I bosniaci non li bombardo

Estero LA STAMPA Mercol INCHIESTA WASHINGTON NCORA una volta, per capire qualcosa dei misteri dell'economia americana, mi ritrovo a calpestare le foglie secche che coprono i sentieri di Harvard in autunno, verso la grande casa di legno fra i platani ormai quasi spogli che appartiene a un vecchio davvero grande, John Kenneth Galbraith. Ogni volta che busso alla porta della sua intelligenza ironica e lucida, sotto il vento perenne e gelido che tira su Boston e su tutto il New England dal mare, mi sorprendo a domandarmi se esista un rapporto di causa ed effetto tra il clima del New England e la cultura, se non sia il vento freddo dell'Atlantico la causa di questa straordinaria concentrazione di grandi università, Yale, Harvard, Brown, Mit, nella stessa regione, quasi che il vento costringesse la gente a restare al chiuso, quindi a pensare e a studiare. Chiedo scusa: non siamo qui a parlare di vento, ma di economia, di lavoro, di industria, di soldi. Nonostante la sua cattedra a Harvard, Galbraith è in fondo un sopravvissuto, il graffito umano di un'età tramontata, di un tempo con il ciuffo del kennedysmo e l'ottimismo di un'America soltanto di ieri, eppure infinitamente più giovane. Ma Galbraith ha conservato il gusto della storia, il piacere del paradosso e nessuno meglio di lui può dunque spiegarci il paradosso della Ripresa senza Benessere, di questo boom americano che sta finalmente eccitando anche la Borsa, ma che non riempie ancora i Borsellini della gente. «Ho paura che non sia affatto un paradosso mi deprime subito Galbraith -, ho paura che questa distribuzione sempre più ineguale della ricchezza sia la nuova norma delle economie capitaliste moderne». La frase non mi è nuova. Prima di ascoltare Galbraith avevo letto un saggio del nuovo «wunderkind», del nuovo ragazzo d'oro del pensiero economico americano, Paul Krugman, che aveva scritto su Foreign Policy «... sta diventando dolorosamente ovvio che qualcosa è andato a rovescio nella promessa di crescita economica e di benessere fondati sugli sviluppi tecnologici... l'Occidente computerizzato, robotizzato, informatizzato sta creando sempre più ricchezza globale e sempre più miseria individuale...». E pochi giorni dopo la pubblicazione di quest'articolo, l'Ufficio Censo del governo americano era arrivato puntualmente a confermare che, proprio in questo 1994 di boom economico, gli americani poveri sarebbero saliti al massimo storico dalla Depressione a oggi, arrivando al 15,1% della popolazione, e che il reddito medio delle famiglie sarebbe sceso. Non soltanto Galbraith è d'accordo. E' ancora più pessimista. E mi cita proprio lo stesso Paul Krugman, che studia la distribuzione del reddito negli Stati Uniti: «Nel corso degli Anni 80, e non voglio fare polemiche contro Reagan e la destra, il 70% dell'aumento di reddito si è concentrato nelle mani dell'1% delle famiglie al vertice della piramide fiscale. La ricchezza non è più una pioggia benefica, ma un rubinetto aperto per pochi lavandini. E non lo dico perché voglio fare il liberal che piange sui poveri. Al contrario, io sono un ricco professore viziato che vuole godersi la sua ricchezza in pace e per questo voglio che i poveri stiano tranquilli. Lo dico perché l'unica maniera intelligente di essere conservatori, in una società moderna, è essere progressisti». Il vero problema, il «cuore malato» della ripresa americana, secondo Galbraith e gli altri «pessimisti bostoniani», come il Nobel Lester Thurow che insegna al vicino Mit, sarebbe dunque il nuovo circolo vizioso nella distribuzione del reddito. «La redistribuzione attraverso le tasse non è più praticabile, e neppure la sinistra la vuole, perché la pressione fiscale è già eccessiva ovunque e premere ulteriormente vorrebbe dire deprimere l'attività economica. Restano le aziende - dice Thurow che riesco a sentire in una breve pausa di passaggio a Boston fra una scalata e l'altra sui monti dell'Himalaya dove sta trascorrendo il suo anno sabbatico di riposo -, ma le aziende hanno dovuto stringere l'occupazione e spremere produttività per tornare competitive con i giapponesi e gli europei. Gli economisti e i politici si sono concentrati sulle cifre della disoccupazione ma han- Galbraith avverte «La distribuzione sempre più ineguale della ricchezza è la nuova norma delle economie» Gli «ecottimisti» ribattono: verrà il tempo degli alti salari Estero « I bosniaci non li bombardo »

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