Il triste Miracolo di Clinton

INCHIESTA 1 La ripresa nasce da salari più bassi, sottoccupazione e duri ritmi di lavoro Il triste Miracolo di Clinton L'economia tira, ma non diventa benessere WASHINGTON OFFRITE di insonnia? mi chiede premurosa la pubblicità a colori sulla pagina del magaxine di bordo che ho trovato nella tasca del sedile dell'aereo. Buone notizie per voi! Gli scienziati della Nasa e dell'industria aerospaziale hanno inventato un apparecchio che vi farà addormentare, utilizzando la stessa tecnologia studiata per conciliare il sonno agli astronauti dell'Apollo. Per soli 39 dollari e 99 cents, appena 60 mila lire, spiega la pubblicità, gli eredi di Von Braun, i conquistatori della Luna, i progettisti dei bombardieri invisibili, costruiranno per me e per tutti gli insonni un arnese da mettere sul comodino che emetterà muggiti di balene in fregola, cinguettìi di uccelli, frusciar di foglie e di onde, proiettando intanto sul soffitto immagini colorate e ipnotiche. Garantito! Provare per credere! Cinquantanni di Guerra Fredda, dal Progetto Manhattan alle Guerre Stellari, si curveranno sul mio letto per farmi addormentare. A soli 39 dollari e 99 centesimi. Dubito molto che i canti dei cetacei arrapati o la lanterna magica sul soffitto possano sconfiggere l'insonnia, ma in compenso quell'annuncio pubblicitario ci aiuta moltissimo a cominciare un viaggio di esplorazione nella «Strana Ripresa Economica» americana, nel curioso, grigio, insoddisfacente «Boom senza Bang» che sta scuotendo l'economia americana senza tradurre, finora, i grandi dati macroeconomici in una sensazione di maggiore benessere per la gente. E senza lanciare quella famosa «Locomotiva Usa» che dovrebbe trascinare anche i nostri scalcagnati vagoni e che rimane invece sotto pressione, fumante, sbuffante ma ferma sul binario. Un boom che ha indotto settimanali importanti come «Time» a chiedersi: «Boom for Whom?», Boom, sì, ma per chi? In quella pagina di pubblicità sulla «macchina del sonno» inventata dagli scienziati della Nasa c'è un inizio di risposta alla domanda di «Time», ma andiamo con ordine e cominciamo dall'inizio. Sul fatto che l'America sia in robusta, vibrante ripresa, non ci possono essere più dubbi. Tutti gli indicatori econometrici tradizionali concordano. Il Prodotto Lordo, la misura complessiva dei beni e dei servizi generati dall'economia, sta crescendo al ritmo davvero impressionante del 3,5 o 4%, un dato enorme per un'economia matura e gigantesca che non è quella cinese dove basta produrre qualche milione di sandali in più par spingere in alto i modestissimi dati di base. Persino Wall Street, diffidente, sta dando segni di risveglio. Ma, come diceva l'economista kennedyano Walter Heller, le statistiche non sfamano il bulldog, dunque guardiamo ai dati più concreti, quelli che riguardano il lavoro. Anche su questo fronte, notizie splendide. Dalla primavera del 1991, quando formalmente la recessione di Bush cominciata nel 1989 ebbe termine, l'economia americana ha generato 5 milioni di nuovi posti di lavoro, quattro milioni e centomila soltanto dall'assunzione di Clinton alla Casa Bianca, nel gennaio 1993. La «Great American Job Machine», la grande fabbrica americana di lavoro, sforna nuovi posti al ritmo di 240 mila al mese (settembre) e la disoccupazione è scesa all'invidiabile livello del 5,9%, vicinissima allo zoccolo incomprimibile di quella che gli economisti chiamano la «disoccupazione naturale» o «strutturale», sotto la quale è quasi impossibile andare senza scatenare l'inflazione. E l'inflazione, nonostante le ansie delle autorità monetarie americane, resta inchiodata a livelli bassissimi. In settembre, i prezzi all'ingrosso sono addirittura diminuiti dello 0,5%. Il ritmo annuale dei prezzi al dettaglio è un modestissimo 2,6%. «Neppure il più ansioso fra gli industriali - mi disse qualche tempo fa Lee Iacocca, il salvatore della Chrysler - riesce a vedere il minimo segno di inflazione all'orizzonte». Aveva ragione. L'edilizia, motore primo dell'e- conomia americana, va bene, nonostante la lievitazione del costo del danaro e dunque dei mutui immobiliari imposta dalla Fed, la Banca Centrale americana, per esorcizzare lo spettro di un'inflazione che non c'è. Le «sorelle» di Detroit vanno a tutto gas. La General Motors, paradigma della salute americana, ha trasformato una perdita di oltre 7 mila miliardi di lire, nel 1991, in 3 mila e 500 miliardi di profitti nel 1993 e quasi 4 mila soltanto nel primo semestre di quest'anno. Grandi corporations come la Coca-Cola, la Kodak, la Compaq Computers, l'Intel, la Motorola, la Microsoft, la Caterpillar segnalano parimenti profitti astronomici, fino al 50%. Ma è inutile insistere con le statistiche (queste sì, infallibili macchine del sonno). Basti riferire la conclusione raggiunta alla fine dell'estate dall'autorevolissimo World Economie Forum di Ginevra che macina tutte le statistiche possibili sull'economia mondiale: dopo anni di sconfitte, di umiliazioni da Oriente e Occidente e di retrocessioni nella decade 80, nel 1994 gli Usa sono tornati «Number One», il Numero Uno del pianeta per competitività e vigore economico. Ma allora perché la famosa «locomotiva» resta ferma sul binario morto del malcontento generale, perché tutto il gran sbuffare delle statistiche lascia freddi, inquieti i cittadini che dovrebbero essere i beneficiari primi della Grande Ripresa? E' vero che non tutte le cifre sono rosee, che in mezzo ai profitti sensazionali della GM si trovano cifre imbarazzanti come l'aumento della povertà, dal 14,8 al 15,1% dei cittadini in un solo anno, ma l'alta marea dovrebbe sollevare tutte le barche, come insegna uno dei dogmi centrali dell'economia capitalista, ripetuto più volte da Ronald Reagan. Per cercare una possibile spiegazione al mistero della «Ripresa senza Benessere», e senza ricompense di popolarità per il Presidente Clinton, riprendiamo in mano l'annuncio pubblicitario sulla macchina del sonno, e prepariamoci a visitare una bruttissima zona industriale del Michigan, chiamata Buick City, dove la General Motors produce le parti e i pezzi comuni per le sue automobili. Nell'inutile gagdet contro l'insonnia, costruito da una piccola società californiana che ha dato lavoro ad astrofisici, ingegneri elet¬ tronici, biologi lasciati a spasso dalla riduzione delle commesse militari, c'è il segno di una nuova, inedita categoria sociale che oggi è in grande espansione negli Stati Uniti: la nuova categoria dei «sottoccupati». Non sono disoccupati, perché hanno un lavoro e un salario, dunque non risultano nelle statistiche dei disoccupati. Ma non sono certamente neppure occupati ai livelli di reddito che la loro preparazione giustificherebbe e che, fino a ieri, avevano raggiunto. Sono il segno del riciclaggio al ribasso dei livelli salariali americani che non colpisce soltanto l'ex fisico nucleare, ma il manager medio segato ai primi segni di difficoltà aziendale, la segretaria esecutiva, l'operaio specializzato che, dopo aver perduto il lavoro durante la recessione, ritrovano un altro posto, magari nel settore dei servizi, ma a stipendi nettamente inferiori. E quindi vanno a ingrossare contemporaneamente sia i ranghi degli occupati (ecco il boom) sia le file dei malcontenti {ecco il mancato benessere). Ne traggono profitto i conti aziendali, la competitività e la Borsa. Ma non se ne avvantaggia il borsellino delle famiglie. E' stata una terapia inevitabile, per impedire che il crollo di competitività americano divenisse disastroso e più tardi incurabile. Ma non per questo è stata una terapia meno dolorosa. Perché la cura funzionasse, era tuttavia necessario che alla riduzione drastica dell'impiego e al riciclaggio verso il basso dei salari corrispondesse un forte aumento di produttività. Meno addetti dovevano produrre più beni e più servizi a costi eguali o più bassi. E questo ci porta alla periferia di Detroit, nel Michigan dei Grandi Laghi già scossi dai venti polari che scendono senza ostacoli dall'Artico e dal Canada. Qui, davanti a grandi cartelli che inneggiano alla General Motors e all'Imperativo della Qualità riscoperto dai manager americani dell'auto dopo decenni di bastonate giapponesi ed europee, picchetti di metalmeccanici si agitano da mesi per chiedere di lavorare meno. Niente di ideologico, niente slogan stile «lavorare meno, lavorare tutti» muovono questi operai, ma qualcosa di più tangibile: la fatica fisica. I metalmeccanici dello stabilimento di Buick City lavorano come non lavoravano da anni, dal dopoguerra: si parla di 47, anche 48 oije di lavoro settimanale, comprese ovviamente molte ore di straordinario che gonfiano la busta paga, ma lasciano gli operai esausti. I medici della zona segnalano ormai fino al 10% di assenze dovute a malattie e non sono le malattie «politiche» dei nostri piloti dell'Ari, perché in America ammalarsi può costare il posto e non si può scherzare con l'assenteismo. La GM risponde di non avere scelta e indica con giusto orgoglio le cifre: nel 1991, le auto d'importazione coprivano il 22% delle vendite. Nel 1994, saranno soltanto il 14%. Il dramma, naturalmente, sta nel fatto che hanno ragione tutti. Ha ragione la GM, come la Ford, o la Chrysler, quando fa notare che i costi del lavoro e i livelli di impiego mantenuti in altri tempi avevano portato l'industria dell'auto sulla strada catastrofica dell'industria elettronica o tessile, verso la disfatta. Un'azienda fallita, come diceva Ross Perot quando era alla GM, non paga salari a nessuno, né grandi né piccoli. Ma non hanno torto neppure i sindacati quando rispondono, come mi dice il segretario della «Sezione 599» della United Auto Workers, che l'incremento di produttività e il «lavorare in meno per produrre di più» hanno un loro punto di rottura fisiologico oltre il quale i profitti aziendali devono tradursi in nuove assunzioni. Eccoci dunque arrivati alla domanda centrale che sta nel cuore della «Ripresa Grigia» americana, del «Boom senza Bang». A quale punto della curva ascendente degli indicatori economici, in quale momento della ripresa, a quali livelli di ricapitalizzazione e di produttività, questa economia americana tornata «lean and mean», smagrita e aggressiva come una lupa alla fine dell'inverno, tornerà ad assumere e ad aumentare i salari? Quante statistiche sono ancora necessarie perché la ripresa passi dalla Borsa al borsellino della gente? Presto, molto presto, sento dire a Rober Reich, il ministro del Lavoro, che ammette la «stranezza» di questa ripresa americana 1994 ma è «sicuro» che le forze di mercato, le leggi dell'economia capitalista si faranno valere. Dunque i profitti diverranno investimenti, la domanda stimolerà la produzione, la produzione produrrà nuovi posti di lavoro a salari più alti, e «The Great American Job Machine», la grande macchina americana del lavoro, riprenderà a macinare benessere e sogni da classe media, non solo statistiche. Può darsi, ma non è detto. Le «leggi» dell'economia non sono le leggi newtoniane e non sempre si ripetono con l'implacabile certezza della fisica o della termodinamica. Gli stessi economisti non sono certi, non sanno, non capiscono, e qualcuno insinua il sospetto tremendo che questo grigiore attuale, questa locomotiva sotto pressione eppure immobile siano già ii meglio che ci possa aspettare. E che un'economia capitalista matura come quella americana, o come quelle europee, non sia più capace di produrre le furiose rinascite di altre epoche, quando la produzione industriale, e non i servizi, era il motore di una nazione. Forse, insinua uno di loro, un grande, lucidissimo vecchio che ascolteremo più avanti, l'economia americana ha semplicemente trovato un nuovo equilibrio, un nuovo assestamento a questi livelli di produttività, di occupazione e di distribuzione del reddito, imposti dal mercato mondiale. Sentiremo che cosa hanno da dire i saggi e gli esperti, ma intanto un pensiero ignobile e peccaminoso si forma, lasciando i picchetti nell'inverno del Michigan per gli studi degli esperti: forse che le cose andavano meglio per tutti quando gli ingegneri producevano missili, anziché macchine per il sonno? Vade retro, pensiero immondo. Vittorio Zucconi Picchetto di operai alla General Motors «Questi ritmi ci uccidono» INCHIESTA 1 GTON FRI di innnia? chiede emurola pubcità a ori la paa del bordo to nel sedile Buone voi! Gli s La ripresa economica americana non riesce a ridurre il numero dei senzatetto (foto grande in alto) E la gente mugugna contro Bil Clinton