Zìo Sam non fa più regali

Zìo Sam non fa più regali Zìo Sam non fa più regali Basta piani Marshall, ora cerca mercati no peccato di miopia: il nuovo nemico dello sviluppo capitalista non è la disoccupazione, ma sono la sottoccupazione e la occupazione transitoria, dei lavoratori temporanei. Un marito e una moglie con due stipendi oggi portano a casa meno reddito reale del marito da solo 30 anni fa, e creano l'inganno statistico della Ripresa: sono due posti di lavoro ma con un reddito inferiore a uno solo». I termini tradizionali del conflitto di classe, capitale contro lavoro, padroni contro dipendenti, sono stati stravolti, sostiene Galbraith. a mietere i frutti delle riprese. Questo fenomeno nuovo, questa distinzione di «classe» non più fra padroni e proletari, ma fra «garantiti» e «stagionali» spiega perché, quando la ripresa parte, come ora negli Usa, il motore sembri girare in folle. «La minaccia fondamentale ai sistemi capitalistici moderni mi saluta Galbraith - è la crescente inequità nella distribuzione del reddito e quindi nel potere di spesa e di consumo dei cittadini». «Ma non scherziamo - si arrabbia Allan Sinai -, non c'è nulla di strutturalmente storto in questa ripresa economica. I Bostoniani sono i soliti professionisti della catastrofe». Basta salire su un aereo, attraversare in mezz'ora la distanza che separa Boston da New York perché il tono e la sostanza delle spiegazioni alla «Ripresa senza Benessere» cambino radicalmente, come cambia il panorama, dall'autunno malinconico del New England alle valli di cemento di New York. Il «Pessimismo Bostoniano» diventa l'«Ottimismo Newyorkese», il «mood» di una città condizionata non dal passato o dall'accademia, ma dal respiro quotidiano e isterico dei mercati finanziari, nei quali ci si butta dalla finestra un giorno e si diventa milionari il giorno dopo. Allan Sinai, capo degli economisti alla finanziaria Lehman Brothers, non potrebbe dissentire più violentemente da Galbraith, Krugman e Thurow. Il suo ragionamento è semplice: «Gli Usa, come la Germania, la Francia, l'Italia, sono economie mature. Le loro fasi recessive sono Un agente della Borsa di New York e (sopra) l'economista Krugman Il nuovo spartiacque sociale è tra chi gode di posizioni privilegiate e al riparo dai cicli congiunturali • la grande burocrazia pubblica e privata, gli intellettuali ben pagati, le baronie accademiche, gli operatori finanziari, i professionisti - e chi vive ai margini dell'economia, il piccolo bottegaio, il micro-imprenditore esposto al rischio dei venti congiunturali, l'impiegato o l'operaio semi-specializzati e temporanei, l'insegnante, il dirigente basso-medio, il pensionato, insomma le prime categorie a essere falciate dalle recessioni e le ultime relativamente blande e di conseguenza le riprese sono blande. Abbiamo forse visto 1° file per la minestra durante la crisi della fine Anni 80 e primi 90, in America e in Europa? No e non vedremo dunque nuovi milionari dalla sera alla mattina, oggi. Comunque, la ripresa comincia sempre nei bilanci delle aziende, negli utili, nella produttività, poi arriva in Borsa, e infine raggiunge la busta paga. Quando la General Motors non ce la farà più a soddisfare la domanda di automobili spremendo gli straordinari dai suoi operai, dovrà assumerne altri. Nel frattempo, come sta accadendo, la formazione dei nuovi posti di lavoro viene dalla piccola industria, dalle società di lavoro temporaneo che pagano poco. Ma è sempre meglio un piccolo stipendio che nessuno stipendio, o no?». Abbiate fede e pazienza. Il meglio, sostengono gli «Ottimisti di New York», deve ancora venire, in questa ripresa economica americana. Se il 1994 è stato l'anno boom per le aziende quotate a Wall Street, il 1995 sarà l'anno buono per Main Street, per ìe strade delle città americane, per la gente. «E' vero - ammette Steve Roach, della casa di Borsa Morgan Stanley -, i nuovi posti di lavoro non sono i buoni posti che aveva promesso Clinton agli elettori, ma sono comunque posti. Se le autorità monetarie centrali non faranno come i tedeschi ossessionati dall'inflazione e non strangoleranno la ripresa per combattere un'inflazione che non esiste a colpi di tassi di interesse più alti, anche i salari aumenteranno. La regola del mercato non è cambiata: le aziende devono pur dare ai dipendenti presto o tardi i soldi necessari per comprare gli oggetti e i servizi che producono». I Newyorkesi citano una lunga lista di buone notizie: il contenimento del debito pubblico: la moderazione fiscale di Clinton che sarà fortemente tentato da una riduzione delle tasse per farsi rieleggere nel 1996; la stabilizzazione dei debiti personali dopo il decennio della crescita a credito; l'effetto del «Mec nordamericano», quella Nafta che ha apeno le frontiere doganali di Messico, Canada e Stati Uniti; la ritrovata produttività dei lavoratori americani testimoniata da aziende come la*Bmw che ha costruito in South Carolina uno stabilimento per produrre le auto nuove destinate al mercato Usa, dopo avere scoperto che oggi fabbricare un'automobile negli Usa costa meno che in Giappone e in Europa, senza perdere qualità. Chi ha ragione, allora? I Bostoniani dell'autunno triste che vedono ormai un vizio strutturale nel capitalismo americano o i Newyorkesi della Borsa finalmente in avanzata che aspettano la prosperità dietro l'angolo? Inutile cer- parte dei caccia alleati. In entrambi i casi, gli americani furono motore dell'intervento, ma questa volta hanno assunto un atteggiamento diverso. A Casablanca, dove si trova per il summit economico arabo-africano, il segretario di Stato Warren Christopher ha riconosciuto che la politica di mantenere esenti dal conflitto le «zone protette» dell'Onu deve essere equamente applicata a serbi e musulmani: «Ma in que- ln alto Wall Street e qui accanto Galbraith II Segretario di Stato americano Christopher: da Casablanca avverte che l'America rifiuterà raid contro i musulmani di Bosnia sto caso non vedo nessuna ragione per intervenire». Christine Shelly, portavoce del Dipartimento di Stato, è stata ancora più netta del suo superiore. «E' difficile immaginare - ha detto - gli Stati Uniti partecipare in un'azione di questo tipo contro il governo bosniaco quando è chiaro che la sua gente è stata la vittima dell'aggressione serba». All'Onu la rappresentante americana Madeleine Albright, diventata nel frattempo presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, ha ribadito l'intenzione di far approvare una risoluzione per togliere il veto alle forniture di armi ai bosniaci. Ma gli Stati Uniti continuano a non avere la maggioranza necessaria e, comunque, la Russia opporrebbe il veto. Paolo Passerini