NELLA CRUSCA DEL DIAVOLO CE IL COPERCHIO DI FO
NELLA CRUSCA DEL DIAVOLO CE' IL COPERCHIO DI FO NELLA CRUSCA DEL DIAVOLO CE' IL COPERCHIO DI FO le obiezioni, dirò che dissento con tutta l'asanisimasa dalla voce Grammelot, che mi pare proprio sbagliata: Dario Fo non fa del grammelot quando parla nella sua lingua «pan-padana», che è altra cosa; lo fa quando recita l'arringa difensiva dell'avvocato dello stupratore, con tutta la fonologia e l'intonazione inglese ma senza formulare enunciati che esistano effettivamente in quella lingua. Non saranno quest'inesattezza e qualche divergenza di opinioni che mi impediranno di stringere la mano, se me lo consentono, a Paolo Albani e a Berlinghiero Buonarroti, e di dire a voi che, se volete che continuiamo ad andare d'accordo, un libro così dovete averlo nella vostra libreria. Quella in casa. Scrivete a Stefano Bartezzaghi, «La posta in gioco», La Stampa - Tuttolibri, via Marenco 32,10126 Torino. CHANDLER, Raymond e dieci per SALINGER, Jerome David?»; «Quattordici per HAYEZ, Francesco e tredici per BACON, Francis?». Ecco, se le proiettate su un dizionario di lingue immaginarie, queste domande già un po' sciocche producono effetti rabelaisiani. Quattro righe per CARROLL, Lewis e più di una pagina per CHLEBNIKOV, Velimir Vladimorovic? C'è TOGNAZZI, Ugo (certo, per l'immortale «supercazzola», Amici Miei 1975) e non c'è FELLINI, Federico (per l'opera Omnia)? Naturalmente sono questioni oziose: ma l'ozio è il padre del vizio, e mi concedo ancora per un momento il vizio dell'ostinazione. Su CHLEBNIKOV eccetera e altri autori russi è impostata gran parte della voce «Errore di stampa», mentre di SAVINIO Alberto si parla altrove e per altre faccende. Russi per russi, allora andava bene quel vecchio aneddoto raccontato da Vladimir Na- bokov (che è presente per altri motivi): per l'incoronazione di uno zar, un giornale russo invece di korona («corona») scrisse vorona («cornacchia»). Il giorno dopo uscì la correzione, assai imbarazzata. Peccato che neppure in questo caso fu scritto korona, bensì korova («cornuta»). Quando, qualche anno fa, ho saputo che Albani e Berlinghieri stavano preparando questo dizionario, mi sono chiesto come avrebbero impostato il loro lavoro. Vedo ora che sono partiti da un albero: uno «schema analitico delle lingue immaginarie», che le divide in «sacre» e «non sacre», e poi si ramifica in varie categorie, come quella delle Lingue inventate da bambini, o quella delle Pasigrafie filosofiche (cosa sono, lo sapete alla voce, pagina 320). Nel dizionario ci sono venti simboli grafici che assegnano ogni voce all'una o all'altra categoria. Nell'aggirarvi fra le pagine di Aga Magéra Difura potete segui¬ re questi simboli grafici, o seguire le cospicue illustrazioni, o seguire i rimandi, che sono anche trorjpo fitti. C'è una voce per ogni lingua immaginaria, una voce per ogni autore (il testo contiene il proprio indice dei nomi), esempi a prolusione. Se siete interessati alla forma dei libri (non dico il formato), questo libro andrà nello scaffale dei libri che hanno inventato la propria stessa forma, ossia che hanno immaginato la propria lingua. Un esempio di pochi mesi fa è quello sull'uso del modo congiuntivo scritto da Luciano Satta (Ma che modo, Bompiani): in pratica, è un libro di note, che ha il testo in calce. Una delizia. (Ma poi, un libro sul congiuntivo italiano non sarà anch'esso un saggio di lingua immaginaria? Satta dice di no, ci rassicura). Per me, avere calibrato una forma di libro adeguata è un merito non da poco. Nel caso di Albani e Berlinghieri, c'era una dif¬ ficoltà ulteriore: la certezza che ne sarebbe risultata una creatura miope in certe direzioni e presbite in altre. Sugli anagrammi immaginari (per esempio, gli pseudonimi fantasiosi: Ali Oco de Madrigal per Carlo Emilio Gadda), neanche un cenno. L'«ASANISIMASA» (Fellini, Otto e mezzo) che significa ((ANIMA» nel linguaggio infantile conosciuto come «alfabeto serpentino», non esiste. In compenso, si parla del linguaggio «Mescolone» inventato da Francesco Guerini in un suo libro. Lo dico da estimatore sia di Guerini che delle proporzioni. Per farla finita con Stefano Bartezzaghi
Luoghi citati: Torino
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