BISCIONE non mangia STRUZZO

931 931 BISCIONE i ONnon mangia < STRUZZ IMILANO L Biscione non divorerà lo Struzzo. La Mondadori garantirà all'Einaudi autonomia editoriale, ne rispetterà la tradizione. «La nostra storia è li a dimostrare che non facciamo violenze, non siamo colonialisti». Parola del presidente di Segrete, Leonardo Mondadori, nipote di Arnoldo, figlio di Mimma, milanese e milanista, 48 anni, laurea in filosofia, in azienda dal 72, unico e ultimo a portare il nome di famiglia, editore in proprio dall'88 con l'omonima Leonardo. Allora, presidente, perché avete comprato da Giorgio Fantoni e Massimo Vitta Zelman il 51% di Elemond: «per forza», come ha dichiarato il vostro amministratore delegato Franco Tato? 0 «per amore», perché lei ci teneva allo Struzzo, come si mormora nei corridoi dell'editoria? «C'era in contratto una clausola precisa: se chi aveva il 51 voleva vendere, chi aveva il 49 era obbligato a comprare. Quindi il nostro era un atto dovuto. Detto questo, l'Einaudi è un grosso tesoro da salvaguardare. Innanzitutto per una ragione capitalistica: nessun imprenditore investirebbe soldi in un'azienda per svuotarla o peggio distruggerla. L'altro giorno ho comprato in libreria l'ultimo dei Millenni, Le fiabe campane di Roberto De Simone: lì c'è tutto Einaudi, dieci anni di lavoro, una qualità assoluta e a quel che mi dicono è già anche un successo commerciale. L'ho sfogliato, guardato, annusato, ho provato brividi di piacere. Voglio provarli il più a lungo possibile». Dunque lei rassicura chi teme che lo Struzzo venga riorganizzato per poi rivenderlo? «Al contrario, noi voghamo garantire stabilità. Noi possiamo dare all'Einaudi quello che le è mancato: la cultura d'azienda, una corretta gestione dei conti, un know how di logistica e di sistemi che esalterà la qualità Einaudi». Se ne occuperà lei? «Non in termini di gestione diretta: qui si confermerà l'autonomia della casa editrice e dei suoi dirigenti. Un'autonomia ovviamente verificata nei risultati. Perché non voghamo produrre perdite, ma far coesistere la cultura con la certezza del profitto». Con questo criterio Giulio Einaudi non avrebbe mai pubblicato il suo Sraffa... «Sappiamo bene che l'Einaudi è una delle poche case editrici il cui fatturato dipende per oltre il 60% dal catalogo. Non pretendiamo profitti a breve. Ogni titolo ha una sua storia. Ma la politica culturale deve sempre trovare nel mercato il suo riferimento. Naturalmente, sappiamo pure che Einaudi ha un suo specifi- Giulio Bollati: «Dell'editoria di cultura si parlerà ancora? C'è quasi da augurarsi di no. Meglio la stupidità che un'ulteriore degradazione di quella che un tempo lontano fu detta civiltà italiana». E si chiede se debba ancora difendere un pezzo della sua vita, 0 «sono tutto da buttare». Pessimismo eccessivo quello di Bollati? Forse, j anche se la medesima domanda io i me la sia posta spesso e non solo da oggi, se si pensa che ho vissuto con questa casa editrice durante il ! fascismo, la resistenza, ho accom- I pagliato la sua crescita lottando colle banche, cogli azionisti, coi commissari governativi, per arrivare a una sistemazione che pareva definitiva in seno alla Elemond di Giorgio Fantoni associato prima a Carlo De Benedetti e in seguito, senza volerlo, alla Fininvest. Mi illudevo che tutto fosse tranquillo sino al 2003, ma i dadi sono suiti tratti ora. La legge del mercato, ha detto il solito Sergio Ricossa, che non vuole capire che la legge del mercato non c'entra nulla in questa lotta per la conquista del mercato. Carlo Ginzburg non ci sta. E ha dichiarato che la casa editrice fondata da Giulio Einaudi e da suo padre, Leone, non esiste più. Affermazione che fa riflettere, che mi ha colpito, anche se da allora i tempi sono mutati. Ma da lui non accetto un'accusa, neppure tanto larvata, di malafede, indirizzata a quanti non riconoscono in questo passaggio di proprietà una «cesura» col passato. E chi lo nega? Cesura col passato c'è. Occorre lavorare per non perdere l'identità di questa casa editrice, confidando che la nuova proprietà si attenga a una sana amministrazione, nel rispetto reciproco delle competenze, di programma gli uni, di amministrazione gli altri. E' celebre l'abilità di Franco Tato nel far quadrare i conti, non solo, ed è nota altresì la sua autonomia da Silvio Berlusconi, il quale ultimo si è trovato quasi a sorpresa nel suo portafoglio azionario la Elemond e di conseguenza l'Einaudi. La vicinanza, chiamiamola vicinanza, perché tale vorrei solo che fosse, di un colosso qual è la Mondadori, porrà alla Einaudi problemi nuovi, problemi sovrattutto di libertà nelle scelte, di libertà di indirizzo. Rispondo citando Machiavelli: «Se non vuol perdere la libertà, un popolo deve tenerci le mani sopra». Inviterei tutti, autori lettori redattori dirigenti della casa editrice, a seguire l'indicazione di Machiavelli, che vale per noi, come in questo momento vale Parla Leonardo Mondadori: «Non faremo come Rizzoli con Bompiani sfideremo Adelphi i co mercato, un pubblico speciale». Giulio Einaudi ha dichiarato di voler garanzie precise e formali per restare al pro- Erio posto. Lei gli a già parlato? «Certo. Gh ho chiesto di continuare a essere presidente. Perché lui rappresenta l'origine e la continuità». Anche se Fantoni e molti altri ripetono che «i conti non sono mai stati il suo forte»? «0 si fa i mecenati o si è imprenditori: quando si conduce un'azienda con più di 2 dipendenti si ha il dovere etico di far tornare i conti. Questo non signfica fare dei "libri no", come li chiama Einaudi. Sono convinto di poter fare dei "libri sì", guadagnando. Mentre l'Einaudi perdeva soldi. Per molte ragioni. Ad esempio il costo della loro distribuzione è superiore di 5-7 punti rispetto a quella Mondadori, il che incide non poco su un fatturato di 45 miliardi». C'è un contratto con le Messaggerie. Ha forse intenzione di romperlo? «Figuriamoci. Con i rapporti che abbiamo con Mauri, poi. Dura fino al '98. Volevo solo far capire che, potenzialmente, già oggi l'Einaudi potrebbe non perdere». Sapete già come ristrutturare? Ci saranno tagli? «Non conosciamo la situazione dall'interno. Presto una nostra task force farà una fotografia di tutta l'Elemond, poi tireremo le nostre conclusioni. La sede Einaudi rimarrà a Torino. Se verificheremo che ci sono 5 posti in più o 5 assunzioni da fare, ci comporteremo come sempre in Mondadori, massima chiarezza di programmi e totale correttezza con i sindacati». C'è chi teme che la sinergia Mondadori-Einaudi possa significare scorpori e mutazioni di collane. «Solo una politica di collaborazione editoriale, di comune accordo, senza snaturare nulla. Ad esempio i Tascabili Einaudi hanno acquisito una loro identità. Il che non significa possa esserci qualche utile scambio con gli Oscar. Per dire: un Pavese con Mondadori e un Garcia Màrquez con Einaudi. Un altro esempio: forse titoli di Comunità, della Fondazione Valla o della Ricciardi potrebbero essere meglio promossi nel catalogo, e attraverso la rete rateale, di Einaudi. Quanto alla loro

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