MA WOJTYLA NON E' IL PRIMO PAPA SCRITTORE

MA WOJTYIA MA WOJTYIA NON E' L PRIMO PAPA SCRITTORE jTl ACCORDO, le esigenze / del mercato editoriale sono sacre, oggi, quanto le parole di un pontefice, Ima dire che questo sia il primo libro scritto da un Papa è esattamente una bugia pubblicitaria. Non ho il conto di quanti pontefici, sulla cattedra di Pietro, abbiano preso la penna in mano per scrivere libri, oltre che lettere, epistole, encicliche e sermoni, ma qualche nome illustre si può far uscire facilmente dalla memoria. Cominciamo con il più fecondo tra i pontefici e il primo grande scrittore medioevale, Gregorio Magno. I suoi famosissimi Moralia sono un testo di riflessioni che, partendo dal libro di Giobbe, si rivolgono a tutte le condizioni della vita. Enorme successo ebbero i suoi Dialoghi, racconti delle vite dei santi in forma di conversazione con un diacono (libro-intervista in anteprima), tradotti in greco, in arabo, in sassone, in francese. Il più delizioso e incantevole libro scritto da un Papa sono i Commentarìi di Pio II, Enea Silvio Piccolomini, pontefice umanista e scrittore ineffabile. Il libro è come il palcoscenico, visto dal trono di Pietro, di tutto ciò che accade in un'Europa splendida e barbarica sulla metà del Quattrocento. Sulla scena del narratore, si muovono solo Papi, imperatori e principi, responsabili di tutto nel bene e nel male: «Qual è quella calamità dei tempi che non sia imputata ai principi?». I Commentarii non sono soltanto un racconto, sono un pretesto per un gonfiore di splendida retorica, ma anche di antica, a volte amara, sapienza: «Erra il giudizio umano e l'ignoranza accompagna i mortali fino all'estrema vecchiaia». Leone XIII, papa Gioachino Pecci, era un felicissimo cultore di versi latini. Narrano che anche sul letto di morte, ormai vecchio di 93 anni, si facesse portare da leggere per diletto le Odi di Orazio. Egli stesso si abbandonava con gusto alla produzione di versi latini. Un anno prima che morisse, nel 1902, l'editore Sonzogno raccolse in un volume le sue odi ed elegie. La sua ultima poesia la scrisse sul letto di morte. Si intitola Nocturna ingeniscentis animae meditatio. Incomincia così: «Fatalis ruit hora, Leo; jam tempus abire est», incombe l'ora fatale, o Leone; è tempo ormai di andare. Si sa che anche papa Wojtyla è autore di poesie. Nel suo attuale libro Varcare la soglia della speranza egli riversa non soltanto la sua fede, ma anche la sua tensione mistica e l'inebriamento dello spirito. E' un libro di concentrazione spirituale. Ma si dice anche che Wojtyla non abbia mai cessato di scrivere poesie e che le conservi nel cassetto. Una l'ha donata qualche anno fa al cardinale Glemp. E' intitolata II pino polacco: è un albero sradicato dalla sua terra e portato in dono in Vaticano. Wojtyla gli si rivolge: «Tu non sopporti né l'esilio né la nostalgia. / Verranno le ondate dell'autunno e dell'inverno / e tu cadrai senza vita e riposerai in questa terra straniera. ; O albero valoroso, avrò io destino più felice?». Chissà che, dopo l'attuale libro della fede e della speranza, Giovanni Paolo II non ci doni anche il libro della sua nostalgia, del suo soffrire, del suo andare, come tutti, verso la morte.

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