Monologhi e macchiette dalla vecchia Roma

Monologhi e macchiette dalla vecchia Roma Monologhi e macchiette dalla vecchia Roma GIÀ', Fabrizi. E' morto da quattro anni e sembra dimenticato da quaranta. I suoi personaggi si sono persi, l'Italia da lui portata in scena non esiste più. Anche perché era un'Italia arcaica, un po' eiabattona, vernacolare; ristretta a pochi quartieri della vecchia Roma: dove, al massimo, i bulletti rionali - solo ai Parioli si chiamavano gagà - ballavano lo «slove inglese» per poter esibire il «seltz appealle». Il protagonista di tante commediole cinematografiche Anni 50, osannato e subito rimesso in naftalina dai critici emunctae naris per il ruolo di don Pietro in «Roma città aperta», non ha mai incontrato il suo semiologo, che lo abbia imposto come esempio di maschera italiana. Eppure Fabrizi è stato, ai suoi tempi, il più genuino interprete della sua società; più autentico dello stesso Sordi, perché ha toccato le corde di una umanità più povera. In anni di miseria non soltanto spirituale, Fabrizi è stato specchio di un mondo umiliato e insieme complice della propria umiliazione, al quale ha saputo dare la voce più credibile, perché vi si identificava. Era figlio di un carrettiere in Campo dei Fiori; prima di diventare attore era stato fruttivendolo, vetturino, sarto, venditore ambulante; e, assai presto, poeta, naturalmente in romanesco. Il pubblico ricorda il Fabrizi di tante apparizioni radiofoniche e televisive; nel migliore dei casi il grande mastro Titta del «Rugantino» di Garinei e Giovannini. Ma il vero Fabrizi viene prima, nasce dalla polvere dell'avanspettacolo, dove l'uomo dai cen¬ to mestieri tenta l'avventura all'inizio degli Anni 30. Erano anni grigi per l'Italia, plumblei per quel mondo a cui l'attore doveva dare un volto. Ma Fabrizi aveva il genio di non guardare in alto. Guardava intorno, negli angoli delle strade, nell'interno delle case, dove non guardava nessuno. E portava alla luce la piccola vita che tutti gli altri fingevano di dimenticare. Quei testi, che si erano persi nella memoria collettiva, non più rintracciabili negli archivi, esistono ancora. E dobbimo essere grati alla nipote dell'artista, Maria Cielo Pessione, che oggi li ha recuperati per noi, in un volume dell'editore Theoria, Monologhi e macchiette (pp. 156, L. 20.000), con prefazione di Nico¬ |iN servizio... sempre sorriI denti, gentili, cortesi, acI quiescenti coi passeggeri. I Pochi giorni fa un signore *J pestò un piede a un altro: quello dice: - Come, mi pestate un piede e non ini chiedete neanche scusa? - Io me credevo che era er piede der tranviere... Le budella!!!... Però io zitto... guai a fà una mancanza... Presempio er fatto che ancora se vedeno sull'autobus le signore in piedi e li giovanotti a sede'... è bello questo? E' umano? E' gentile? E' giusto? E' edificante? E' civile? E' dopolavori¬ Aldo Fabrizi Gli rida voce a quattro anni dalla scomparsa l'editore Theoria el lidava della o, irsmisa fine veva irato a del Gla qdal'edThratore am la Fano. vare). E' un Fabrizi più plebeo e istintivo, ma anche più sottile nello spirito di osservazione e più prensile nella comicità, con qualche involontaria incursione nel surreale. Sfila in queste pagine una galleria di personaggi, ambienti, situazioni, restituiti con un linguaggio saporosamente popolano, come il pubblico a cui i monologhi erano destinati. Il personaggio che parla è il tranviere, il vetturino, il postino, il sarto: si sente che l'autore li conosce bene, pur nella deformazione caricaturale del palcoscenico. Straordinario il cicerone dei monumenti romani, per la comitiva di turisti presumibilmente provinciali (i giapponesi erano ancora di là da arri¬ Speravamo di trovare, nel libro, il monologo che ricordavamo di più: la radiocronaca della partita Gorgonzola-Zagarolo, irresistibile parodia delle trasmissioni di Nicolò Carosio alla fine degli Anni 30. Fabrizi ne aveva fatto un disco, che aveva girato tutta l'Italia. Il trio di difesa del Gorgonzola era Caciottina Provolone Mascarpone. L'attacco dello Zagarolo, Maccheroncini Maltagliati Bastoni Spaghetti I Spaghetti II. Chissà che la nipote di Fabrizi non possa ri trovarlo ancora, per risar ciré chi, come noi, non lo ricorda più tutto a memoria Giorgio Calcagno ratore amico mio che ieri ci ha otturato un buco co' 'na mattonella. B Non si conoscono bene le ragioni per cui il Colosseo sia stato costruito. Alcuni storici dicono che è stato costruito per giustificare il nome della piazza che si chiamava appunto piazza del colosseo pur non avendo nessun Colosseo. Altri affermano invece che sia stato costruito per dar modo ai signori che vengono dalle altre città di spedire agli amici cartoline con la veduta del Colosseo. Ma storici più autorevoli ci dicono che questo enorme edificio fu costruito perché un giorno l'imperatore Flavio disse distrattamente a un amico: - Vediamoci domani al Colosseo. E ricordandosi improvvisamente di non averlo ancora costruito si affrettò a farlo perché l'amico doveva parlargli di cose molto importanti.