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Prossimamente Prossimamente SVAMUNA CANCELLA TRADUTTRICE DI MCEWAN L E Fiabe campane e Le ninne nanne italiane; Ceronetti con I salmi e La Iena di San Giorgio; Rilke Poesie I nella Biblioteca della Plèiade; un nuovo Yehoshua e un nuovo Cortazar; gli Argomenti del nostro tempo di Gombrich; le 12 tesi di Violante sulla mafia; e soprattutto gli Appunti partigiani di Fenoglio, inediti scoperti e curati da Lorenzo Mondo: mensis mirabilis, il prossimo novembre per l'Einaudi dopo un bell'ottobre concluso con 7/ corpo del Papa, ricostruzione di Agostino Paravicini Bagliani della «ritualità possente che differenzia il Corpo del Papa (dopo morto) da qualsiasi altro corpo, anche quello del Re». Rose mistiche per calmare la trafittura d'una spina o d'una dispettosa magia: perché purtroppo la Pomata Svanilina non ha agito solo nella immaginazione del bambino Inventore di sogni, incantevole e perverso ultimo romanzo di Ian McEwan, ma anche sul frontespizio del medesimo da cui è sparito il nome di Susanna Basso, la traduttrice raffinata dei più recenti 4 libri dello scrittore inglese. La Basso, che sta ora lavorando a una storia sul «volo» (tutti neo-saintexuperiani?), Mr. Vertigo di Paul Auster, americano a Parigi, in uscita da via Biancamano nel '95, aspetta naturalmente che T«arcivernice» di Lambicchi la riporti sulla copertina di McEwan. E noi, perbacco, ci aspettiamo che ragazzini fantasiosi la smettano di far dispetti al nostro amatissimo Bravo Editore. (leonip ( (leonip ( (mSCHHEW ( ((m listico. E mi ha molto condizionato nel mio lavoro la lezione di Serra, di De Robertis e poi di Giacomo Debenedetti. Dunque, a me interessano le opere, la riuscita da un punto di vista estetico e non l'aspetto programmatico o volontaristico di un libro. A mio parere un critico non è che un testimone. Se di alcuni libri non ho scritto è perché non li ho letti o non mi interessava leggerli. Non mi sforzo di costringere la letteratura in gabbie tematiche, che finiscono per far tralasciare componenti fondamentali. Com'è capitato, per esempio, ad Asor Rosa che, nella Storia d'Italia Einaudi, nel volume dedicato a "La Cultura" tra Otto e Novecento, dimentica l'esperienza culturale più importante del periodo: il melodramma». Com'è nata l'idea di questa storia novecentesca? «Avevo cominciato a lavorare negli Anni 80 a un progetto di storia che sarebbe dovuta apparire nel "Sag- giatore". Ma, dal momento che se ne prevedeva un'ampia diffusione, alla Mondadori si decise che sarebbe uscita negli Oscar in un cofanetto di tre volumi. Nell'85 era tutto terminato e il libro in distribuzione, quando, a sorpresa, si scatenò il putiferio. Il responsabile degli Oscar, Ferruccio Parazzoli, mi disse che ci eravamo cacciati in un guaio e lui era passibile di licenziamento. L'editore Leonardo Mondadori era molto irritato per l'assenza nella mia Storia di molti autori della Casa editrice. Crimine gravissimo era quello di aver dimenticato di mettere Maria Bellonci e qualche altra firma mondadoriana come Castellaneta o Giorgio Saviane. L'offesa più grave era comunque nei confronti della Bellonci, che aveva il merito di aver fondato il Premio Strega. Il cofanetto fu venduto in poche copie e subito messo fuori catalogo. Fu un neonato strozzato in fasce. Andò così in fu¬ errore l'aver pubblicato «Petrolio», l'opera inedita di Pier Paolo Pasolini. Non contempla nelle sue liste numerosi nomi di contemporanei: Frutterò & Lucentini, Baricco, Veronesi, Rosetta Loy, Cerami, Orengo, Rasy, Fleur Jaeggy, Biamonti e altri ancora, mentre costringe, per esempio, Busi, Del Giudice, Debenedetti, Lodoli, Tamaro, Cordelli nello spazio di un solo titolino. Il critico brinda con champagne per l'arrivo di inattesi narratori. Come Roberto Calasse le cui opere chiudono un'epoca «della letteratura italiana e ne aprono un'altra assai più desiderabile». E celebra l'apparizione di tanti critici-scrittori, da Citati a Macchia, da Maria Corti a Garboli (insieme a quella di saggisti di altre generazioni: Trompeo, Luigi Foscolo Benedetto, Ferdinando Neri, De Robertis). Anche all'inizio del secolo Spagnoletti cerca di dare il suo tocco personale. In apertura di Novecen¬ to colloca molti scrittori scapigliati. Dà gran lustro alla Deledda, stimata molto più brava di Capuana o De Roberto. E mentre eleva al rango di scrittore eccellente Salgari, scopre la semisconosciuta Njta Jasmar e l'altrettanto quasi ignota Maria Messina (nata nel 1880, e celebrata da Sciascia), rivaluta Paola Masino, trae dall'oscurità Marcello Gallian. Per la contemporaneità arrivano, oltre ai noti, gli insoliti e gli ignoti: per esempio, Francesco Burdin, attraversato con penna benevola in lungo e in largo, acquista più spessore di Pontiggia o di Malerba, persino di Tornasi di Lampedusa. Allo stesso modo finiscono in bella vista Antonio Altomonte o Carlo Felice Colucci, collocati alla pari se non meglio di Flaiano o Vittorini. Ma Professore, quali sono i criteri che hanno ispirato la sua storia letteraria? «Io non sono un critico ideologico. Ho avuto un apprendistato forma¬ // picaresco libro di Groom uscì mW86: un «bestione» che diventa campione di football «Tagliati» da Zemeckis un viaggio nello spazio i cannibali scacchisti e una fuga con la Welch Jane Austen goldoniana «Jane Austen mi ha sempre fatto pensare a Carlo Goldoni. Ci sono molte cose che li uniscono quasi l'ossero parenti... il modo in cui guardano ai loro contemporanei, il modo in cui osservano i loro personaggi, il modo in cui "mettono in scena" la realtà della loro epoca. Sia Goldoni che la Austen sono ben lontani da ogni odio sociale, sebbene abbiano un chiaro sentimento delle differenze sociali, tutti e due ben attenti a cogliere gli abusi e le arroganze dei ricchi nonché le astuzie e la eterna voglia di "arrampicarsi" dei poveri...». Così Mirandolina sembra la sorella di Elisabeth Bennet... L'autrice di un accostamento tanto «scandaloso» è Dacia Maraini, nella breve prefazione a Orgoglio e pregiudizio, in uscita da Theoria, secondo di nove volumi che comprenderanno l'opera completa della scrittrice a cura di Malcom Skey. Ma, se provassimo a sostituire scandalo con intelligenza critica andrebbe così tanto male? Malcolm Skey avrebbe, a quanto si dice, alcune ottime pezze d'appoggio a questa tesi. A parte Jane teatrante anche lei, in giovanissima età, nonché autrice di teatro, provatissimo è l'interesse sia della Austen che di Goldoni per il loro predecessore Samuel Richardson, del quale entrambi tradussero per la scena un romanzo: Pamela, l'uno, Charles Grandison, l'altra. Basta? Discussione aperta. PICCOLE STORIE SENZA MORALE Prefazione di Siegfried Melchinger Con due saggi di Walter Benjamin e Robert Musil Traduzione di Cristina Pennavaja «Biblioteca Adelphi», pagine 417, lire 48.000 SUI rapporti fra cinema e letteratura si sono scritte pagine e pagine, tenuti convegni, presto esisteranno cattedre universitarie, e osservazioni che una volta sembravano brillanti come «da un cattivo libro si può fare un buon film» sono diventate banalità; anche se si può sospettare che la questione sia stata risolta una volta per tutte da James Cain, il quale quando un amico che aveva visto un film tratto da un suo lavoro gli disse «Hanno rovinato il tuo romanzo», si alzò, andò a prendere il volumetto da uno scaffale, lo esaminò con cura, e poi rispose: «Sei sicuro? A me sembra sempre lo stesso». Tuttavia un rapporto fra pellicola e carta stampata esiste, e può avere aspetti quasi morbosi, come quando viene diffuso non il libro da cui è stato tratto il film, ma il libro tratto «dal» film (esiste un buon libro tratto da un cattivo film? Sarebbe il massimo!). L'eterna discussione può essere alimentata oggi dal recupero del romanzetto Forrest Gump di Winston Groom (trad. Alessandra De Vizzi, Sonzogno, pp. 258, L. 25.000). Passato senza troppo incidere quando uscì nel 1986, ora ne è stato ricavato uno dei film più fortunati di tutti i tempi, 160 milioni di dollari d'incasso nel primo mese. Se questo non basta a rendere automaticamente il film «migliore» del libro, bisognerà riconoscere al film, almeno, di aver fatto più chiasso. Ma poi il film «è» migliore del libro più pensato, meglio organizzato, più in controllo della sua ironia. Non che sia un gran che nemmeno lui - spero di non invadere competenze di altri, del resto sul cinema come sul calcio siamo tutti professori -, dal confronto col libro si ammira però il lavoro svolto sul materiale di partenza. Il romanzo infatti parte bene, con la trovata di far raccontare la storia dell'idiota in che a ping-pong e viene premiato dal Presidente (come nel film); suona anche l'armonica come un dio, partecipa a una missione spaziale, passa quattro anni fra i cannibali dove la capsula è atterrata, qui impara a giocare a scacchi col capotribù che ha studiato a Harvard e anche qui è un fuoriclasse; torna in patria, si guadagna da vivere prima sfidando i forzuti a braccio di ferro nei bar (il capitano Dan mutilato del Vietnam gli fa da agente), quindi esibendosi nella lotta libera truccata, un tempo chiamata catch. Con l'amata Jenny convive prima dell'avventura spaziale e dopo, durante le peregrinazioni mentre fa il catch; poi lei lo pianta e si risposa, per rivelargli solo alla fine di avere un suo figlio. Intanto Forrest sta per intraprendere una carriera di scacchista, ma finisce come comparsa a Hollywood in un film con Raquel Welch, e in seguito a un equivoco si trova in fuga con l'attrice nuda fra le braccia... Avrete capito come Forrest Gump libro sia una fantasia, una specie di favola americana sopra le righe, una «tali story» un po' nella tradizione delle panzane alla Davy Crockett. Il film pur mantenendo il tono fiabesco (specie nell'episodio della pesca dei gamberetti, che nel libro è marginalissimo) cerca di razionalizzare, e lo fa anche ricorrendo in modo impressionante ai nuovi trucchi che consentono di manipolare materiale preesistente - il Forrest cinematografico diventa così una specie di testimone di vent'anni di storia patria, non spiacevolmente anche se un po' gratuitamente, e compare accanto a molti personaggi famosi. In entrambi i casi il messaggio è che l'innocenza trionfa, come talvolta ci piace fingere di credere. L'ottimismo del film c comunque meno beffardo, più sottile, e forse, subliminalmente e per un attimo solo, più accettabile. Georges Simenon IL BORGOMASTRO DTraduzione di Tea Turolla

Luoghi citati: Hollywood, Lampedusa, Parigi, Vietnam