SULLA GIOSTRA DI POLIZIANO

SULLA GIOSTRA DI POLIZIANO SULLA GIOSTRA DI POLIZIANO A cinque secoli dalla morte Ma la ballata è un genere fondamentalmente popolaresco; e tali sono i rispetti e le canzoni a ballo, che il Poliziano scrive con il programma vitalmente umanistico di servirsi di forme, immagini, modi di stile, situazioni, di origine popolare per costruirvi su una poesia di suprema eleganza e di splendido gioco. Molti dei rispetti e delle canzoni sono fortemente intrisi di un'ironica malizia erotica, che si compiace di metafore e allusioni che sdrammatizzano le vicende e le pene amorose e le traducono in avventura, divertimento, piacere dell'abilita della lingua, dei metri, delle sapienti invenzioni. In questo ambito di raffinatissimo gioco sono da mettere anche quei componimenti che capovolgono i consueti temi lirici: la donna vecchia e brutta, la donna fastidiosa, le varie forma di «noia», che riprendono un genere medievale reinventandolo con arguzia fantasiosa. So bene che l'Orfeo è storicamente significativo, anche come veicolo di tanta poesia pastorale in teatro dei secoli successivi: ma è pur vero che l'opera dà l'impressione di una certa fretta di rappresentazione, molto scorciata e anche disarmonica fra i vari momenti del mite. Forse soltanto il baccanale conclusivo, che le Baccanti, dopo aver fatto strazio di Orfeo per punirlo di essersi dato ad amori omosessuali dopo la delusione per aver perso definitivamente Euridice per propria colpa, cantano, ha la vivace bizzarria dei migliori fra i rispetti e le canzoni a ballo. Al di là, ci sono i Miscellanea, in latino, che sono la raccolta di cento discussioni intorno a questioni di critica testuale e di interpretazione di autori latini e greci, vero punto di inizio della filologia moderna su basi rigorosamente scientifiche e MONTEPULCIANO CELEBRA , SUO UOMO RINASCIMENTO tuttora esemplari per metodo e risultati. In un tempo di alquanto confusa e discutibile filologia, qual è il nostro, il modello polizianesco, come ha messo in luce esemplarmente Vittore Branca, si impone come un punto di riferimento assoluto, tanto più che il Poliziano sa usare la filologia, intesa anche come pieno dominio di più lingue e delle loro tradizioni, per un'opera di carattere creativo che non ha uguali nell'ambito umanistico. Basta rileggere i versi latini e gli epigrammi greci, accanto alle rime volgari: le elegie amorose, come In violas a venere mea dono accepta o In Lalagen o l'ode In puellam suam per verificare la continuità dell'esperienza poetica con quella filologica, quale già si rivela nella sapientissima invenzione e mistione di diversi livelli di volgare nei versi italiani (anche in latino il Poliziano sa essere grottesco e bizzarro, come nel poemetto comico Sylva in scabiem nel quale è descritto un immaginario attacco di scabbia, oppure nelle invettive). Ci sono, infine, le quattro Sylvae, che sono di argomento letterario, cioè sono omaggi agli amati Virgilio e Omero. In esse il Poliziano, impreziosendo e rendendo più libero e fantasioso il latino classico, con le riprese e le reminiscenze dei poeti più tardi (come Claudiano), raggiunge uno dei massimi risultati di tutti i tempi di poesia della poesia, che è, al tempo stesso, riflessione sulla natura della poesia stessa, rilevazione e celebrazione dei caratteri e dei valori dei sommi poeti di quella classicità, mai, forse, rivissuta con tanta passione e, insieme, con tanto impegno a gareggiare con essa e rinnovarla con la sapienza e l'impegno dell'intellettuale, del critico, del poeta dei tempi moderni. APARIGI VREBBE dato tutta la sua produzione per una raccolta di versi di René Char o una mezza pagina di Hòlderlin. Ci teneva a dire di non esser mai stato «né freudiano, né marxista, né strutturalista». E non gli piaceva neppure l'etichetta di anarchico libertario perché - diceva - «rifiuto di essere identificato, localizzato dal potere...». Nel dibattito delle idee, Michel Foucault si era imposto clamorosamente all'inizio degli Anni Sessanta con La Storia della Follia, la tesi di laurea in cui, come un «archeologo del silenzio», aveva cercato di ricostruire l'eterno dibattito tra ragione e sragione attraverso la modificazione dei rapporti tra società e folle, ossia il diverso escluso e internato a partire dal XVII secolo. Salutato come «l'intellettuale assoluto», avrebbe continuato a vagabondare in vari campi - dalla letteratura, con la riscoperta di Raymond Roussel, all'antropologia, dall'arte alla musica, dalla sessualità alla morale cercando di tracciare una storia delle idee e delle rappresentazioni fondata sulla dialettica di verità e pensiero, individuo e sapere. Se La Storia della Follia e Nascita della clinica diventeranno una delle bandiere dell'antipsichiatria, Les Mots et les Choses (1964), con la sua tesi della «morte dell'uomo» che sferrava l'attacco contro l'umanesimo sartriano e il marxismo, sarà mterpretato come il manifesto della negazione della rivoluzione. E come tale, in La Chinoise Godard immortalò il volume facendone 0 bersaglio di un lancio di pomodori. Seguiranno, nel 1975, Sorvegliare e punire, nascita della prigione e, l'anno dopo, La volontà di sapere, primo volume del¬ Giorgio Bàrberi Squarotti NP ELLO zoo giornalistico si aggirano coccodrilli e civette, vacche sacre e canards. Ma la tigre è una sola, il cavalier Emilio, Emilio Salgari (accento sulla seconda a, per favore, come dimostrarono, nella biografia del padre di mille eroi, Giovanni Arpino e Roberto Antonetto, e come, supremo verdetto, decretò in mia «stravaganza» il filologo Giorgio Pasquali). Cavaliere, l'altro titolo inossidabile che il grande affabulatore può vantare. Il secondo (o il primo) è «cronista». Lo fa affiorare Silvino Gonzalo nelle pagine che introducono La tigre in redazione (Marsilio, pp. 177, L. 28.000), ovvero quando Salgari campava fine Ottocento - di articolesse per «L'Arena» di Verona, la città natale. Il curatore, ostinato segugio minati i rapporti tra Poliziano e i suoi contemporanei, dal Bembo a Pico della Mirandola al Savonarola, nella Firenze medicea. Proprio agli umanisti di fine Quattrocento è dedicata la mostra aperta per l'occasione a Firenze, alla Biblioteca Laurenziana (mentre La vita quotidiana a Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico è ricostruita nel saggio di Pierre Antonetti, nella Bur Rizzoli, pp. 534, L. 18.000, e l'opera poetica del Poliziano si può leggere nei «Grandi libri» Garzanti).

Luoghi citati: Ello, Firenze, Montepulciano, Pico, Verona