«Governo delle regole o si perde» di Giuliano Ferrara

Il ministro scrive al premier: governo e opposizione devono lavorare in nome di valori comuni Il ministro scrive al premier: governo e opposizione devono lavorare in nome di valori comuni «Governo delle regole o si perde» Ferrara: Berlusconi, non sei Gengis Khan ROMA. Massimo D'Alema lo chiama «governo delle regole». Umberto Bossi lo definisce «costituente», che è poi la stessa cosa. Mentre la maggioranza attende con il fiato sospeso l'assemblea leghista di Genova, pds e Carroccio discettano già del dopo Berlusconi convinti che con questo esecutivo non si possa por mano a quelle riforme necessarie per sancire il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Perciò Giuliano Ferrara corre ai ripari. E in una lettera aperta al presidente del Consiglio, pubblicata dal Sale 24ore, e poi in un'intervista al Tg3, sollecita il premier a farsi promotore di un'iniziativa per trovare «un accordo» con l'opposizione sulla riscrittura delle regole. Ma quella di Ferrara non è solo una mossa tattica: il ministro per i Rapporti con il Parlamento è stato il primo - anche durante la vicenda della nomina dei commissari Cee - a criticare i metodi eccessivamente spicci della maggioranza. E adesso torna alla carica con le sue riserve: qui, spiega Ferarra, «non vige Gengis Khan, che ha diritto di vita e di morte sulle lande barbariche che ha conquistato: l'Italia non è una terra conquistata da Berlusconi, è una grande repubblica democratica dove chi governa e chi si oppone deve farlo in nome di comuni valori». Un avvertimento al Cavaliere, quindi, e anche alle opposizioni, perché «se continuano a dire che Berlusconi non è legittimato a governare, allora il discorso sulle regole non comincia nemmeno». Ma che cosa propone Ferrara al capo del governo, nella sua lettera aperta? «Caro presidente - scrive il ministro - se non riuscirà a ottenere in tempi brevi, imponendolo a un'opposizione riottosa, un terreno di confronto, per cercare un accordo generale sulle regole, cre- do che si troverà di fronte ad un brutto dilemma: perdere o vincere male». E la prima ipotesi - ammonisce il ministro, per parlar chiaro - comporterebbe anche la perdita della presidenza del Consiglio. Naturalmente, l'iniziativa di Ferrara nulla ha a che spartire con quella che lui definisce la «pasticciata formula istituzionale» proposta da D'Alema. No. il discorso del ministro è assai diverso: l'attuale esecutivo non si tocca e la ricerca di un accordo sulle regole non deve tramutarsi in «un'occasione per fare giochetti astratti», «tipo tolgo Fini e metto Buttiglione», perché il maggioritario ha «co- stituzionalìzzato» An. Ferrara, quindi, individua diversi terreni di accordo con la minoranza. La riforma del sistema elettorale, iniziando da quello delle regionali. E in questo senso il ministro apre al doppio turno. Poi la Rai, l'antitrust e il conflitto di interessi tra il presidente del Consiglio e la proprietà della Fininvest, che Ferrara definisce «una delle anomalie di questa maggioranza». Ancora, con l'opposizione ci si può e ci si deve confrontare sui temi della giustizia, su quelli dell'economia, e sul finanziamento della politica, premessa necessaria per una sua «moralizzazio- ne». Perciò, conclude il ministro, «si ricordi, caro presidente, è a lei che tocca prendere l'iniziativa. E il tempo ormai incalza. Facciamo presto». Ma basterà l'uscita di Ferrara a sopire gli animi di pidiessini e leghisti? A tutta prima sembrerebbe di no. Bossi, infatti, non è soddisfatto nemmeno di quel «contentino» sulla riforma elettorale delle regionali che il Consiglio dei ministri gli ha dato l'altro ieri. Quanto a Botteghe Oscure, Franco Bassanini fa sapere che quella del ministro per i Rapporti con il Parlamento ò solo «un'abile mossa difensiva»: «Non ci bastano - dice - i segnali propagandistici, gli zuccherini». E il capogruppo progressista alla Camera Luigi Berlinguer è talmente scettico da elaborare una nuova tesi: «Gli elettori - osserva - non hanno dato un mandato a questa maggioranza, ma al Parlamento, per riscrivere le regole». E se l'approccio istituzionale del ministro resta, almeno per ora, lettera morta, tanto più cade nel vuoto anche l'iniziativa di Ce¬ sare Previti. Il titolare della Difesa, smessi per una volta i panni del «falco», si inchina a quella che definisce la «realpolitik», e ammette che «in Parlamento non c'è spazio per un turno unico». Un segno di disponibilità nei confronti dell'opposizione, che sembra raccogliere solo Rocco Buttiglione: infatti il segretario del ppi, pur continuando ad agitare il grimaldello del «governo delle regole», intravede un «possibilità di dialogo con Forza Italia» e si dice «convinto» che Berlusconi «arriverà ad un accordo col centro». Buttiglione, però, è un'eccezione. Del resto, come potrebbe far piacere a Bossi sapere che secondo Previti il federalismo lo si deve realizzare con le leggi ordinarie, in questa legislatura, mentre le riforme costituzionali sono rinviate alla prossima? Comunque, un sasso nello stagno è stato gettato, soprattutto da Ferrara. E non ò affatto detto che, nonostante le prime reazioni, le acque restino ferme. Maria Teresa Meli I segretari del pds e del ppi. Massimo D'Alema e Rocco Buttiglione per Giuliano Ferrara ministro Rapporti con il Parlamento