L'allarme-colera contagia anche Taranto di Fulvio Milone

Nuovo caso sospetto a Bari. Dalla Campania alla Toscana scatta il piano di prevenzione Nuovo caso sospetto a Bari. Dalla Campania alla Toscana scatta il piano di prevenzione L'allarme-colera contagia anche Taranto Marinaio ricoverato dopo ilpranzo con cozze crude BARI. Altri due casi sospetti di colera, l'uno a Bari l'altro a Taranto. Nelle prossime ore le analisi di laboratorio dovranno confermare o smentire. A Bari è ricoverato un uomo di 50 anni, affetto da gastroenterite, su cui sono in corso accertamenti. L'esito delle analisi si conoscerà in mattinata, ma il professor Gioacchino Angarano, aiuto della clinica infettivi del Policlinico, e convinto che non si tratti di colera. Nell'ospedale Santissima Annunziata di Taranto è invece ricoverato da domenica pomeriggio un sottufficiale della Marina militare. Ha 26 anni ed è imbarcato sull'incrociatore Vittorio Veneto, dove sabato 20 marinai sono rimasti intossicati da salmonella dopo essere andati a mensa. Il sottufficiale ha invece accusato i classici sintomi provocati dal vibrione dopo avere mangiato cozze crude. Ora si attendono le analisi di laboratorio. Finora i casi di colera, tutti a Bari, sono stati tre, anche se sull'ultimo di essi (quello che riguarda un'anziana di 88 anni) non ò stato possibile ottenere un riscontro con i dati di laboratorio, probabilmente perché la donna ha assunto, nella fase acuta della malattia, massicce dosi di antibiotici che hanno potuto neutralizzare il batterio «el tor». L'anziana ora sta meglio. I controlli proseguono sempre più intensi sulla rete fognaria barese. L'Ente autonomo acquedotto pugliese ha disinfettato con il cloro le condotte. A Taranto i controlli sulle tubazioni che sfociano in Mar Grande hanno portato alla scoperta del vibriocolera, ma si tratta di un batterio del tutto innocuo, presente normalmente nella flora batterica delle acque non pulite. Accertamenti sono in corso anche in Mar Piccolo, bacino in cui, nonostante sia vietato, vi sono coltivazioni di mitili. La Capitaneria di porto ha sequestrato quasi 120 chili di cozze non depurate. Ma la sindrome del colera non interessa soltanto la Puglia. Misure di prevenzione sono scattate un po' ovunque. A Napoli e in tutta la Campania, dove non si registra finora alcun caso sospetto, le Usi sono st:-te allertate per attuare «idonei programmi di di¬ sinfezione». E in Toscana l'assessore regionale alla Sanità Claudio Carosi ha diffuso un decalogo con le misure igieniche da adottare per evitare il contagio. All'erta, sebbene non vi siano casi segnalati, anche in Lucania e in Molise. Nonostante le notizie si accavallino, le autorità sanitarie rassicurano che è tutto sotto controllo e che nessuna epidemia è possibile. Il professor Giuseppe Pastore, primario della clinica malattie infettive dell'Università di Bari, affer¬ NELL'OSPEDALE TRASFORMATO IN BUNKER BARI DAL NOSTRO INVIATO La partita si sta giocando qui, nel policlinico che con quel muro di cinta alto due metri sembra una fortezza militare. Fuori c'è la città, la Metropoli piena di imprevedibili insidie. Non è che il nemico sia sconosciuto: si chiama «El Tor», nome decisamente eccessivo per una repellente bestiolina visibile solo al microscopio. Il problema è che il minuscolo nemico può nascondersi ovunque, in una fogna o nelle onde dalla spuma di un inquietante color marrone che lambiscono il lungomare Nazario Sauro. Oppure sulla pelle delicata di piccole triglie che qui chiamano «agostinelle» e di scppioline meglio note come «allievi», autentici totem gastronomici da venerare e assaporare rigorosamente crudi. «El Tor», il maledetto, comincia a fare davvero paura qui a Bari. Nessuno può saperlo meglio di loro, i medici del policlinico che stanno combattendo la loro aspra guerra contro il vibrione del colera. Parlare di psicosi è forse eccessivo, ma è pur vero che la città non si sente più al sicuro. Strana gente, i baresi: se la prendono con glnalbanesi sospettati di aver portato il pericoloso animaletto al di qua dell'Adriatico, ma poi non rinunciano ad addentare un'«agostinclla» fresca o un «allievo» appena spruzzato di acqua di mare al vibrione. E quando credono di intravedere in un banale dolore alla pancia i sintomi di un male ben più grave, esorcizzano la paura con una risatina e una battuta. L'altro ieri, al pronto soccorso, ne sono arrivati sette. Ieri, una decina. Tutti con gli stessi sintomi, diarrea e dolori addominali. Come il signor Luigi, commerciante in piazza Diaz. «El Tor» non è stato trovato proprio lì, in agguato sotto un tombino della fogna? Lui non dormiva da una settimana, da quando cioè aveva cominciato ad avvertire persistenti dolori addominali. E a scanso di equivoci si è portato da casa anche le mutande sporche per farle analizzare. «Continuava a ridacchiare mentre diceva: speriamo sia colera, così mi ricovero e prendo un po' di riposo - raccontano i medici -. Ma si vedeva che aveva una gran paura. Che fine ha fatto? l'abbiamo rispedito a casa, come gli altri. Non ha nulla di grave, anche se per precauzione abbiamo prelevato un campione delle sue feci per farlo analizzare. Non si sa mai». ma che «tra il primo e il secondo caso c'è stata troppa distanza (circa 12 giorni) e questo fa pensare che il fenomeno avrà un carattere di sporadicità contrariamente a quanto si verificò durante l'epidemia del 1973 con 81 casi accertati batteriologicamente e due morti». Viene rilanciata l'ipotesi che all'origine del colera a Bari ci sia una partita di pesce acquistata dai pescatori italiani da colleghi albanesi. Lo pensa il ministro della Sanità Raffaele I medici: «Vengono in tanti, ma per quasi tutti l'unica malattia è la paura» Sopra un'immagine di qualche tempo fa che testimonia il prelievo di acqua di mare per rinfrescare il pesce. A fianco immagini del mercato. A destra, il professor Angarano Costa, che per mercoledì ha convocato un vertice a Roma, e ne è convinto anche il sindaco della città, Giovanni Memola. Molto probabilmente - dice - e finita sui banchi di vendita del mercato una partita di pesce clandestino, cioè non controllato dal punto di vista sanitario». In serata si era diffusa la voce di un'inchiesta avviata dalla Procura della Repubblica presso la Pretura su un traffico di generi alimentari dall'Albania all'Italia. Ma la voce è stata smentita. E a que- «C'è un solo rimedio bloccare il business del mare. Lo vendono per rinfrescare i pesci» E' la barriera che separa il mondo dei sani da quello degli ammalati: ventidue ricoverati, tre dei quali infettati dal vibrione. Con loro c'è il professore Gioacchino Angarano, aiuto del reparto, che tra mille incombenze burocratiche («Ogni giorno sono costretto a spedire decine di fax agli uffici competenti», si lamenta) trova il tempo di studiare il fenome- no e correre ai ripari. Per lui il colera a Bari non è una sorpresa: «Quella non è una malattia che si ferma alle frontiere». Esclude l'eventualità di un'epidemia perché «l'organizzazione sanitaria italiana è avanti anni luce rispetto a quella albanese». Ma ammette che questa è una città «fragile» sotto il profilo sanitario, per via della brutta abitudine di molti abitanti di mangiare o maneggiare il pesce crudo «rinfrescato» con acqua di mare raccolta troppo vicino alla città. «Pensate che il mare qui a Bari si vende. Sì, lo vendono per tenervi immersi i frutti di maro e le seppie durante i banchetti nuziali», spiega Angarano che da medico ha dovuto trasformarsi in detective: una specie di Philip Marlowc in camice bianco con un'idea fissa: scovare «El Tor» l'assassino. Per quattro giorni, vale a dire da quando è arrivato il primo paziente ed è cominciata questa brutta storia, il professor Angarano ha interrogato, indagato, analizzato. Alla fine si è convinto che il maledetto vibrione si è installato a Bari nei giorni compresi fra il 9 e il 15 ottobre. Perché proprio allora? Lo dicono i pazienti, che hanno mangiato «allievi» e «agostinelle» crudi proprio in quella settimana. E' vero, i ricoverati avevano acquistato la merce in tre zone diverse della città. Ma le triglie e le seppioline, con ogni probabilità, erano poi state «rinfrescate» dai rivenditori nello stesso tratto di mare. «Il problema è proprio quello, il mare - spiega il professore Angarano -. Noi '73, quando Bari fu colpita dalla grande epidemia di colera, il sindaco emise un'ordinanza che impediva l'uso dell'acqua di mare per pulire il pesce. Quel divieto non è mai stato revocato, eppure nessuno l'ha mai osservato. E il maro che bagna la città è inquinato dagli scarichi fognari, l'habitat ideale per il vibrione». sta smentita si è aggiunta la puntualizzazione di una ricercatrice dcH'Oms, Maria Neira, secondo la quale è improbabile che il colera provenga da cibo importato: «In tutti gli annali della malattia è stato segnalato un solo caso di conteminazione da parte di cibo importato». Prooccupato por il calo dei consumi di pesce è la Federpesca che ricorda come i prodotti non costituiscano un pericolo. Sandro Tarantino Fulvio Milone