo che uccise i tre carabinieri al Pilastro la sera del 4 gennaio '91 è lo stesso sequestrato nell'arsenale dei fratelli Roberto e Fabio Savi. Eva Mikula conferma: «Mi raccontò di quei carabinieri ammazzati». Anche la 38 trovata in uno dei covi sarebbe stata utilizzata a Lodi per sparare a Mormile. Tra i due fatti c'è pure uno strano, sottile legame, che potrebbe unificare questa inchiesta a un'altra già in corso. Per il Pilastro è sotto processo l'erga- stolano Marco Medda, assieme ad altri tre giovani. Alberto Mormile, l'educatore carcerario di Lodi, aveva negato permessi a Medda: è sufficiente questo per stabilire un nesso, salvare l'istnittoria bolognese e mettere tutti insieme nello stesso calderone? A Eva Mikula, l'hanno chiesto: il nome Medda ti dice qualcosa? «Mai sentito», ha risposto lei. E la Falange Annata? «Ne ho sentito parlare solo in televisione». Fra smentite, conferme e incertezze, l'inchiesta però segue con decisione anche questa pista. Le perizie si rivelano fonti inesauribili. E le armi dei fratelli Savi una sorta di «storia del crimine». Sempre secondo i primi risultati balistici, la pistola dell'eccidio dei tre carabinieri e dell'omicidio Monnile riporta anche all'assassinio di altri due militari massacrati nella nebbia di Castelmaggiore una notte d'inverno dell'88, Cataldo Stasi e Umberto Erriti. E guarda caso questo duplice delitto porta a un'altra inchiesta su un carabiniere accusato di depistaggio. Non basta. Il fucile a ripetizione Beretta Arzo sarebbe invece stato utilizzato in due assalti a campi nomadi del bolognese nel dicembre '90 e per un altro duplice omicidio durante una rapina a un distributore di benzina a Castelmaggiore. A Rimini aspettano. Altre conferme. E forse nuovi arresti. Proprio per questo magari, negli uffici del Commissariato, la mattinata di domenica è passata fra un vertice e l'altro. Quello, con i magistrati, il procuratore capo Franco Battaglino e il sostituto Daniele Paci. E poi un viavai di investigatori della polizia. E' arrivato Aldo Germana, il nuovo capo della Criminalpol, a colloquio con Arena e Oreste Capocasa. Tanto movimento per che cosa? Per ora le indagini guardano verso gli agenti di Polizia che compravano armi dai fratelli Savi. Così, ne è rimasto coinvolto uno a Peschiera. E un altro adesso a Riccione, della Polstrada. Sui due nomi fatti da Eva Mikula nell'interrogatorio fiume dell'altra notte, invece, un muro di silenzio. In quelle ore, in un'altra stanza, il sostituto Paolo Gengarelli, il capo della mobile Oreste Capocasa e l'ispettore Lancini ascoltavano invece la confessione di Alberto Savi, quello che fino all'ultimo aveva finto di volerli addirittura arrestare i fratelli cattivi: «Ho provato a chiamare Roberto al cellulare», ripeteva ai suoi colleghi, «ma l'ha staccato, quello stronzo». E diceva: «Ha chiamato a casa papà, che sta morendo di crepacuore per lui. Ha avuto la faccia tosta di chiedergli come stava». Ma anche il padre, Giuliano Savi, non era proprio uno stinco di santo. In casa, teneva venti fucili, nella rastrelliera, appena dentro l'uscio. Glieli hanno sequestrati, adesso. Meno male. Lui diceva che li aveva presi per andare a caccia, sparare ai gatti. «E anche per tenere lontani i negri e gli zingari da casa mia». E gli ebrei? «Buoni quelli...». Nel cancello, aveva appeso un cartello: ((Attenti al cane. E al padrone». Poi qualcuno ci aveva disegnato vicino una pistola. Tanto per essere più chiari. Adesso, il patriarca è solo. E' crollato anche il fratello buono, quello che si preoccupava della sua salute e della mamma. «Vai a casa», gli ripetevano i colleghi, «stai tranquillo». Già, e lui scuoteva la testa: «E chi glielo dice ai vecchi che i loro figli sono degli assassini?». L'altro ieri, quando confessava, spiegava che aveva cominciato «per un gioco di gioventù». La prima volta. E le altre? «Perchè loro insistevano, soprattutto Roberto. Era lui quello che mi ordinava di fare i colpi, che mi faceva paura, che mi costringeva». Il capo e il bimbo, ma com'è difficile crederci ancora. Pierangelo Sapegno | 4 ANNI DI SANGUE 1 1 APRILE '90 LODI. Ucciso l'educatore carcerario Alberto Mormile ARMI: Pistola calibro 38 23 DICEMBRE '90 BOLOGNESE. Assalto a un campo nomadi. ARMI: Fucile a ripetizione Beretta Ar-70 morti e 2 feriti 4 GENNAIO '91 BOLOGNA, Pilastro. Assassinati 3 carabinieri ARMI: Fucile a ripetizione Beretta Ar-70, pistole 357 Magnum e calibro 38 2 MAGGIO '91 BOLOGNA .via Volturno. Assassinate 2 persone ARMI: 2 Beretta 98 9x21 24 FEBBRAIO '93 BOLOGNA, zona Predosa. ARMI: 2 Beretta 98 9x21 testimone di una rapina