Il Pool: da dieci giorni non confessa più nessuno

Il Pool: da dieci giorni non confessa più nessuno Il Pool: da dieci giorni non confessa più nessuno ASPETTANDO GLI ISPETTORI E' MILANO un'altra amarezza nell'amarezza»: Antonio Di Pietro parla così, mentre pensa ai suoi uffici vuoti, ai suoi collaboratori se non disoccupati certo molto meno indaffarati di un tempo. No, non ci sono più le code di imprenditori, l'avvocato a fianco, «ansiosi» di confessare (e così sperare di uscirne). Ne avevano discusso, in procura, lui, Davigo, Colombo, Greco, D'Ambrosio. Anche a Borrelli lo avevano fatto presente: nessuno parla più. Questione rimasta chiusa nelle stanze del quarto piano, fino a ieri. Fino allo sfogo al processo discariche dove questo non poteva mancare. «Fino a dieci giorni fa noi scoprivamo dieci fatti di reato al giorno, riempivamo in media duecento pagine di verbali al giorno. L'altro ieri ho incontrato il collega Greco che mi ha chiesto: perchè non mi mandi più verbali? Ma perchè non ne arrivano più». E' cambiato il clima a Palazzo di giustizia, un cambiamento palpabile: gli attacchi politici, l'ispezione, l'incertezza, gli avvocati che rialzano la testa...Tutto contribuisce a convincere chi aveva qualcosa da raccontare a star zitto, aspettare alme¬ no che le cose si chiariscano. Parlano malvolentieri i magistrati del pool e i loro assistenti, ma qualcosa vien fuori. «C'è stato un cambio di strategia - spiegano - da parte degli avvocati, anche di quelli che prima accompagnavamo con sollecitudine i loro assistiti». Ma non è solo un problema di quantità: anche la qualità delle poche confessioni è cambiata. Si dice ancora: «Prima venivano qua, raccontavano i singoli episodi confortando le loro confessioni con documenti: tutto l'iter dell'inchiesta era quindi rapido, con pochi ostacoli. Adesso parlano a fatica, dicono il minimo indispensabile». Un atteggiamento differente non solo tra gli imprenditori, ma anche tra pubblici funzionari corrotti. C'è chi ricorda, tra i magistrati, che anche nell'inchiesta sulla Guardia di Finanza, la più delicata e difficile di «Mani Pulite», diversi militari si erano presentati spontaneamente: «Arrivavano da noi, confessavano il reato commesso quasi si trattasse della liberazione da un incubo. Dicevano: voglio patteggiare e poi cambiar pagina nella mia vita». Adesso questo clima, quasi fosso ima catarsi necessaria, non c'è più: «I possibili indagati stanno tutti sugli spalti a vedere come finisce la partita», è il commento. Se cioè vince Di Pietro e Mani Pulite oppure se ha il sopravvento chi vuol chiuderò (politicamente o con altri mozzi) l'intera inchiesta. Il silenzio si spiega anche con la diversa considerazione «sociale» che ha chi confessa: «Qualche tempo fa - dicono sempre in procura - c'era quasi la corsa ad arrivare primi, per evitare la chiamata in correità fatta da altri e sembrare quindi quelli che avevano più cose da nascondere. Adesso chi confessa è considerato un 'mascalzone', un 'traditore', ha paura del discredito di amici e collaboratori; e sopratutto si chiede: ma chi me lo fa fare?». Anche perchè, aggiungono in procura, adesso le indagini sono molto più ostacolate: la «macchina» mossa in piedi da Di Pietro e colleglli - indagini patrimoniali, rogatorie all'estero, collaborazione di banche e aziende - ha il freno innestato. La «via milanese alle indagini», come la definisce Di Pietro, è diventata tutta in salita: «Amarezza nell'amarezza». [r. m.] «I possibili indagati restano in attesa Vogliono vedere chi vince la partita» Il sostituto procuratore Piercamillo Davigo

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