Quel doge fu anche uno 007 incastrò Maometto II di Alvise ZorziSergio Trombetta

Quel doge fu anche uno 007: incastrò Maometto II Gli splendori della Venezia del '500 raccontati da Alvise Zorzi attraverso il romanzo di Andrea Gritti Quel doge fu anche uno 007: incastrò Maometto II Eroe di Tiziano, rivaleggiò in genio e eleganza con i grandi d'Europa i L 29 dicembre del 1523, il doge Gritti era apparso in Maggior Consiglio vestito di un abito nuovo "che a _ tutti dispaceva" e non sembrava della gravità consona all'abbigliamento di un principe. Era una veste di velluto cremisi adorna di pelliccia con un manto foderato e aperto "con le maniche fuori" e berretta ducale anch'essa di velluto cremisi. A distanza di quattrocentosettant'anni e più, è difficile capire il motivo dello scandalo. Forse era soltanto lo choc di una moda difforme dalla tradizione codificata, e che poteva riecheggiare il vestire sontuoso e un poco eccentrico del quale si compiaceva Francesco I di Francia. Ma Carlo d'A- sburgo, l'astro nascente del firmamento europeo, non era da meno con le sue vesti "alla fiarnminga", né lo era Enrico VTII». Nella prima metà del '500 insomma la massima autorità dell'aristocrazia veneziana uguagliava in sfarzo i grandi sovrani europei. E infatti proprio per raccontare questo ruolo, all'inizio secolo tra¬ vagliato e poi trionfante della Serenissima, lo scrittore Alvise Zorzi ha deciso di raccontare il destino di Venezia dalla prospettiva particolare dell'avventura di Andrea Gritti, nel libro II doge, un romanzo vero da cui è tratta la citazione iniziale e che sarà in libreria martedì. Perché Andrea Gritti, oltre a riflettere lo splendore della repubblica marinara, fu l'artefice delle sue fortune nella prima metà del secolo, e con i suoi servigi contribuì a salvarla dai pericoli guerreschi dei turchi prima e dai rischi nefasti della Lega di Cambrai dopo. Splendido e ricco mercante, diplomatico, ambasciatore, uomo d'armi e agente segreto, ritratto dal Tiziano col volto grifagno e in abiti sontuosi nel quadro alla National Gallery di Washington, Andrea Gritti incomincia la sua avventura a Istanbul presso l'insidiosa corte di Maometto n, il conquistatore di Costantinopoli, alla fine del '400. Buon diplomatico in tempo di pace, si trasforma poi in inafferrabile 007, informando segretamente la Serenissima, quando il Turco incomincia ad armarsi per scatenare la guerra contro Venezia. Aperte le ostilità, finisce nelle carceri di Maometto II dove uscirà solamente a guerra conclusa, non senza avere continuato dalla prigione a informare segretamente il Senato dell'attività dei turchi. Tornato in patria eccolo di nuovo pronto a difendere la Repubblica messa in ginocchio dagli attacchi della Lega di Cambrai del 1508, quando Papa Giulio n, Massimiliano d'Asburgo e Luigi XTJ di Francia strappano quasi tutti i possedimenti veneziani di terraferma. Ecco Gritti entrare con uno stratagemma in Padova e riconquistare la città che era in mano agli imperiali. Eccolo comportarsi eroicamente sotto Brescia. Caduto nelle mani dei francesi, lo ritroviamo a Parigi prigioniero ma trattato con tutti gli onori da Luigi XII. Astuto politico, valente uomo d'armi e ricchissimo mercante. Questi tre aspetti di Andrea Gritti corrispondono secondo Alvise Zorzi alle qualità della Venezia cinquecentesca: «E' il momento in cui la città raggiunge il suo massimo splendore, è l'epoca di Tiziano, di Pietro Aretino. Deve ancora passare un secolo prima che si facciano sentire le influenze economicamente negative della scoperta dell'America. E' l'epoca della grande cultura, la città ospita tanti stampatori quanti operavano allora in tutta l'Europa, e del più raffinato erotismo». E questo splendore sarà discusso giovedì prossimo a Venezia, in occasione della presentazione del libro, in un dibattito al quale sarà presente il sindaco Cacciari incen¬ trato su Venezia del '500 e Venezia oggi. Basterebbe un doge Gritti per risollevare le sorti della città insidiata dall'acqua alta, dal degrado ambientale? Alvise Zorzi è convinto di no: «Prima di tutto perché Venezia non è mai stata autocratica, ma retta da un Senato che la governava. Ma soprattutto no perché oggi Venezia non è più padrona del proprio destino, in altri luoghi si prendono le decisioni per lei; manca una classe dirigente in grado di far fronte a situazioni estreme. E' vero, anche ai tempi del Senato veneziano i governanti si perdevano in chiacchiere, ma poi prendevano decisioni Oggi questo non avviene più. E la città va alla deriva». Sergio Trombetta Lo scrittore: «Meglio quei tempi, molte chiacchiere ma poi si decideva» Alvise Zorzi: nel suo ultimo libro il doge Gritti ha le virtù della Venezia cinquecentesca