«Le nostre reti affondano in un'enorme fogna» di Fulvio Milone

«Le nostre reti affondano in un'enorme fogna» «Le nostre reti affondano in un'enorme fogna» IL PATRIARCA DEL PORTO BARI DAL NOSTRO INVIATO Se gli avessero spiegato che nella sua lunga vita avrebbe visto la guerra e il colera non una, ma due volte, forse avrebbe preferito chiudere gli occhi da un po' di tempo. Invoce Nicolino Tomasicchio è qui, più segaligno che mai, che sbircia con gli occhietti mobilissimi il mare sporco che bagna il molo di «'nderre la lanze», l'antico porto che è da sempre il punto di ritrovo dei pescatori. Con i suoi ottantaquattro anni suonati è considerato un patriarca della vecchia Bari, o meglio di «Barivecchia», come qui chiamano il centro storico della città: un susseguirsi di vicoli immacolati, imponenti chiese di pietra chiara e ampie piazze assolate che stanno tornando di moda fra i professionisti della media borghesia. Nicolino, decano dei «barivecchiani», vive con la figlia Nannina. Abita in una stanza al pian terreno di una graziosa palazzina, nei pressi di un vicolo il cui nome evoca un'antica rassegnazione: «Lascia fare a Dio». Conosce il mare di Bari come nessuno, ha cominciato a pescare all'età di dodici anni e ha ancora oggi muscoli a sufficienza per remare oltre la baia, ma non troppo lontano dalla costa, dove ancora abbondano cefali e polpi. Parte con il suo gozzetto ogni mattina alle cinque, e rientra alle undici. In fondo sarebbe un vecchio felice, se non fosse per quella massa liquida che di anno in anno si fa sempre più limacciosa e acquista un colore sempre più scuro. «Credete a me, il mare lo stanno ammazzando», dice in un dialetto strettissimo, a volte incomprensi- bile, mentre scruta l'orizzonte oltre il parapetto. Nonno Nicola, chi sta uccidendo il mare? «I baresi, quelli con i soldi. Sono loro che hanno portato il colera, non noi pescatori. La città è troppo affollata, le fogne scoppiano. Sboccano proprio qui, a " 'nderra la lanze", dove nessun sindaco e nessun deputato ha pensato di pulire il fondale che è sempre più basso. Qui, 30 anni fa, il mare era cinque, sei metri. Ora non supera i cinquanta, 60 centimetri. E' pieno di melma e di chissà quante schifezze». Voi pescatori lavate il pesce in quest'acqua. Non dovreste farlo. «E dove dobbiamo pulirlo? Non è colpa nostra se il mare è ridotto in questo stato». Un tempo non era così. «No, non era così. Quand'ero ragazzo guardavo il mare come si guarda una bella femmina. Decisi di fare il pescatore anche se la mia era una famiglia di falegnami. La vita era dura, la barche a motore non esistevano, si andava a vela o con i remi. Ma quando uscivi per mare avevi la certezza di tornare con il gozzo pieno di ben di Dio. I cefali li infilzavo con il tridente. La roba era tanta che non riuscivo nemmeno a venderla, anche perche non c'era tanta gente che la comprasse. Sa, a quel tempo Bari era poco più che un paese. Qui, da " 'nderra la lanze", vedevamo solo il teatro Margherita, il Petruzzelli e la Camera di Commercio. Il resto era campagna. E a casa non avevamo neanche il cesso, la vasca da bagno e la corrente elettrica. A proposito: la conosce la storia dell'inventore della luce elettrica, Marconi?» Veramente non era Marconi... «Vabbè, gliela racconto lo stesso. Marconi trovò -il sistema per fare la luce, ma l'Italia non lo capì. Gli inglesi, che sono ricchi, se lo chiamarono e Marconi illuminò l'Inghilterra. Ma poi lui disse: il mio sangue è italiano, così tornò qui e diede la luce pure all'Italia...». Ma un Marconi per Bari non c'è, non crede che i tempi siano cambiati? «E già, vent'anni fa arrivò pure il colera: peggio della guerra. Per noi pescatori fu la fine. La polizia ci impediva di lavorare. Su al Comune non sapevano che fare, così se la prendevano con noi addossandoci ogni colpa. Un giorno trovai un banco di pesci morti che galleggiava qui davanti. Erano stati avvelenati dal disinfettante che avevano messo nelle fogne e che era arrivato fino al mare. Una strage». C'era un'epidemia di colera, le autorità dovevano fare qualcosa... ((Avrebbero dovuto tenere l'acqua più pulita e non scaricare qui tutte le porcherie che arrivano dalla città e dalla provincia. Vede quel tratto di mare dal colore marrone? Lì c'è lo sbocco di una fogna. Lo chiamiamo il canalone, porta i liquami di Carbonara, Bisceglie e chissà di quanti altri paesi. Hanno sporcato il mare, che quando fa caldo puzza da morire. Solo i signori sembrano non accorgersene. E sì che dovrebbero sentirlo, l'odore, quando vengono a passare la serata al circolo della vela: il terrazzo affaccia proprio sulla baia. All'inizio di settembre sono arrivati anche Tatarella e Berlusconi, che hanno mangiato le seppioline crude. Qualcuno dice che il giorno dopo si sono sentiti male. Chissà se è vero». Il colera è tornato, anche se non c'è un'epidemia. Non ha paura di mangiare il pesce crudo? «Paura io? Lo sa con chi sta parlando? Con Nicola Tomasicchio, pescatore da settantadue anni. Il mio stomaco si è abituato al pesce. Mi sento male solo quando mangio la carne. Giovedì scorso ho portato un po' di allievi (seppioline, ndr) a mio figlio. Quando le ha viste si è messo a gridare: papà, sei pazzo, lo sai che c'è il colera. Lui le ha mangiate fritte, io crude. Ho ottantaquattro anni, e visto che devo morire preferisco farlo a modo mio». Fulvio Milone

Luoghi citati: Bari, Inghilterra, Italia