Ricordando Ugo Buzzolan e il video non ancora padrone di Ugo Buzzolan

f TIVÙ'& TIVÙ' Ricordando Ugo Buzzolan e il video non ancora padrone y ALTRA sera in televisione ha debuttato il nuovo programma di Pippo Baudo, dove Benigni ha messo in atto le sue annunciatissime incursioni, e la Rai ha celebrato se stessa; Gianni Mina ha presentato lo speciale dedicato a Massimo Traisi, toccante, commovente: com'è commovente «Il postino», il film di Radford con l'attore così smagrito e stanco. Su Raitre «Chi l'ha visto?» riproponeva i suoi casi davanti a una nuova scenografia tutta azzurra, mentre le reti Fininvest impazzavano con i film. Tutto questo, e molto altro, si poteva vedere martedì in tv. Ma a Torino, grazie all'associazione «Il libro ritrovato», si ricordava Ugo Buzzolan, inventore della critica televisiva, per lunghi anni critico della «Stampa» (u. bz. la sua famosissima sigla), scomparso nell'ottobre del 1990: e questo, per noi, era l'appuntamento più importante della serata. Lo ricordavano i suoi amici, Diego Novelli, Guido Davico Bonino, Ugo Gregoretti. Ricordavano il dopoguerra comune e la sinistra, la passione per la letI teratura, la memoria, le sere I passate in collina, con Luigi Fir¬ po che inventava poesie. Oltre al Buzzolan critico, esisteva il Buzzolan scrittore. Aveva pubblicato nel 1975 «Cronaca familiare», un libro fatto di gustosissimi racconti di vita vissuta, o immaginata come vera. Quando mori, aveva appena terminato un nuovo romanzo, che, dai brani letti l'altra sera da Mauro Avogadro, si intuiva aspro e forte. Ugo Buzzolan ha seguito la televisione nel suo divenire. Dai momenti in cui i programmi erano seguitissimi dal pubblico (folle oceaniche per «Lascia o raddoppia?»), ma ritenuti un genere assolutamente minore dagli intellettuali, un genere di cui non ci si doveva occupare. Gli intellettuali non guardavano la televisione, o se la guardavano ne parlavano male. A forza di non guardarla, si sono fatti bagnare il naso in tutto: la televisione ha ha via via superato, per forza e impatto, ogni tipo di spettacolo, ha battuto la cronaca, ha inventato la realtà. E' bello ricordare, qui, le battaglie di Buzzolan: contro la censura nei varietà (i famosi «mutandoni delle ballerine»), contro ogni pregiudizio politico, contro la lottizzazione; e per la prosa sul video, per l'informazione imparziale, per il «Circolo Pickwick», lo sceneggiato-simbolo che invertì la rotta rispetto ai polpettoni strappalacrime, pur dignitosissimi, di Majano e Boichi. Furono lotte infuocate: la critica in generale, non soltanto televisiva, possedeva ancora una funzione chiara, rappresentava un criterio interpretativo. Al video non si chiedeva ancora di sostituirsi alla vita, né il video era responsabile di tutto, dall'omicidio di una quindicenne all'esito delle elezioni, dal crollo del cinema ai ragazzi che non studiano più. L'agitazione politica che circonda adesso questo nostro piccolo schermo, questo «elettrodomestico», come lo definiva Eduardo, è fortissima. In realtà ti accorgi che il pubblico è meno coinvolto di quanto l'audience farebbe pensare, accende la tele, la tiene come sottofondo, spesso non sa che cosa vede e tanto meno su quale canale. La «gente» è distratta, ma gli intellettuali attenti: e non c'è più Buzzolan ad aiutarci a capire Alessandra Comazzi

Luoghi citati: Boichi, Majano, Torino