«Voglio rivedere mio figlio»

Nasce a Torino una sede dell'Istituto di studi sulla paternità: «Discriminati dai giudici» Nasce a Torino una sede dell'Istituto di studi sulla paternità: «Discriminati dai giudici» «Voglio rivedere mio figlio» /padri separati: non siamo genitori di serie B IL CASO LA RISCOSSA PADRI alla riscossa. Anche nel Paese della mamma i papà alzano la testa: non ci stanno più ad essere discriminati dai giudici nell'affidamento dei figli dopo la separazione, ad avere contro la psichiatria infantile che dimentica il loro ruolo, a sentirsi «genitori di serie B» di fronte alla donna, nutrice e «padrona» dei bambini. E' un messaggio forte, quello che manda l'Istituto di studi sulla paternità (Isp), fondato qualche anno fa a Roma dal giornalista Maurizio Quilici: ora sta trovando proseliti e ieri è stata presentata al Circolo della stampa la quinta sede, che si apre anche a Torino dopo Roma, Genova, Napoli e Firenze. In gran parte si tratta di padri separati, ciascuno con una storia di soprusi subiti dalla macchina della giustizia, in nome di una sbagliata «deificazione della maternità», o dello stereotipo antico per cui - è stato detto - «si ritiene la donna psicologicamente più adatta a occuparsi dei bambini, tanto che nel 93 per cento dei casi di separazione coniugale vengono affidati a loro». Il grido che lanciano i soci dell'Isp è uno solo: «Non posso vedere mio figlio». Animatore dell'associazione torinese è un medico quarantenne, Mario Fiorellino, con una drammatica separazione alle spalle. Racconta il dottor Fiorellino: «Oggi riesco a stare con i miei figli di 9 e 5 anni, affidati alla madre, due pomeriggi la settimana e li porto a scuola altre tre mattine. Ma è stata una lunga battaglia: sono stato denunciato per ingiurie, convocato dai carabinieri, con scenate di mia moglie davanti all'asilo, che non mi lasciava i bambini perché mancavano pochi minuti alle fatidiche 16,30 fissate dal giudice. Un inferno». Emergono molte altre vicende simili. Come quel genitore che ha impiegato 14 anni per ottenere dai tribunali il riconoscimento di paternità per un figlio avuto da una convivente. Lei l'aveva iscritto all'anagrafe come «figlio di N.N.», ma lui si è opposto. Poche settimane fa la sentenza e la soddisfazione finale: il ragazzo ormai quattordicenne ha deciso di andare a stare con il padre. I primi a rimetterci sono questi minori contesi, oggetto di ripicche tra genitori che non si vogliono più bene, costretti a districarsi tra orari incomprensibili. Come Franco, dodici anni: non può dormire a casa del papà nei weekend stabiliti, perché la mamma ha documentato al giudice che l'ex marito ha una nuova convivente. Così, come un pacco postale, alla sera del sabato rientra dalla madre e poi al mattino della domenica viene riportato dal papà. Quali le ricette per uscire da questa situazione? L'Isp vuole soprattutto ottenere una crescita culturale, con un programma che Quilici definisce non «antifemminista». Ma non si vuole neppure trasformare ogni padre in un «mammo»: «Ci deve essere equilibrio dei ruoli». Come dire: ben venga il nuovo padre che coccola il neonato e ne cambia i pannolini, ma senza arrivare agli eccessi di chi lancia la «lotta di liberazione maschile». A Torino l'associazione si propone di assistere i padri in difficoltà (la sede è aperta il martedì e il giovedì pomeriggio, tel. 31.37.18) e lancia un appello all'Ordine forense: controlli che i legali si impongano sui clienti e non li assecondino nella «persecuzione» di coniugi e figli. Mai più vogliono sentirsi dire: «Faremo stancare suo marito, per qualche anno riusciremo a tenerlo lontano dal bambino». Gigi Padovani «Nel 93 percento dei casi i bambini sono affidati alle madri» B^jSgl La rivista dell'lsp che si batte per I diritti dei padri