L'UOMO CHE AMAVA I FANTASMI
L'UOMO CHE AMAVA I FANTASMI L'UOMO CHE AMAVA I FANTASMI Tornano i racconti diBierce studente di medicina legale lo venga a prendere». Un finale di vita avvolto nella nebbia, ma coerente al destino dei personaggi enigmatici dei suoi racconti, alla sua fama di autore beffardo, cinico, satirico, che ride di tutto perché nulla vale e pertanto beffa il prossimo e i posteri scomparendo. Coerente nel momento più significativo della vita, dopo la vita, al senso di futilità della morte cui restava ben poco di dignitoso per chi l'aveva vista tante volte senza veli e da vicino sui campi di battaglia della Guerra Civile. Incuriosisce che questo autore dell'Ohio, vissuto per lo più a San Francisco, elegante, alto, distaccato e afflitto dall'asma, abbia scelto di scrivere molto di fantasmi per esprimere il suo discredito per l'uomo. Sara perché quando lo vede sconvolto dal terrore è al suo peggio? Tutto è possibile, quando a non reggere al dileggio di Bierce sono gli stessi fantasmi, che fanno a loro volta dichiarazioni di angoscia, sembrano più impauriti da noi viventi che noi da loro e appaiono il retaggio della paura antica di ogni forma cadaverica. Non sembra far fare un passo avanti nella loro conoscenza, l'ipotesi che siano un prolungamento di un rimorso che continua a rodere e a rumoreggiare in qualche stanza. Meglio la supposizione che li vuole collocare in un recinto, in una riserva narrativa, come gli indiani, quindi in una archeologia psicologica. La mancanza progressiva di spazi regolarmente vuoti, disponibili anche nella testa e incustoditi, li ha fatti scappare. Una rimozione che ha coinciso con l'avvento delle macchine e il gusto letale del tutto pieno. L'antindustrialesimo di Bierce, autore dell'Ovest, coincide con quello ben più poderoso dei suoi coetanei dell'Est, Melville e Hawthorne. Il curioso di letteratura fantastica, superando una certa ripetitività, croce e delizia di ogni ossessione, troverà compenso nella cornice superba delle storie: architetture isolate, vecchi opifici, case abbandonate su spiagge dell'oceano, palazzi come orchi urbani, abitazioni al centro di foreste nel cuore della wilderness americana, campi santi sui bordi indefiniti dei deserti dove si leggono epitaffi pieni d'odio funerario, silenzi, solitudini. La morte, ma con sangue e pallottole, è anche il tema centrale dei più noti racconti, presenti nel volume, ambientati nella Guerra Civile. E' strano: quando ancora la vita contava più dei soldi, si affrontava con più coraggio la sua perdita in battaglia, forse perché si aveva la sensazione che proprio le regole della guerra riducevano l'insensatezza della morte. Un bel tema, che propone di contrastare l'assurdo della morte, non con .la difesa dell'esistenza, ma con l'assurdo più potente della guerra. In ogni modo un'altra volta, con questi racconti di soldati, morti o morenti, i cui ultimi attimi di vita sono dilatati in resoconti analitici come sotto l'effetto stuporoso di una narcosi pre-mortem, appare come la guerra sia stato il grande teatro di sentimenti estremi e perciò della grande narrativa.
Persone citate: Bierce, Hawthorne, Melville
Luoghi citati: Ohio, San Francisco
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