«In clausura per 78 ore facendo footing in aula»
«In clausura per 78 ore facendo footing in aula» «In clausura per 78 ore facendo footing in aula» FIRENZE DAL NÒSTRO INVIATO «Stanchi? Distrutti, piuttosto». Il giudice, o la giudice, perché l'anonimo vuol rimanere anonimo, ha sul volto l'ombra di una fatica enorme. Vorrebbe sorridere, ma proprio non gli riesce. Settantott'ore sono un'eternità, e stavolta rimarranno scolpite nella memoria. «Siamo entrati sabato in quella grande sala e subito ci hanno detto che avremmo mangiato, prima d'iniziare il lavoro. "S'incomincia bene, meno male", mi son detto. Non un gran pasto, una cosa da mensa militare, del resto il cibo lo facevano venire proprio da li, dalla caserma dei carabinieri poco lontano. Ma era un pasto dignitoso Acqua minerale e un bicchiere di vino, per chi lo voleva: il presidente Ognibene aveva portato un bianco siciliano niente male e il giudice a latere, Polvani, un rose della zona del Chianti». 11 primo è il giorno dell'approccio. «Mi sono sentito svenire quando ho visto la montagna di carte che ci aspettava. Sì, certo, lo sapevo che erano migliaia, ma bisogna vederle per rendersi conto. Qualcuno ha cominciato a rileggere i verbali delle testimonianze fatte durante le udienze, e poi le perizie. Eravamo tutti intorno al tavolo, abbiamo letto tutti, ci passavamo le carte a turno. No, niente discussioni, il primo giorno. E' stato una specie di approccio. Fino alle 20,30, poi la cena e a letto. Qualcuno s'era portato un libro, qualche altro ha deciso di dormire subito. Niente televisione, poca radio. Ho pensato che forse ce la saremmo cavata in un tempo breve, e la notte devo ammettere di aver dormito bene. Del resto, quel sabato non siamo neppure entrati, come si dice, dentro i problemi». L'indomani è giorno di festa, 30 ottobre. «Neppure ci siamo resi conto che fosse domenica. No, nessuno ha chiesto di andare a Messa. Alle 8,30 c'è stata la sveglia con la colazione e poi ci siamo rituffati nel lavoro. Fino alle 13,30. L'orario l'aveva stabilito il presidente, che è un gran lavoratore. Pranzo non memorabile, ma neppure da disprezzare, anche quel giorno, con cannelloni, la carne e la frutta fresca, e quel bicchiere di vino che faceva allegria, anche se due di noi erano astemi e gli altri finivano per sentirsi un po' in colpa. Dopo pranzo, ora d'a¬ ria, in quel cortile con un muro alto e grigio, e per il presidente Ognibene anche il footing, fatto nell'aula, sì, proprio nello stanzone del bunker. Perché, ha spiegato, lui è abituato al movimento e a stare dietro alle sbarre come stavamo noi proprio gli dava fastidio». E domenica cominciano le discussioni. «No, non posso dire su che cosa abbiamo discusso, ho preso l'impegno e voglio mantenerlo. Ma certo lo abbiamo fatto su tutto». Ma la domenica è sempre domenica e qualcuno ha deciso di seguire quello che succedeva nel mondo, del pallone, naturalmente. «Nel primo pomeriggio in due hanno ascoltato la radio, "Tutto il calcio, minuto per minuto", ma non hanno fatto il tifo, non abbiamo neppure capito per chi tenessero. Silenziosi, come fossero ad ascoltare un concerto di musica classica. Poi i giornali: certo, li leggevamo, soprattutto quelli con la cronaca cittadina, "La Nazione" e "La Repubblica", ma anche gli altri, nazionali, come "La Stampa" e il "Corriere della Sera". Ma nessuno commentava niente, sembravamo veramente dei marziani». Giornata lunga, di lavoro pesante, ma «la sera dopo cena non si è mai lavorato. Oddio, per la verità ogni tanto qualcuno esponeva un'idea, magari pensava di avere avuto una sorta di folgorazione, e allora, ecco, che si tornava tutti a riunirci. Ma per breve, perché se la cosa era importante la riprendevamo l'indomani e se non lo era veniva liquidata in breve». E' stata la clausura, l'impossibilità di stirare i vestiti, i pantaloni che perdevano la riga e le gonne tutte spiegazzate che hanno dato ragione a quei due che, a sorpresa, il sabato avevano tolto dalla valigia la tuta e le scarpe da tennis. «Sì, erano gli stessi che avevano ascoltato la partita». Ma qual è stato il momento più difficile? «Quello... no, ho promesso di tacere. E poi, per la verità, non c'è stato un momento più difficile, è stato difficile tutto il processo. Maledettamente difficile. C'era da perdersi, nell'oceano dei fogli, delle fotografie, degli appunti. Ma per fortuna ci eravamo organizzati: oguno di noi aveva preso nota, giorno per giorno, di quello che accadeva in aula e i più organizzati hanno tirato fuori i loro taccuini con tanto di sommario. Una vera fortuna e questo ha facilitato molto. Discussioni? A centinaia, certo, ma nessun litigio, questo no. Tutto è filato nella correttezza più assoluta, mi pare. Nessuno, del resto, appariva sprovveduto. Si è cominciato a verificare episodio per episodio, lo si è analizzato, e poi si è arrivati alla decisione. No, nessun ripensamento: una volta decisa una cosa, tutto è rimasto così. Eravamo impegnatissimi e attenti, no, nessun richiamo per distrazione o stanchezza. Mai nessuno ha perso il filo. E la notte, si pensava a quello che avevamo fatto, a quello che dovevamo fare. A quell'uomo che aspettava una decisione. Se siamo soddisfatti? E come si fa ad essere soddisfatti quando si condanna un cristiano all'ergastolo? Soddisfatti no. Consapevoli di avere fatto il nostro dovere, piuttosto». lv. tess.] L'ANALISI DI F.&L.
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