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Prossimamente Prossimamente IL PADRE DELLA P1VETT1 TRA FEDE E MARTIRIO coli, perché eravamo sopravvissuti. La Transnistria fu un'esperienza terribile, ma non era Auschwitz (come si può vedere anche dal numero dei sopravvissuti, il 50%, credo). A differenza di Auschwitz, che era un Lager tedesco, la Transnistria era un Lager romeno, impiantato dalle autorità romene al tempo di Antonescu, per gli ebrei romeni, cittadini dello Stato romeno». In ((Iniziazione» (((Ottobre ore otto») lei rievoca la doppia iniziazione di un adolescente: all'ebraismo (da parte della famiglia) e al comunismo (da parte dello Stato). Il racconto è autobiografico? «Sì. Ero conteso, nell'adolescenza, dall'utopia comunista e dalla tradizione della mia famiglia che, senza essere rli stretta osservanza, conservava alcuni rituali ebraici più importanti. A tredici anni, ero un adolescente comunista, sognatore e focoso, ma la mia famiglia voleva festeggiare, a tutti i costi, la mia maggiore età ebraica, l'ingresso nel mondo degli uomini, secondo la tradizione. A diciassette anni, ero già guarito dalle illusioni comuniste... e non era affatto un merito: bastava non essere ciechi, non essere sedotti dal vizio e dalle avventure della menzogna, non volere a ogni costo una promozione sociale. Il distacco dal comunismo non ha significato, però, il ritorno alla tradizione ebraica. Nel racconto, l'eroe sceglie, alla fine, una terza via, quella della creazione, dell'arte. Sceglie ia chimera della scrittura». Cioran in una lettera diceva: «Dopo cinquant'anni ho di nuovo una terra natale, ma non credo che la sceglierò, perché intanto mi sono abituato a non essere in nessun posto. E forse è meglio così». In un'intervista pubbhcata da «Linea d'Ombra» cinque anni fa lei commentava: «Non sono sicuro che sia meglio così. E' troppo duro. Perché non sape¬ ! w t| N Costantino, un Carlo Ma\ I gno, e ora un Tommaso Moi I I: ro: come dire che non da | Il oggi Paolo Pivetti, regista I—(anche tv), studioso di teatro, fondatore alla fine dei 60 a Milano del Teatro Uomo, autore di una quindicina di libri, scrive drammi che indagano sul rapportoconflitto tra Fede e Potere. Ma certo la pièce dedicata al Cancelliere di Enrico Vili andato al patibolo per fedeltà soprattutto a se stesso, e che la Shakespeare and Company pubblicherà tra breve, appare come la più tempista. Attuale. Parabola lucida del laico credente «chiamato» alla politica, chiamata che, chi la sente, «deve avere il coraggio di affrontare», per portare «la propria testimonianza». Sino al martirio? Al papà-gentleman dell'Irene, come direbbe Bossi, potrebbe apparire più che sufficiente aver dato «un figlio alla Patria». Lo scrii tare romeno Norman Manca: Feltrinelli pubblica quattro racconti col titolo «Un paradiso forzala» I Commentari: destra addio Doveva essere un laboratorio di idee liberal-democratiche, il mensile di cultura, politica e economia Commentari, nato nel novembre '93: invece sotto la direzione di Lucio Lami, (dia preso un indirizzo diverso - spiega l'audace signora milanese Clauda Aldighieri proprietaria della Pascal Editrice - e Ùberaldemocratico era sempre meno». Troppo a destra, è sembrato alla patronne. Che ha detto stop. Coda di chiacchiere: la rivista comprata da Berlusconi? A metà estate, la smentita: non si vende, si ricomincia daccapo. Così a Lami è succeduto, prò tempore, l'ex pei Sergio Scalpelli che ha firmato il numero doppio di settembre-ottobre. A fine '94, se le ultime trattative andranno in porto, restyling, nuovo formato, nuovo direttore, Massimo Teodori (con Scalpelli redattore capo). Teodori sta reclutando, per il comitato di direzione-redazione, una crème di opinionisti come Galli della Loggia, Panebianco, Cafagna, e la lista si annuncia lunga «per fare un giornale che non fiancheggerà nessuna forza politica specifica, ma esprimerà il punto di vista liberale a tutto campo». Con il supporto di collaboratori «effettivi, non solo sulla carta». All'appello mancherebbe solo Marcello Pera con un futuro già impegnato su un fronte analogo e forse concorrente, segratesco. affatto spirito d'avventura e si dimostrarono vulnerabili alle trappole della speranza. Quando, nell'autunno del 1941, fummo ammassati nei carri bestiame che ci portarono al di là del Dnjestr, nei Lager della Transnistria, i miei genitori erano riusciti a prendere con sé il gruzzolo che avevano messo da parte per comprarsi una casa. Ma una casa propria non l'avrebbero mai avuta, neppure dopo la guerra. Dopo le sofferenze in Transnistria, avevano imparato molte cose sulla forza distruttiva della speranza. Ma anche sui suoi mira- sciuto i miei nonni, assai diversi tra loro. Si occupavano, ciascuno, di un elemento essenziale della vita: il libro e il pane. Sono stato più vicino al nonno materno, il libraio, appartenente a una famigla ebrea tradizionale, religiosa, ansiosa e piena di humour: il lato cerebrale e depressivo della famiglia. Questo mio nonno fu deportato con noi ed è morto nel Lager, nel terribile inverno del 1941-42. Ho conosciuto un poco anche l'altro nonno, il fornaio, il tipo dell'ebreo-contadino, che aveva una fattoria con cavalli, mucche e molti bambini: è il lato più sereno ed equilibrato della famiglia, più legato alla natura e alle gioie immediate della vita». L'esperienza della deportazione, che lei ha rievocato in alcuni racconti del volume «Ottobre ore 8» l'ha segnata per sempre. Che cesa accadde in Romania in quegli anni? ((Alla fine degli Anni Trenta, l'antisemitismo romeno era dinamico, esuberante, aggressivo, esercitava una reale forza di seduzione sull'elettorato. In molte famiglie ebree si pose il problema dell'emigrazione. J. miei genitori, però, non avevano
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