Curo vecchio Zìo d'Americo di Vittorio Zucconi

Curo vecchio Zìo d'Americo Curo vecchio Zìo d'Americo Addio alle sue fulminanti battute RONNIE SUL VIALE DEL TRAMONTO PWASHINGTON ER un uomo che è arrivato a 83 anni sopravvivendo a un melanoma della polle, a un cancro dell'intestino, a un ematoma cerebrale, a cartoni di sigarette Lucky Strike e a un proiettile calibro 32 conficcato nel polmone sinistro, la diagnosi di Morbo di Alzheimer emessa questo week end dai suoi medici, sembra suonare non come una condanna, ma in fondo come un'assoluzione. Quella diagnosi, che lui stesso ha voluto comunicare agli americani con un messaggio scritto a mano, con calligrafia tremante e storta come le letterine che una volta i bambini mettevano sotto i piatti a Natale, è l'ultimo regalo di quel destino, di quel Dio o di quella stella benigna che hanno vegliato sugli 83 anni della sua vita fatata. A Ronald Reagan, al presidente foderato di Teflon sulla cui pelle gli errori, le tragedie, persino i mali più terribili sembravano scorrere via come gocce d'acqua sulle piume di un'anatra, non sarà risparmiata la morte, che neppure un Reagan può evitare, ma la ben più terribile cognizione del dolore e della fine. Nel progressivo, irreversibile spegnersi delle sue cellule cerebrali e dunque del suo spirito provocato dal male, il magnifico attore che ha condizionato un decennio della storia del mondo conoscerà la sorte dei vecchi generali, che non muoiono, ma lentamente si dissolvono nella memoria di sé e degli altri. «E' cominciato il viale del mio tramonto» scrive la mano di Reagan, del «vecchio zio Ronnie» come avevano imparato a conoscerlo gli americani quando vegliava, con la sua aria perennemente divertita e suonata, sopra le sorti della prima potenza militare della Terra. E non poteva trovare una frase - anzi - una battuta più congrua, più rispondente al suo personaggio per annunciare che il sipario della malattia sta calando sulla sua vita. Reagan abita in una traversa del Sunset Boulevard, quel viale del tramonto che da Hollywood si arrampica sulla colline di Beverly Hills prima di precipitare diritto come l'ago di una bussola sul sole che tramonta oltre l'Oceano Pacifico. La sua casa, in Saint Cloud Street, gli fu regalata alla fine dei suoi 8 anni di mandato, da ricchi elettori e amici repubblicani, grati per i favori fiscali che la sua Presidenza aveva diffuso sugli abbienti e si disse che valeva allora, nel 1988, 6 miliardi. Per altri sarebbe stato scandalo, per lui fu una battuta: «Non sarà mica una colpa avere amici ricchi?». Si limitarono, lui e Nancy, superstiziosi come soltanto gli attori sanno essere, a pretendere che fosse cambiato il numero civico della casa: l'originale, il numero 666 era il simbolo numerologico di Satana, nei culti demoniaci. Vade retro. Ma non è solo un'ispirazione topografica quella che ha spinto la mano tremula del vecchio zio d'America a scegliere il Sunset Boulevard il viale del Tramonto come immagine per l'inchino finale al suo pubblico. Gli attori, appunto come i generali, non muoiono, tra- montano. La loro fine non sono gli insulti cardiaci, i mali terminali, gli incidenti, ma il telefono che tace, l'agente che non offre più scritture, il pubblico che dimentica e tradisce. Il Morbo di Alzheimer, questo crudele e ancora strano male che divora la coscienza di sé, la memoria, lo spirito trascinando anche fino a 10 anni l'agonia della mente, garantisce che non vedremo più Reagan recitare, assicura che nessun agente lo scritturerà più. Al massimo vedremo la sua sagoma inconfondibile, ma silenziosa, ai funerali di Stato. «Sarà terribile non tanto per me, quanto per Nancy...» annota la calligrafia, incerta nel tratto quanto sicura nell'intuizione: Ronnie e Nancy facevano coppia fissa, facevano «dit¬ ta» da anni nel cartellone dello show America. Ora lei non potrà fare la parte della Grande Vedova, perché il compagno è pur vivo, ma non potrà neppure esibirsi accanto a un povero ottuagenario rintronato. Non vedremo dunque mai più Nancy suggerirgli le battute alle conferenze stampa quando lui, un po' intontito in verità anche senza l'Alzehimer, perdeva il filo del discorso. Non vedremo più Nancy coprirgli con la mano la zona della testa rapata dai chirurghi che gli drenarono un ematoma da caduta, perché quella chiazza di cuoio capelluto «...fa brutto in TV, lo sai Ronnie...». E non sentiremo più Ronnie pronunciare battute stupende, come quella sera alla Casa Bianca, ospite d'onore Francois Mitterrand, quando Nancy cercò di sedere dopo un brindisi di Stato, sbagliò la sedia, finì a gambe levate in una sfarfallio di gonne, sottogonne e collants davanti alle telecamere. Ronnie la sollevò con aria di gentile rimprovero dicendole «...Nancy, ti avevo pregato di non fare il tuo numero mentre io stavo parlando, per portarmi via il pubblico...... Non sappiamo, perché nessuno sa molto di questo morbo carogna, quanto tempo abbia davanti la mente di Ronald Reagan, quanto tempo impiegheranno a spegnersi le stelle già così vaghe della sua memoria. Non ci sono terapie vere, se non un palliativo temporaneo chiamato Tacrine che serve e non serve ai 4 milioni di americani colpiti dallo stesso male. Ma sappiamo che a noi, all'America e al mondo mancherà qualcosa che solo lui poteva darci: il piacere di avere non un professionista, non un amministratore, non un uomo del destino, ma un simbolo paterno e affettuoso, e in fondo rimbambito come noi, nella stanza dei bottoni. Ci mancheranno le sue boutade, in un mondo della politica tornato improvvisamente torvo dovunque. Dicono che le recitasse soltanto e che lui fosse un interprete, un «vestito vuoto» riempito di parole e in¬ teressi altrui e può darsi. Ma nessuno «script writer» hollywoodiano gli mise in bocca la battuta che mormorò con un filo di voce al chirurgo italoamericano dottor Giordano quando accolse il suo corpo in fin di vita nella sala operatoria del Washington Hospital, dopo l'attentato del 1981: «Dottore, spero tanto che lei abbia votato per me alle ultime elezioni...». Stia tranquillo, lo rassicurò il chirurgo prima di addormentarlo, oggi in questo ospedale siamo tutti Repubbli- cani. Tutti i politici possono pagare scrittori e autori. Solo i politici bravi, e onesti nella mendacità della loro professione, sanno essere credibili, come i grandi attori. E Reagan, il mediocre mestierante di film B nella scioperata giovinezza hollywodiana, il cane eletto alla guida del sindacato attori dai suoi colleghi che sempre scelgono per quell'incarico pericoloso uno che non dia ombra a nessuno, era divenuto il personaggio da Oscar della Casa Bianca, il superbo protagonista di una piece tessuta da 7 anni di boom economico e dalla chiusura senza colpo ferire del teatro concorrente, il Guignol sovietico. Merito? Fortuna? Truffa? Coincidenza? Fate voi. Per altri può bastare una dote minima, eppure tanto rara nei politici, ovunque: la simpatia Reagan era irresistibilmente simpatico, come lo sono a volte i vecchi un po' intontiti, gli ignoranti che non millantano cultura che non posseggono. «Da oggi si spegne una stella», dice Charlton Heston, il Mose suo grande amico. «Provo un enorme dolore», ammette persino Clinton, e magari dice la verità, perché Reagan era simpatico anche a chi lo odiava e lo combatteva. Quando lo incontrai, nel 1990, due anni dopo la sua uscita dalla Casa Bianca, per chiedergli un'intervista nel suo grande e vuoto ufficio in un grattacielo di Century City, accanto a Beverly Hills mi rispose sorridendo che «no», che non voleva dare interviste, che stava perdendo la memoria e non voleva dire sciocchezze. Ma una cosa gli domandai lo stesso, off the record, fra noi, e spero non me ne voglia ora se la riferisco. E' vero che quando Nancy e lei partecipaste al vertice del G7 a Venezia, la sera guardavate i cartoni animati sulle private italiane anziché leggere i poderosi dossier preparati dai diplomatici? E' vero, mi rispose «...perché era l'unica cosa che riuscivamo a capire, non parlando l'italiano...». Mi salutò, scusandosi ancora per la mancata intervista, riassumendomi così la sua vita di pensionato della storia: «Lavoro poco e dormo molto...insomma la mia vita non è cambiata affatto da quando ho lasciato la Casa Bianca...». Le ideologie uccidono, le battute, mai. Che il viale del tramonto ti sia lieve, zio d'America. Vittorio Zucconi