Trappola serba per i jet Nato

Trappola serba per i jet Nato LA SECONDA GUERRA JUGOSLAVA Trappola serba per i jet Nato Nella Krajina radar e missili sofisticati ZAGABRIA DAL NOSTRO INVATO Sono quattro anni che la vecchia Jugoslavia consegna al mondo cronache di combattimenti e stragi, e tutto solo per giungere a questo giorno: il momento in cui, dal '45 ad oggi, mai per l'Europa il rischio della guerra era stato così vicino. Ieri alle tredici esatte i 18 mila soldati dell'Onu dislocati in Bosnia ed i 13 mila di Croazia e Krajina sono stati posti in stato di allarme rosso, la condizione di massima allerta. Un intervento aereo della Nato potrebbe scatenare reazioni contro i «caschi blu» (soprattutto norvegesi, svedesi e pakistani, schierati nelle posizioni più esposte). Francia, Gran Bretagna e Spagna continuano a considerare con sempre maggior interesse l'idea di un ritiro dei loro reparti. Ce ne sarebbe già abbastanza per pensare ai prodromi di un terremoto eppure, per quanto strano possa sembrare, le notizie peggiori sono altre. Sembra che da noi se ne siano accorti in pochi, ma a un passo dalle nostre frontiere rischia di resuscitare una mummia, di concretizzarsi uno scenario tratto di peso dalla guerra fredda e rammodernato di quel tanto che basta a renderlo subito rovente. Se vorrà salvare la faccia, questa volta l'Alleanza atlantica dovrà misurarsi con uno dei più agguerriti sistemi di difesa aerea di tutta l'ex area comunista: un arsenale elettronico e missilistico nelle mani di una pattuglia di esaltati. Si temeva potesse accadere in una delle Repubbliche sopravvissute all'impero sovietiche, in vece avviene quasi sulle sponde dell'Adriatico. Radar e missili installati nelle grotte di Pljesevica erano stati progettati dalla Jugoslavia di Tito (assieme con le vicine piste di Ubdina e l'aeroporto sotterraneo di Bihac) come uno dei maggiori impianti militari del Paese. Doveva servire proprio per bloccare un eventuale attacco da Nord Ovest, un attacco Nato. Adesso è sotto il controllo della Sao-Krajina, e da Knjn gli esaltati che, facendo tuonare gli obici, governano quest'assemblea agropastorale, continuano a dire: «Attenti: alla prima aggressione lanceremo missili su Zagabria». Oltre, s'intende, che su eventuali incursori. La base di Pljesevica domina le alture carniche che digradano in direzione di Zara, una settantina di chilometri più ad Est. Tiene sotto controllo lo spazio aereo dell'intera Croazia, di parte della Bosnia ma soprattutto del versante orientale, fino a Fiume e Pola. Se gli aerei Nato tenteranno un'incursione, questa volta non si tratterà di penetrare nei cieli di Bosnia, aperti e praticamente «scoperti», ma di infilarsi in una griglia fittissima dove ogni contatto radar può spingere l'apparato alla reazione. «Il pericolo di una risposta aerea serba è praticamente nullo», ci ò stato spiegato ieri. Nell'aero¬ porto di Ubdina (venti chilometri ad Est della montagna, in direzione della costa) i jet «Galeb» o «Jastreb» a disposizione dei serbi di Knjn dovrebbero essere rimasti in undici, dopo l'abbattimento di quello che l'altro ieri ha devastato un palazzo a Chazin. La dotazione missilistica, al contrario, è notevole: non'solo i vecchi «Luna» o «Volhov» sovietici, ma anche armi di nuova concezione. Sì, perché solo adesso si viene a sapere che gli ultimi rilevamenti hanno dimostrato la concentrazione sul territorio delle Krajine di decine di missili di nuova produzione. Ecco un'altra rivelazione. Chissà perché, i dettagli che più fanno tremare vengono a galla solo quando il pericolo si fa imminente. Basterebbe vedere le ultime foto scattate dagli «Awacks», gli aerei-radar americani: le rampe di missili sono segnate da cerchietti rossi che sulle istantanee delle ultime settimane hanno preso a moltiplicarsi, a invadere il territorio come un'infezione da morbillo. Ognuna di quelle rampe può abbattere un jet occidentale o devastare un quartiere. Ecco perché qualsiasi pressione su un bottone rosso, il minimo sconfinamento, ogni azione meno che perfetta in questo momento potrebbero scatenare reazioni prive di controllo. Lo stato maggiore della Nato si trova in pratica a rispolverare piani d'attacco che risalgono a prima della caduta del Muro, Knjn a interpretare il ruolo di proterva, piccola vendicatrice di uno storico fallimento. Ha sette giorni, l'Alleanza Atlantica, per condurre a termine le sue azioni sorvolando il territorio croato: il «permesso» di Tudjman - si è capito ieri - aura solo una settimana, anche se viene considerato «estensibile». E c'è una ragione precisa anche per questa richiesta di aiuto a tempo: «Se non accadrà nulla, la Croazia si riserva il diritto di difendersi direttamente», dichiara Mario Nobilo, portavoce di Tudjman presso le Nazioni Unite. In questo caso, la presenza di aerei della Nato sul suo territorio potrebbe rivelarsi d'intralcio. Tre anni fa questo Paese possedeva solo due «Mig» che piloti croati avevano strappato all'aviazione federale, uno poi nel febbraio scorso era precipitato. Adesso l'aviazione croata conta sedici «caccia» (volavano per l'aviazione della Ddr), e tutti sanno che altri 32 velivoli da guerra in pochi minuti raggiungerebbero questi cieli dai piccoli aeroporti in cui sono parcheggiati, ai margini del territorio ungherese. Ecco il punto in cui siamo, dopo quattro anni di massacri e distruzione: bisogna cominciare a fare i conti con mezzi, schieramenti, bollettini militari. Ieri sera il portavoce croato alle Nazioni Unite ha dichiarato duro, al telegiornale delle otto: «In nessun caso potremo tollerare la caduta di Bihac». Intorno a Bihac, l'avanzata dei serbo-bosniaci continua. Giuseppe Zaccaria Anche Tudjman pronto a intervenire «Hanno puntato i missili contro Zagabria» Non si ferma l'offensiva delle truppe di Karadzic contro l'enclave di Bihac Cinquemila granate contro la città Una postazione antiaerea musulmana nell'enclave di Bihac Sotto, un aereo del tipo usato dai serbi per bombardare Bihac

Persone citate: Giuseppe Zaccaria, Karadzic, Mario Nobilo, Tudjman