LE ESISTENZE MURATE NEL LASER DI FLEUR JAEGGY

LE ESISTENZE MURATE NEL LASER DI FLEUR JAEGGY LE ESISTENZE MURATE NEL LASER DI FLEUR JAEGGY «Lapaura del cielo», i piccoli inferni di una moralista severa TB^w I Fleur Jaeggy mi è S 5k Sia accaduto di ap- n prezzare I beati anmà nB ni del castigo, un H romanzo di rara imB passibilità e cru1;ai fig? deità. Era il reso- ;; il MB conto di una educa;j W zione in collegio, JB^^ della malia esercitata sulla protagonista da una compagna adolescente, irraggiungibile nella sua eleganza distaccata, nel contegno aristocratico, nell'affilatezza intellettuale. Da difendersene, alla fine, con un ripiegamento sulla normalità, lasciandosi sfiorare dalla sfacciataggine, e dalla volgarità, della vita. Pena la caduta nell'infelicità e nella follia, quelle che corteggiavano fin da allora l'altera, silenziosa, reclusa Frédérique. Un romanzo bello, contratto e misterioso, che rimanda le sue luci fredde sui racconti della Jaeggy pubblicati ora, due anni dopo, con il titolo La paura del cielo. Si tratta anche qui di esistenze murate, spesso di bambini e di vecchi, ai quali possono essere ricondotte, per incompiutezza o decadenza, o per le due cose insieme, anche le persone assegnabili a un'altra età anagrafica. Una madre impedisce che la figlioletta venga adottata da una famiglia ricca: non perché non riesca a separarsene, ma perché non vuole che abbia una vita migliore della sua. Perfino la sua amica Johanna ha paura di lei. Quando la sente imprecare, stringe a sé la piccola per farle scudo: «Per nasconderla al cielo». Un'altra donna viene maledetta dal marito macellaio perché gli ha procreato soltanto tre femmine, invece di un maschio che continuasse il suo mestiere. E cerca liberazione, lei «giovenca» sterile, sacrificata, nell'abbandono all'«inerzia sacrale» del paesaggio sotto la neve, ai tempi fermi della vita. Una ex puttana, uscita dal manicomio, uccide a martellate la sua benefattrice che spia, sconvolta e rancorosa, la sua prorompente sessualità. Una anziana domestica strappa la cro- ce di legno dalle mani giunte della madre morta per vendicarsi di lei e impedirle di pregare nell'aldilà. Alla vigilia delle nozze d'oro, una mite signora aiuta il suo uomo a gettarsi dal balcone: la assillava con domande sulla salute, forse non sapeva rassegnarsi che lei stesse bene, intendeva distrarsi con la sua presunta malattia... Questo senso di vita asfittica, prigioniera di piccoli inferni siderali, è sottolineato dall'ambientazione: orfanotrofi, ricoveri, case «gratuite» per emarginati e anziani. Sempre di collegi si tratta, sempre a collegi si allude, apprestati dalla solerte amministrazione elvetica. Perché Fleur Jaeggy rintraccia le sue storie scarnificate nei cantoni tedeschi della Svizzera in cui è nata. L'alpe, il lago, i prati, il cielo teso compaiono in rapidi scorci, ma più conta la luce tagliente - luce nordica, luce protestante - che non concede tregua, che svela come un laser i comportamenti più tortuo¬ si e abnormi sotto l'uggia della quotidianità. C'è qualcosa, in Fleur Jaeggy, che discende dai suoi antenati letterari, tra Keller e Dùrrenmatt, che nella pervasiva solidità borghese scopre la vena segreta della stravaganza, della nevrosi, del crimine. Tutto suo è il modo della scrittura, a brevi periodi e frammenti di periodi, come tagliati nel ghiaccio o nel vetro. E' una nitidezza e parsimonia, la sua, che conferisce alla pagina qualcosa di allucinatorio. L'allucinazione che nasce dallo sguardo troppo insistito e dalla parola non detta, dall'occhio prensile e dalla voce afona. E perfino dallo scarto inatteso dei tempi verbali - passato e presente che insinua il sospetto di un intreccio di voci diverse, voci mentali: «Oziava nel dolore. Tutto è silenzio. Doris non udiva nulla. Neppure il fremito leggero e mansueto delle tendine di pizzo, che sembrano respirare nella brezza». Qualche volta in questo rac- Mio Busi Tanizaki Jun'ichiro Storia di Tomoda e Matsunaga / h dipinto diMalcolm T. Lkpke contare si rischia l'oscurità, ma quando funziona, il risultato è ammirevole. Mi resta da segnalare l'apparizione stregata di certi oggetti-feticci, come i due pigiama sul letto «in attesa di essere abitati» o un cavallino a dondolo che si mette in movimento da solo. E anche l'amara sentenziosità che si annida e affiora imprevista. «Oltre che marcire, i fiori non possono fare altro, non diversamente dagli esseri umani». «Quando gli altri muoiono siamo un poco i loro padroni, i loro tutori». E' una sotterranea vena aforistica che rivela forse in Fleur Jaeggy una moralista severa, che ha pudore e sconforto delle sue proprie parole, che anche lei «ha paura del cielo». Lorenzo Mondo Fleur Jaeggy La paura del cielo Adelphi pp. 113, L 20.000 nito: dove lo lasci tu, lo riprende un altro. Mica te lo dice che è la serializzazione del prosieguo di tutti a scapito della fine di ognuno», «Due uomini che si amano fisicamente è il miglior antidoto contro l'industria bellica». Soltanto a tratti affiora lo scrittore di razza, che usa la parola in funzione narrativa e non puramente masturbatoria: la scena in cui il protagonista invita a pranzo un lurido barbone e la madre intenta a scolare le tagliatelle lo caccia con un urlo lacerante, e il ritratto di Nureyev che, «avvolto in scialli di cachemire e di seta, stava appoggiato allo schienale del divano ma vigile, senza riposo, gli occhi gli nuotavano nella faccia scavata per poi irrigidirsi come quelli di un gufo improvvisamente all'erta». In Busi convivono due anime, una gentile, che si rivela nel gesto di regalare un paio di pattini a un povero ragazzo che gli ha distrutto la macchina posteggiata lasciandogli però un biglietto sul vetro, e una volgare, che antepone sempre il personaggio allo scrittore. La sua volgarità non ha niente a che vedere con l'oscenità, ma nasce dal suo irritante esibizionismo, che sbandiera l'omosessualità come un titolo di vanto e lo allinea alla cialtronesca arroganza di tanti personaggi televisivi. Massimo Romano Aldo Busi Cazzi e canguri (pochissimi i canguri) Frassineto, pp. 203, L 24.500

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