Signori ma come si può bocciare un Kennedy? di Vittorio Zucconi

Signori, ma come si può bocciare un Kennedy? Signori, ma come si può bocciare un Kennedy? L'ULTIMO FRATELLO Ai LLA fine ce la farà, perché alla fine i Kennedy ce la fanno sempre a salvare il loro nome, se non le loro vite, dalle pallottole degli assassini, dagli insulti della storia, dalle trappole dei loro insaziabili vizi e delle loro grandi virtù. Ted Kennedy, affettuosamente conosciuto e descritto sui media come «il dinosauro», «il bulldozer», «l'ubriacone», «il donnaiolo», e «il senatore che pensa con il suo membro virile» (la citazione letterale sarebbe un po' diversa, ma questo è un quotidiano per famiglie) sopravviverà alla sfida elettorale che lo aspetta l'8 novembre prossimo: gli ultimi sondaggi dicono che sconfiggerà il pericolosissimo avversario repubblicano Romney e che riporterà ancora una volta sul seggiolone senatoriale che occupa ormai dal 1962 i suoi 100 chilogrammi di peso e il suo volto straordinario, sul quale «sta incisa come sulla roccia di una grotta» scrisse l'amico e biografo Robert Scheer su e dove altro? - «Playboy» tutta la storia di una vita di eccessi, di trionfi, di dolori immensi. Ce la farà a vincere perché nei recessi del suo corpo massiccio e in perenne movimento, nel profondo delle rughe scavate da troppe bottiglie, troppe donne e troppi lutti, Edward, l'ultimo fratello, ha trovato l'energia e l'umiltà per buttarsi nelle strade di Boston, il suo collegio, sbalordendo noi reporters che dobbiamo seguirlo ansimando. Ha ritrovato il gusto di battere le case uscio per uscio, di salire le scale degli ospedali per visitare, come i Re Taumaturghi capetingi, gli scrofolosi e i moribondi, le ragazze madri e gli orfani, i poliziotti in servizio e i postini grondanti pioggia sotto il vento che soffia di traverso dall'Atlantico. Ha persino ipotecato la sua modesta casetta washingtoniana, valutata dalle banche 8 miliardi e mezzo di lire, per ricavarne un prestito di due miliardi con il quale finanziare gli spot elettorali. Il Re di Boston, il decano dell'unica famiglia reale che l'America possieda è sceso dal cavallo del suo nome, per non morire dell'unica morte che un Kennedy non può sopportare: la trombatura elettorale. Ma anche l'inattesa strizza elettorale inflitta dal suo concorrente, tanto più sbalorditiva se si pensa che Romney è un repubblicano nella Boston democratica, animale inconsueto come una giraffa nelle Dolomiti, è in fondo solo un pretesto, un'altra occasione, per tornare a contemplare il corpulento e inesauribile mistero dei Kennedy, attraverso «l'ultimo fratello». Negli ultimi anni, il suo nome, la sua immagine si erano terribilmente corrotti. La complicità, largamente maschile, dei mass media per i suoi eccessi falstaffiani si era incrinata sotto l'urto di una sensibilità collettiva sempre più femminile che non intende più condonare gli atteggiamenti da «sultano dell'harem» nei quali Ted indulgeva. Le leggendarie bevute notturne a volte concluse da scazzottature nei bar dei «Capitol Hill», il quartiere del Par- lamento, il suo «womanizing», la sua caccia continua alla sottane, la famosa serata in un night di Palm Beach dove era andato a bere e a «rimorchiare» con il nipote Willy Smith, poi accusato di stupro, il dramma della moglie Joan, finalmente costretta al divorzio e all'alcolismo, le voci di qualche tiratina di «caramella da naso», di cocaina, avevano spezzato anche l'astuto scudo politico dietro il quale Ted si era sempre protetto: neppure fare il «femminista» e il «liberal» in Parlamento di giorno gli faceva perdonare i comportamenti privati da signore feudale, Ius Primae Noctis compreso, di notte. L'umiliazione pubblica, il sug- gello a quella che sembrava l'ormai irrestibile caduta del «mito K», venne durante le udienze del caso Hill-Thomas, quando la commissione giustizia del Senato dovette esaminare le accuse di «molestie sessuali» lanciate dall'avvocata Anita Hill contro il giudice della Corte Suprema, Clarence Thomas. In quell'occasione, e in quelle circostanze, «le galline tornarono tutte nel pollaio dei Kennedy», come dicono gli americani, i vizi e vizietti del «Dinosauro» riaffiorarono dal passato e lo beccarono. Mentre l'America di sinistra, femminista e anti Thomas si aspettava che Ted guidasse la carica contro il giudice, il Senatore dovette restare zitto, umiliato, imbarazzato sul suo scranno. Gli avversari politici non avevano lasciato dubbi: se avesse osato attaccare, gli avrebbero rovesciato addosso tutta la spazzatura scandalistica accumulata in 63 anni di avventure e trasgressioni. «Ted Kennedy, l'amico delle donne, è un enciclopedia ambulante di molestie sessuali» scrisse il columnist conservatore Cai Thomas. Dunque, stia zitto. «Ted, addio - lo congedò Ellen Goodman, scrittrice femminista e sua ammiratrice - la tua vita si è finalmente rivoltata contro e ti ha morso». Cominciò allora, di fronte alla prospettiva concreta, terrorizzante, di un licenziamento elettorale alle «politiche» dell'8 novembre prossimo, la fatica della restaurazione del Kennedy. Scaricata la moglie Joan, sposò un'avvocata di 20 più giovane, Victoria. I pubblicisti kennedyani, ancora numerosi e formidabili, diffusero subito l'immagine di una Victoria, «Vicky» per il marito, che aveva afferrato le redini del vecchio puledrone indomito e ne aveva fatto un uomo tutto casa e famiglia. E niente «booze», niente alcol. I consulenti politici lo spedirono subito nel feudo di famiglia, a Boston, per fare pubbliche ammende e promesse di redenzione: nell'America di oggi, la redenzione del peccatore va molto di moda. I manipolatori di immagine lo costrinsero a perdere qualche chilo per alleggerire il formidabile stomaco da grande bevitore: una dieta, nell'America di oggi, è l'equivalente del cilicio, un alto di contrizione religioso. Non importa che le voci e i mormorii di Washington insinuassero che il pentimento era di facciata, che dietro la moglie e la dieta, il vecchio Ted continuasse la dolce vita di sempre. L'immagine è tutto. E l'immagine stava cambiando. Venne anche una morte, questa morte che perseguita e insieme esalta i Kennedy, ad aiutarlo: quando Jacqueline morì, toccò a lui, ancora una volta, pronunciare l'orazione funebre d'addio alla ex cognata e la sua voce, ferma, commossa, nobile risuonò nelle case c nella memoria degli americani con la forza di un'evocazione struggente. Come si fa a trombare un Kennedy? E ora, guardiamo con sbalordimento il Senatore Preistorico, l'ultimo fratello, il ragazzo scellerato che portò alla morte la «segretaria» Mary Jo Kopechne nello stagno di Chapaquiddick e la lasciò affogare senza tentare di soccorrerla, mentre sale i gradini della City Hall di Boston per corteggiare il sindaco, mentre invita noi reporters nel suo pied-à-terre bostoniano per farci vedere l'album di famiglia, le foto appese ai muri, le immagini che abbiamo visto mille volte, lui con JFK, lui con Bobby, lui al funerale, lui a un altro funerale, lui con il padre, il vecchio Jo che pianse in silenzio, ormai prigioniero dell'ictus che lo avrebbe ucciso, quando Ted gli confessò la storia di Mary Jo a Chappaquiddick. E' un trucco, una trappola, un gimmick per rimescolarci dentro, a noi reporters, lo nostalgie, i rimpianti, i ricordi. Ma funziona, e i sondaggi risalgono. Come si fa, ragazzi, a trombare un Kennedy? Vittorio Zucconi Memorabile la sua orazione funebre per l'ex cognata Jacqueline John Fitzgerald Kennedy il fratello maggiore che Ted ha sempre citato come suo modello

Luoghi citati: America, Boston, Washington