Servello un superministro per lo sport di Filippo Ceccarelli

L'anziano dirigente di An «ripescato»: era stato tagliato fuori dalle nomine ministeriali L'anziano dirigente di An «ripescato»: era stato tagliato fuori dalle nomine ministeriali Servello, un superministro per lo sport Una poltrona per ilpiù berlusconiano dei missini UNA POLTRONA SU MISURA AROMA NCORA un piccolo sforzo, un altro consiglio dei ministri e Franco Servello sarà accontentato con lo sport. Sottosegretario, commissario, supervisore, coordinatore, direttore, conduttore, controllore dello, allo o per lo sport: chissà con quale immaginosa formulazione la maggioranza di governo riuscirà a trovare, finalmente, un posto non tanto al più berlusconiano dei missini, quanto all'unico che per crudele paradosso era rimasto finora a bocca asciutta. Almeno in teoria l'attendono tribune d'onore, stadi, leggi, atleti, impianti, applausi, tifoserie, quattrini, prestigio e forse anche gloria. In pratica, alla veneranda età di 73 anni e al termine di una carriera tutta Prima Repubblica questa singolare figura di fascista ex antifascista, ma non per questo discriminato a metà, questo missino prezioso amico di ricchi industriali non missini, questo milanese nato negli Usa da famiglia calabrese, insomma Servello dovrà vedersela con una società politica quasi del tutto calcisticizzala e con una comunità sportiva integralmente politicizzata nel segno del berlusconismo trionfante. Personaggio, non c'è dubbio, d'altri tempi. Come Remo Gaspari Servello è figlio di un sarto emigrato negli Usa. Per un beffardo destino, il giovane Francesco è sbarcato in Italia al seguito degli alleati, scrivendo qualche articolo (di troppo). Nipote del giornalista De Agazio, il direttore del Meridiano ucciso nel 1947 dalla Volante rossa, fece parte da subito, con Almirante, Pettinato, Pini, dell'ala più sociale, repubblicana e di sinistra del neo-fascismo milanese. L'aneddoto più piccante e paradossale - della sua biografia risale al 1952, quando in uno scontro un po' cannibalesco con i destri, moderati, monarchici e clericali del msi furono riesumati quei suoi articoli (di troppo) sul Cerniera di Salerno. Articoli - orribile a dirsi - più che antifascisti, gravemente offensivi sul duce morto e sepolto. Il segretario moderato Michelini, quindi, lo convocò, si rifiutò di stringergli la mano e lo dichiarò decaduto, forma soft di espulsione. In seguito fu riammesso. Altri brividi - a meno di considerare i sanguinosi tumulti dell'aprile 1973, quand'era federale, e alcuni peraltro quasi sempre vani virtuosismi precongressuali nell'ultima era missina - non se ne conoscono. Serio, burbero, preciso, introverso, pragmatico, gran lavoratore e incassatore, il personaggio sa un po' di già visto. E anche la nomina, del resto, sembra d'altri tempi: alla democristiana, con invenzione e moltiplicazione di poltrone, e pure imposta con quel sovrappiù famelico di occupazione del potere ormai piuttosto tipica di An. Competenze sportive, così così: un'indubbia passione, un'agenzia di stampa, il consiglio dell'Inter fin dai tempi d'oro di Moratti. Ma in dotazione al suo nuovo incarico Servello porta con se il fascismo sportivo, che è cosa meno trascurabile di quel che si possa pensare. Missini, in altre parole, sono stati famosi dirigenti, grandi atleti, valenti giornalisti: dal famoso telecronista Enrico Ameri al mitico presidente della federazione di atletica Bruno Zauli, passando per Duilio Loi, Nino Eenvenuti, Gabriella Dorio, i calciatori Wilson e Chinaglia. Fascista, e anche lui molto amico del futuro commissario, è stato anche uno degli ultimi presidenti del Coni, Arrigo Gattai. Adesso la circostanza fa un po' ridere, ma al momento della nomina, 1987, d'intesa con un silentissimo Servello, Gattai fu fatto passare per craxiano. E magari il trionfo un po' arraf¬ fone di oggi compensa in qualche modo quella mortificazione. Ma tant'è. Più interessante, al di là delle beghe e delle occasioni perse dai post-missini, è notare che proprio la nomina di un missino conferma l'intreccio inestricabile tra politica e sport. E ancora di più certifica fino a che punto quest'ultimo segua, si sagomi, si componga e ricomponga in base a chi comanda. Secondo i tempi e i modi di un potere che oggi quasi non distingue, in un'area dove lo spettacolo si confonde con il consenso, l'emozione artificiale con l'applauso finto. La situazione odierna, con un presidente del Consiglio che ha inventato la tv commerciale e parla del Milan presentando il suo governo - o, da un altro punto di vista, presenta il suo governo parlando del Milan - è addirittura abbagliante. Ma in fondo, anche per rimanere a destra, Achille Lauro, presidente del Napoli di Jepson, aveva già capito parecchie cose. Il passaggio dai circensens a uno sport degno di una politica da società di massa, tuttavia, si deve - indovina, indovinello - a Giulio Andreotti, non a caso presidente del Comitato per le Olimpiadi del 1960. Immissioni di politici nelle federazioni, pietismi cattolici e accorgimenti clientelari (nella boxe Evangelisti si preoccupava di dare una pensioncina ai pugili suonati, altrimenti assunti come uscieri), lottizzazioni più o meno latenti (il Coni a Nenni), piccole furbizie a sfondo tifoso e campanilistico (mediazioni, calciatori oriundi, per dire, chiamati alle armi e immessi nella nazionale): così la de perfezionò, imbalsamandolo a lungo, il rapporto di vicinanza tra politica e sport. Poco riuscirono a influire i comunisti (giusto la Federboxe a Marchiaro). Contrabbandando spesso una credenza miracolistica sulle virtù salvifiche e pedagogiche dello sport, strumentalizzando volentieri vittorie (vedi Pertini e Spadolini), il ceto politico s'illudeva forse di guidare trasformazioni epocali che facevano intanto dello sport il luogo di colossali affari e di moderni, anche pericolosi riti di massa. Personaggi intercambiabili come i Matarrese continuarono su quella scia fino ai luccicanti anni Ottanta, con la corsa insieme civettuola e spasmodica dei politici verso lo sport (Scotti al ciclismo, De Michelis al basket, Fracanzani alla pallavolo, Ciarrapico alla Roma) e viceversa (Rivera, Viola, Borsano). Berlusconi, l'unico ad aver capito tutto, tirava la rete e si prendeva l'Italia. Al suo confronto il beneficiato Servello sembra rimasto all'età della pietra. Filippo Ceccarelli Cacciato e poi riammesso nel msi Per Michelini era troppo moderato Due immagini di Franco Servello, a destra con il segretario storico del msi Giorgio Almirante

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