Il terribile silenzio di Knjn di Giuseppe Zaccaria

Il terribile silenzio di Knjn Il terribile silenzio di Knjn Tra i miliziani che meditano vendetta LE TRINCEE DELL'ODIO E' ZAGABRIA stata la più grande operazione bellica che la Nato abbia posto in essere nel suo mezzo secolo di vita. Il più grande spiegamento di forze e tecnologia mai esercitato dalle forze armate d'Europa. La prima azione europea in territorio croato. Se però se ne considerano gli effetti, anche uno dei più grandi «bluff» di questi anni, pure sprofondati nella civiltà della rappresentazione. Dal primo pomeriggio di ieri, dopo un intervento che tutto il mondo attendeva, la «Sao-Krajina», piccola e agguerrita repubblica missilistico-contadina, può lamentare qualche ferito, un aeroporto in disuso, ma non un solo jet in meno. Come un culturista timoroso di graffiarsi, o di vedere il suo pubblico sottoposto a vendette, la forza aerea Nato ha esibito mostruosi bicipiti e deltoidi lucidati stando però bene attenta a non provocare reazioni troppo pericolose. Solo chi non conosce la situazione sul terreno poteva attendersi qualcos'altro. Delle ultime ore è la notizia che due caschi blu cecoslovacchi risultavano scomparsi da ieri proprio nella zona di Udbina, e sono poi ricomparsi. Erano rimasti ostaggi di una formazione di miliziani. Gli elementi che preoccupano - e fin dall'altro ieri preoccupavano - i vertici Nato, sono però altri. Il più rilevante: da sabato notte 5 mila caschi blu danesi, polacchi e giordani (più un certo numero di funzionari dell'Onu e dell'Alto commissariato per i rifugiati: fra essi c'è anche un'italiana, Maria Teresa Mauro) sono circondati dalle milizie serbe nella zona di Batnoga. Non è un assedio vero e proprio: piuttosto, una sorta di isolamento preventivo. In attesa del bombardamento Nato, i serbi si erano limitati a chiudere ogni li- nea di comunicazione, a impedire il passaggio di qualsiasi automezzo, anche dell'Onu, che tentasse di entrare o uscire dalla zona. L'area divide con Turanj, in zona d'influenza croata, l'ingrato compito di accogliere il popolo dei fuggitivi di Velika Kladusa. Con queste premesse non è difficile rendersi conto di come l'intervento Nato «dovesse» compiersi col massimo del clamore possibile e col minimo dei rischi. In tre quarti d'ora, jet inglesi, francesi e tedeschi partiti da basi italiane sono entrati in uno dei più agguerriti sistemi di difesa missilistica del Sud Europa e ne sono usciti indenni dopo aver causato qualche danno. Hanno fatto impressione, certo: hanno spiegato che, volendo, la Nato potrebbe chiudere questa guerra con poche azioni decise e qualche forte perdita. Ma intanto un esperto ci ha spiegato che la pista è stata colpita solo in tre punti, che degli impianti radar sono stati distrutte solu quattro postazioni mobili (mentivi le centrali più importanti restano indenni) e che il bottino militare dei jet Nato si concreta in una postazione di missili Sam-6. Non a caso la Krajina, scossa ma non devastata, reagisce con una moderazione fino a ieri impensabile. E' stata davvero curiosa, ieri, la risposta del presidente Milan Martic alla più massiccia incursione mai subita dal suo Paese. Appena 24 ore prima, il leader della repubblichetta di Knjn diceva che «qualsiasi aiuto, anche indiretto, ai combattenti di Bihac» sarebbe stato considerato atto di aggressione, che qualsiasi aggressione avrebbe comportato l'immediato bombardamento di Zagabria con batterie missilistiche assortite. Ieri la «punizione» c'è stata, formalmente dura, ma la risposta di Martic di colpo si è fatta prudente. «La comunità internazionale dichiara l'improbabile leader - ha deciso di condurre un'azione che certo non contribuisce al raggiungimento della pace in questa regione. Il bombardamento dell'ae¬ roporto di Udbina rappresenta un impudente e vandalico attacco alla Krajina, nonostante non esistesse alcuna ragione per farlo». La notizia, come a volte accade, è in fondo. In una dichiarazione che stando le premesse avrebbe dovuto concludersi con un: «E adesso lanciamo missili su Zagabria», Martic ingrana invece una vertiginosa marcia indietro. «L'armata serba di Krajina - dice sta prendendo tutte le misure necessarie a proteggere le installazioni civili e militari da un possibile, nuovo attacco». Questo può significare tutto - compreso l'accerchiamento preventivo dei caschi blu di Batnoga - tranne che una minaccia d'incrudelire il conflitto. Il generale Imra Agatic, dell'aviazione croata, sintetizza così gli effetti del bombardamento di ieri: «L'aeroporto di Ubdina resterà fuori uso solo per un po'. Lo si potrà sistemare in tre, quattro giorni. Sulla pista c'erano una ventina di aerei e dieci elicotteri, e tutti sono rimasti intatti. Insomma, un'azione seria, la prima, ma non decisiva». Lo stesso esperto che ci illustrava gli effetti del bombardamento (esperto croato, beninteso) sintetizzava così l'azione della Nato: uno schiaffo alla mano che ha appena colpito l'avversario, mentre l'altra mano continua a impugnare il mitra. Ieri pomeriggio in una conferenza stampa il plenipotenziario dell'Onu per la ex Jugoslava, Yasushi Akashi, ha fatto sapere due cose. La prima: l'incursione era stata preannunciata con lettere e telefonate a tutti i leader serbi. In ordine temporale: Martic a Knin, Karadzic a Pale, Milosevic a Belgrado. Pare chiarissimo che nella «non reazione» delle Krajine, l'impulso di quest'ultimo sia stato decisivo. Domani Akashi volerà a Belgrado per incontrare i leader delle Krajine e della piccola Jugoslavia. Qualcuno pensa che da questo nuovo passo, Karadzic e i suoi possano uscire un po' più isolati. Giuseppe Zaccaria Paura per cinquemila Caschi blu circondati dalle forze cetniche vicino alla zona dell'attacco Nato

Luoghi citati: Belgrado, Europa, Jugoslavia, Zagabria