Un grande illuminista fra storia e politica di Luigi Salvatorelli

Un grande illuminista fra storia e politica la memoria. Ve nt' anni fa moriva Luigi Salvatorelli: il fuoco di un finto freddo Un grande illuminista fra storia e politica Avent'annì dalla morte di Luigi Salvatorelli, mi sembra prima di tutte un doveI re portare la testimonianza I di chi ha avuto, una trentina di anni fa, la fortuna di diventargli amico vero nell'ultimo periodo della sua vita, quando, come accade ai vecchi, gli amici degli anni vissuti sono quasi tutti scomparsi, e gli altri poclù si sono rinchiusi quasi sempre in mia solitudine malinconica o sdegnosa o scontrosa. Sapevo, fin dalle mie lettura giovanili, il passato esemplare di questo grande studioso del cristianesimo, diventato condirettore della Stampa nel momento più difficile e più glorioso di questo giornale, con i suoi articoli di fuoco che bollavano 0 fascismo come Antirisorgimento; e poi era vissuto in dignità e povertà, scrivendo libri di storia risorgimentale e contemporanea. L'amicizia tra noi nacque per il tramite di Carlo Casalegno (che ne aveva sposato la figlia), e soprattutto per la nostra comune collaborazione a questo giornale, a partire dagli Anni 50. Non è vero che egli fosse un uomo freddo, e di un orgoglio scostante. D'indole riservata, senz'altro, e controllata dalla costante razionalità del suo pensiero; ma anche focoso, e a volte ombroso e risentito: ma sempre di una stupenda sincerità, e d'impulsi generosi. Ricordo che una volta (quando ci conoscevamo ancora da pocol, scrissi un articolo su La Stampa intitolato «Quando il Piemonte divenne Italia», nel quale insistevo sul fatto significativo che due grandi storici del piemontese Cavour erano meridionali, Adolfo Omodeo e Rosario Romeo. Egli si risentì perche non avevo fatto il nome di lui, autore di giudizi fondamentali sul grande statista. Ma mi mio immediato chiarimento sul perché di quella mia scelta subito lo rabbonì. E fu l'unica e lievissima nube nei nostri rapporti. Egli anzi volle, con una sincera insistenza che mi commuoveva, che fossi io a recensire le sue opere storiche. Non cercava lodi, ma discussione aperta. Non gli tacqui mai certi miei dubbi o punti di vista non collimanti con i suoi; e nelle sue lettere di volta in volta consentiva o dissentiva, o ribadiva i suoi giudizi con argomenti che spesso mi convinsero. Questo scambio d'idee fu per me un'alta lezione di probità storiografica. Amava discutere a cuore aperto con me, anche perché, allora, ero giudice, non professore di storia, e sapeva che non c'era in me nessuna albagia accademica, anzi una sincera umiltà E gli piaceva che io fossi cosi contento di potere impegnare, su questo giornale, tante piccole battaglie di civiltà giuridica e, in definitiva, di libertà, come per citare qui un solo esempio, con le sue stesse parole - contro «il delitto d onore, residuo di costumi e pregiudizi della più bassa primitività. Io desidererei che il delitto d'onore fosse non una attenuante ma una aggravante; doppia bestialità omicida». Fra le varie lettere che mi scrisse, una più di ogni altra voglio ricordare, quando, sul finire del 1963, recensii la nuova edizione einaudiana di Pensiero e azione del Risorgimento, l'opera apparsa quando il regime fascista era ancora in piedi, nella quale era ripresa, da un suo articolo del 1924, l'equazione tra fascismo e Antirisorgimento: «Poche soddisfazioni ho avuto in vita mia come quella che mi ha procurato il tuo articolo (...). Hai ragione di qualificare quel libretto come una "esplosione": credo di averlo scritto in quindici giorni (...). La tesi: fascismo = Antirisorgimento in tutte lettere era stata enunciata da me in un articolo de La Stampa del luglio - salvo errore - 1924. Del resto tu stesso hai accennato ai precedenti. Ricordo che quell'articolo mi procurò mi particolare elogio di Croce, piuttosto scarso abitualmente di riconoscimenti nei miei riguardi». Spesso il miglior giornalismo è quello di battaglia, specialmente se rischioso. E, su questo terreno polemico, egli eccelleva. Pertanto, lo anteponeva alla sua stessa opera di grande storico d'ogni età. Una volta, quando mi dava ancora del lei, mi confidò: «Non le nascondo che il mio desiderio intimo sarebbe di non scrivere più di politica, riserbando tutto il mio tempo agli studi. Ma sento che, per ora, anche se potessi materialmente soddisfare quel mio desiderio, non mi sarebbe possibile farlo senza coscienza tranquilla». Era sempre sorretto da im razionale ottimismo, dalla consapevolezza che in ogni circostanza si deve fare con semplicità il proprio dovere, anche oscuro, senza atteggiarsi a uomo superiore. In mia delle sue prime lettere, del 21 aprile 1952, mi diceva: «L'avvenire non dipende mai da alcune singole volontà individuali: non c'è che da fare di volta in volta quel che si crede meglio, e tirare avanti. In fin dei conti, le cose potrebbero andare peggio di quello che vanno». Parole spoglie e dimesse, che mi appaiono, oggi ancora, a quasi quarant'anni di distanza, come un'eco della grande massima morale: «Fa' quel che devi, avvenga quel che può». Da questa fedele aderenza ai fatti della realtà quotidiana, piccoli o grandi che fossero, scrutati con ap¬ parente impassibilità ma con la stessa passione civile e morale con cui guardava, da storico autentico, ai fatti del passato, prossimo o remoto, deriva la persistente e stupefacente attualità di Salvatorelli. La sua definizione del fascismo come Antirisorgimento - ancora più storicamente appropriata dell'altra e famosa: «autobiografia della Nazione» - non ci è mai parsa tanto calzante come oggi. Ma quel che più ancora ci preme, è rilevare - come anni fa è stato già messo splendidamente in luce da Arturo Colombo - l'illuminismo di Salvatorelli: quell'illuminismo rinato nella prima metà del '900, come pugnace risposta ai vari totalitarismi e fascismi europei, ai belluini nazionalismi e imperialismi, ai conformismi confessionali, ai potentati economici tendenti alla sopraffazione dei più deboli. Ecco perché ci suonano attuali queste parole di Salvatorelli, uno tra i primi e più gagliardi illuministi italiani del secolo: «Il conflitto fra l'Italia lazzara, sanfedista e brigantesca e quella civiltà europea, la civiltà del diritto, della ragione e della libertà è un conflitto che - teniamolo bene a mente - ancora oggi non è cessato». Non è certo mi caso che proprio mi valoroso giovane d'oggi, Leonardo Casalino, proveniente dalla scuola di Franco Venturi, e allievo di Giuseppe Ricuperati, si è accinto a studiare nelle sue scaturigmi storiche questo esile ma resistente filo di illuminismo italiano, e ha scelto, a simbolico compendio, tre nomi anche a me cari: Piero Gobetti, Luigi Salvatorelli, Franco Ventini. E' un filo di volontà e di speranza, al quale sentiamo di doverci ancora oggi aggrappare. Alessandro Galante Garrone Vide nel fascismo l 'Antirisorgimento Luigi Salvatorelli con Ugo La Malfa e (sotto) con Antonio Segni

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