FELICI PER CASO
FELICI PER CASO FELICI PER CASO Invece di sognare, diminuiamo la sofferenza Il saggio di Natoli e il pamphlet diAcquaviva FELICITA' raggiunta, si cammina / per te su fil di lama». La felicità, sembra dire Montale, è provvisoria, possiede la natura dell'attimo. Ma - nella fine analisi che Salvatore Natoli ne fa nel saggio dedicato appunto a La felicità - è un attimo che vince il tempo, giacché si dà come esperienza di pienezza indicibile o, scrive Leopardi, come «una sorta di piacere infinito». Una sospensione del tempo che si traduce in un sentimento di profonda armonia con se stessi e con il mondo: situazione limite che è più facile sperimentare che descrivere. La fenomenologia dell'innamoramento è forse quella che meglio si presta a evocare l'immagine della felicità, giacché in essa si coniugano la sensazione di un potenziamento illimitato della propria individualità e, paradossalmente, l'impressione di uscire da sé, di fondersi e quasi di perdersi nell'altro, di fluire insieme al fluire stesso della vita; una vita in cui ogni contrasto è abolito e che si dà come energia pura, come piacere sospeso, depurato da ogni pensiero e progetto, sottratto appunto alla schiavitù del tempo. Anche per questo l'amore è associato alla morte, che è il luogo del compimento, della quiete oceanica in cui ogni mutamento, ogni ulteriorità non è neppure pensabile. Con le parole di Hòlderlin, chi è felice entra «dove nessuna forza della terra, / nessun cenno divino ci divide /... dove dimentichiamo pena e tempo./ e non mai misuriamo con il palmo / un povero guadagno». Come tutti sappiamo, la felicità è un dono, qualcosa su cui non abbiamo potere, che ci afferra improvvisa e altrettanto improvvisamente dilegua. Si è felici per caso o, come osserva Natoli, per effetto di una combinazione improbabile tra le disposizioni congiunturali del soggetto e l'altrettanto congiunturale e momentanea capacità che gli oggetti hanno di attivarle. E tuttavia, per quanto aleatoria essa sia, la felicità è un sogno che abita tutti e anche chi mai, o quasi, l'ha provata, ne vive l'assenza come nostalgia di un tempo prima del tempo, il tempo delle origini, di cui l'Eden e l'età dell'oro sono le rappresentazioni mitiche. «C'è stata una patria, ci sarà un ritorno»: abbiamo perso la strada, ma quando essa ci viene incontro, la riconosciamo. Come sanno i mistici, il tema della felicità, della morte e dell'esilio sono tra loro strettamente intrecciati. Ma giacché l'uomo vive nella storia, la felicità è un incidente, e lo stesso uomo che anela alla felicità non vede tuttavia di buon occhio gli incidenti. E difatti Natoli, in questo libro dotto e affascmante, prima descrive, per quanto è possibile, la felicità come esperienza estatica, ma poi in qualche modo la delegittima e le contrappone il concetto di «vita sto punto. Ad esempio, la polemica di Norman Brown contro le sublimazioni («che appagano gli istinti nella stessa misura in cui le carte geografiche soddisfano il desiderio di viaggiare») e il suo progetto di un «Io dionisiaco» esprimono certamente, con il linguaggio dell'utopia, mi forte disagio nei confronti del «realismo» freudiano. E d'altra parte mi autore tanto diverso da Brown come Lacan mostra in tutta la sua tragicità la condizione dell'uomo che, accedendo al mondo simbolico, si realizza socialmente e culturalmente ma anche si aliena senza più speranza di attingere la pienezza originaria. Ciò che manca a questi autori, e a maggior ragione a Freud stesso, è una ulteriore idea di felicità, che non si risolva né nel recupero regressivo della condizione prenatale, né nell'oculata e risparmiatrice virtù dell'adattamento. E' la felicità che si dà quando si riesce a tenere paradossalmente insieme gli opposti di cui la vita umana è intessuta. Essa potrebbe esser definita come la pienezza nella contraddizione. Questo esporsi alla tensione dialettica tra conscio e inconscio, tra collettivo e individuale, è condizione essenziale perché si faccia strada quel sentimento aurorale che è proprio della felicità; in esso inoltre può trovare spazio un'idea di creatività che non sia semplicemente mia estensione della sublimazione come meccanismo di difesa. Forse si parla tanto di felicità perché ce n'è poca. E infatti il sociologo Sabino Àcquaviva pubblica anch'egli mi pamphlet insieme appassionato e poco rigoroso, in cui si occupa della fondazione sociale (organizzativa, giuridica) della vita felice. Constatata la crisi delle ideologie e l'impatto potenzialmente trasformatore delle nuove tecnologie (informatica, telematica, robotica...), Àcquaviva dà la sua ricetta di felicità per la società futura: che sarebbe quella di trasformare i bisogni in diritti. Certo, partire dalle esigenze dell'individuo e dei piccoli gruppi per progettare la società è cosa assai opportuna, ma pure la generosa retorica dell'Autore rischia spesso di presentare come progetto un libro dei sogni; e a volte addirittura di incorrere in utopistiche stravaganze, come quando gli sembra di dover rivendicare come un vero e proprio diritto il bisogno di amare e di essere amati. Figuriamoci!
Persone citate: Brown, Freud, Lacan, Montale, Natoli, Norman Brown, Sabino Àcquaviva, Salvatore Natoli
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