«Dopo il Muro i barbari di Kohl»

«Dopo il Muro i barbari di Kohl» «Ha vinto la differenza tra ricchi e poveri» «Dopo il Muro i barbari di Kohl» L'ultimo premier dell'Est: ci hanno invasi INTERVISTA CINQUE ANNI FA LA SCOMPARSA DELLA DDR BERLINO DAL NOSTRO INVIATO Cinque anni fa, il 9 novembre del 1989, il Muro si apriva: finiva un'era, si sbriciolavano ideologie e sistemi politici. Cinque anni fa, la Germania cominciava la sua corsa all'unità: di fronte a Kohl, in quei giorni roventi, c'era Hans Modrow, ultimo premier comunista (dal novembre '89 al marzo '90) di un Paese che non c'è più. Cinque anni dopo, la fine della Ddr sembra un'ingiustizia della storia o un esito inevitabile, a quest'uomo tornato all'impegno e alla riflessione politica «dall'altra parte», al di là di un Muro invisibile fatto di difficoltà quotidiane, delusioni, incomprensioni, impotenze? «Nella storia non si possono cercare giustizia e ingiustizia: alla fine degli Anni 80 si è messo in moto un processo che ha reso impossibile la sopravvivenza non solo della Ddr, ma anche dell'Urss. Se si vuole davvero parlare di ingiustizia, però, va detto che l'unificazione ha portato molti "svantaggi" alla Ddr: non è stata un'unificazione ma una annessione. E poi, è ancora da chiarire se il processo avviato da Gorbaciov avrebbe potuto lasciare - a noi e all'Urss • una possibilità di sopravvivenza. Il prossimo aprile la perestrojka avrebbe compiuto 10 anni: ricordando quel famoso plenum del partito comunista sovietico, sarà interessante chiedersi che cosa è davvero cambiato da allora. Per capire "se" e "come" un socialismo riformato avrebbe avuto qualche possibilità di successo, o se le sue chanche si erano esaurite. Fin da allora». Vuol dire che l'origine della vostra sconfitta è in quel plenum? Anche Honecker in fondo la pensava così, quando accusava Gorbaciov di avere «tradito» la Ddr. «Rifiuto la tesi che la perestrojka tendesse di per sé a liquidare il socialismo. Non parlerei di un tradimento consapevole, ma non escludo che alcuni passi di Gorbaciov abbiano portato a sviluppi che neanche lui aveva previsto. In fondo la perestrojka non ha mai avuto un vero "concetto economico": e la debolezza dell'economia sovietica, alla metà degli Anni 80, si traduceva nella debolezza obiettiva della Ddr». Ripensando oggi a quei giorni di 5 anni fa, crede che sarebbe stato meglio per tutti una Germania divisa? «Non l'ho mai sostenuto: il primo febbraio del 1990, dopo essermi consultato con Gorbaciov a Mosca presentai un programma di "unificazione graduale". Un processo da compiersi in due o tre anni, nei quali si sarebbe dovuto lavorare insieme. Willy Brandt disse che è omogeneo ciò che cresce insieme: le due Germanie non sono "cresciute insieme", sono state inchiodate insieme. I nostri guai di oggi nascono di qui». Vuol dire che si è corso troppo? «Non solo: l'intero processo di unificazione è stato realizzato secondo falsi principi. Prima di tutto, pensando alla restituzione delle proprietà senza pensare anche ai risarcimenti. Ci sono un milione e mezzo di casi ancora aperti: persone che hanno preteso di riottenere antiche proprietà, senza che fossero assicurati i risarcimenti a coloro che ne erano venuti in possesso negli anni della Ddr. E poi: si è deciso di privatizzare senza pensare al risanamento. Dopo l'unione monetaria, la Treuhand aveva valutato in 600 miliardi di marchi il capitale originario di cui si disponeva all'Est: oggi si è arrivati a trecento miliardi di marchi di debiti. Infine, il trattamento delle persone: il 18 agosto di quest'anno Gorbaciov mi ha scritto una lettera in cui mi assicura di aver negoziato con Kohl per impedire una caccia alle streghe contro i funzionari della Ddr. Che cosa è accaduto, invece? Sono ancora aperti 150 mila processi contro funzionari o cittadini qualsiasi per motivi politici, presunti legami con la Stasi». Che cosa salva del vecchio regime? «Niente di particolare, se si parla di "regime". Ma ci si deve convincere che nel nuovo Stato tedesco le persone vanno accettate anche con la loro biografia di "cittadini della Ddr". Invece, oggi si è spinti a crearsi una nuova immagine». Tornerebbe al passato? «Non ho nostalgie, ma tornerei alle proposte che feci a Kohl: un accordo globale in vista di una confederazione. Nel dicembre dell'89, Francois Mitterrand mi disse che era a favore di uno Sta- I to federale con alla base una nuova Costituzione. Invece che cosa si è fatto? Si è presa «al qua- : le la Costituzione del vecchio Stato occidentale e la si è trasferita alla nuova Germania unificata. Anche il progetto di Costituzione elaborato durante "la tavola rotonda", le trattative che precedettero l'unità, non è stato minimamente preso in considerazione». Cinque anni dopo la fine del Muro, che ne è allora dell'unità tedesca? «Ha vinto l'egoismo, perché le mentalità che si erano sviluppate nei due Paesi non erano compatibili. Ha vinto la distanza fra ricchi e poveri, che cresce a un ritmo spaventoso. Del resto l'unificazione è stata una conquista di tipo coloniale: migliaia di funzionari sono arrivati all'Est dall'Ovest, e ricevono per questo una particolare indennità detta "Busch Zuschlag". Con un riferimento alla storia coloniale, appunto: a chi andava nelle colonie - nelle terre dove abbondava "la boscaglia" - si dava un compenso. E poi basta pensare a poche cifre: l'80 per cento delle imprese in territorio ex Ddr sono nelle mani di occidentali, il 14 per cento in mani straniere, e solo il 6 per cento appartiene a cittadini "orientali"». Fino a quando Est e Ovest resterannno divisi? «Nel Mezzogiorno tedesco, la produzione che nell'89 era stata fissata a 100 all'inizio di quest'anno era scesa a 28. Quanto ci vorrà per uscire da questo baratro? Non basterà una generazione, forse ne serviranno due. Ma occorrerà soprattutto un'altra concezione dello sviluppo: non basta più il principio secondo il quale l'economia di mercato da sola riesce a regolare tutto». Che cosa chiede dunque a Kohl? «Lo sviluppo dell'Est tedesco deve essere legato a quello dei Paesi dell'ex Unione Sovietica. Inoltre si deve costituire una terza Camera parlamentare, formata dai deputati eletti nell'ex Ddr. Infine bisogna liberarsi dai preconcetti politici nei confronti di chi faceva parte dell'amministrazione della Ddr: non bisogna isolare le persone che hanno ricoperto incarichi, anche importanti, nei quali erano competenti. Bisogna integrarle nel processo di ristrutturazione, utilizzarle al meglio delle loro capacità». Si sente un uomo del passato, uno sconfitto? «Non mi sento un perdente, ma un uomo politico che la pensa diversamente dalla classe politica, e che per questo non viene accettato. Non mi sento un "pentito", in questa Germania unita, ma un uomo che ha il diritto di sviluppare il suo modo di vedere le cose. Perché se il comunismo è morto, non è morta una visione socialista del futuro». Emanuele Novazio «Non sono un pentito l'idea socialista non è mai morta» Berlino il 10 novembre '89 A fianco, Modrow j.r ■ m «Ha vinto la differenza tra ric., - •- -• '•• I ■ 9 .-.VX .-*'s .-. . ■■>•::.. «M .-tr**»*n*t.■■■■ ■■ W.>v0.w< ..vv.v.„-,.vw.-..,y,,-.-..vv^ i VÌ)U&h-*fòllÌ. ili . 1*31 \*- ir Berlino il 10 novembre '89 A fianco, Modrow