Clinton in Siria eppure Assad si muove di Fiamma Nirenstein

Il leader del Likud: non vogliamo tutori stranieri sul Golan. Rabin: la nostra capitale non si tocca Il leader del Likud: non vogliamo tutori stranieri sul Golan. Rabin: la nostra capitale non si tocca Clinton in Siria; eppure Associ si muove «E'proprio un duro, ma prima o poi firmerà la pace» GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO «Perche mai gli israeliani non dovrebbero crederci quando parliamo di pace? Perché dovremmo fornire rassicurazioni formali? Chi ha mai detto che queste rassicurazioni siano legate a scambi di visite fra siriani e israeliani? Noi non dobbiamo provare niente a nessuno. Semmai, dovrebbero essere gli israeliani a provare a noi la loro volontà di pace. E del resto mi risulta che anche Rabin abbia asserito, se la memoria non m'inganna, che le nostre intenzioni sono serie». Inaspettatamente alterato di fronte alla domanda del giornalista israeliano Hafez Assad, ritto a fianco del presidente americano Bill Clinton nel Palazzo del Popolo eccezionalmente aperto alla stampa internazionale, ha così, a modo suo, ribadito tuttavia la sua volontà di portare avanti il processo di pace; e ha confermato sotto gli occhi un po' preoccupati del suo prestigioso interlocutore di essergli legato da una promessa. Clinton era arrivato alle 8 e mezzo del mattino all'aeroporto di Damasco dopo aver percorso più agevoli terreni il giorno avanti: la cerimonia di pace fra Giordania e Israele all'Arava, poi da re Hussein dopo un glorioso discorso al Parlamento giordano. Infine, ieri, l'osso duro del coraggioso viaggio i a Medio Oriente, la tappa sconsigliata da parte dei suoi esperti: la visita ad Assad, il presidente siriano. Un interlocutore duro, un regime dittatoriale che è sulla lista americana dei sostenitori del terrorismo internazionale, degli Hezbollah, di Hamas, degli integralisti islamici. Un capo di Stato irritato per non essere stalo in primo piano mentre palestinesi e giordani portavano a compimento i loro accordi con Israele; e la ricerca dell'accordo più difficile per Israele, ovvero il ritiro da tutto quanto il Golan occupato. E qualcosa, anche se ancora i risultati non sono del tutto chiari, Clinton ha certamente portato a casa. E l'ha confermato il suo segretario di Stato Warren Christopher che, arrivando in Israele, ha fatto un'inconsueta dichiarazione ottimista: Clinton e Assad hanno fatto sostanziali progressi. Assad ha esordito esprimendo grande soddisfazione per la visita del Presidente americano, e ha confermato in stile formale che nel colloquio durato più di un'ora si era proceduto sulla strada della pace che tutta la popolazione dell'area desidera. E ha subito citato le Risoluzioni dell'Orni 242 e 338, che, come si sa, vertono sul principio «terra in cambio di pace». Assad ha ribadito con molta decisione che la pace, per essere durevole, deve restituire alla Siria l'intero Golan; se questo avverrà, ha concesso Assad alla platea internazionale, significherà che con Israele finalmente verranno stabilite «relazioni normali». Non è però poi entrato nei tanto desiderati dettagli; ma si può arguire che l'argomento sia stato affrontato con Clinton. Senza la Siria, Assad ha orgogliosamente ricordato, nessuno potrà mai parlare di quella pace onnicomprensiva per cui il presidente Clinton offre il suo prezioso aiuto. Clinton, prima che si scatenassero i giornalisti, ha voluto citare la pace appena firmata fra Israele e Giordania: Assad si era ben guardato dal ricordarla. Ma subito dopo il Presidente americano ha dato a Assad tutta l'importanza che ai suoi occhi Damasco merita: «Se Israele e Siria saranno in grado di trovare la loro pace, tutto il mondo arabo dovrà finalmente accedere a questa idea». Clinton ha chiarito che anche gli Stati Uniti sono d'accordo per l'applicazione delle risoluzioni dell'Onu, ovvero che Israele deve restituire il Golan alla Siria, ma subito dopo ha garantito che la pace potrà compiersi solo in condizioni di massima sicurezza. E nel dir questo parlava agli israeliani. Dovrà essere, ha detto Clinton, una pace «vera, sicura», che preservi tutti «dagli attacchi a sorpresa». Così dicendo l'America ha ribadito il pesante impegno di farsi mallevadore di qualsiasi patto possa più o meno velocemente restituire il Golan alla Siria. I giornalisti, specie quelli americani, sono andati dritti al segno battendo sul tasto delle coperture siriane al terrorismo: ma Assad su questo ha mostrato un volto fra l'impassibile e lo stupito, dell'uomo abituato a non tenere alcun conto dell'opinione pubblica e dei media: «Vorrei sfidarvi tutti, voi giornalisti, a citare un solo incidente in cui la Siria sia stata coinvolta. E comunque col presidente Clinton abbiamo parlato del processo di pace, e non di terrorismo». Ma qui Clinton ha ripreso la parola senza esserne richiesto, in evidente polemica col Presidente siriano: ci siamo detti che ambedue, poiché sosteniamo la pace, non vogliamo e non tolleriamo gli eccidi di popolazione civile innocente. «E'un uomo duro - ha detto Clinton parlando di Assad sull'aereo per Tel Aviv - ma vuole sicuramente concludere la pace». E l'ha confermato alla Knesset e nella conferenza stampa, aggiungendo: «Sbaglierei a rivelare i dettagli dei nostri progressi». Il presidente siriano, ha rivelato, si è persino detto spiaciuto per l'attentato al bus a Tel Aviv. Solo il leader del Likud, Netanyahu, ha guastato la festa, affermando che Israele non ha bisogno di tutori stranieri sul Golan: l'America ha offerto truppe per garantire la pace con la Siria. Uno sgarbo che certo avrà strascichi in Parlamento. Fiamma Nirenstein Clinton con Assad nel palazzo presidenziale di Damasco alla fine della conferenza stampa