Ricostruire o lasciare le cicatrici aperte? La lotta fra l'architetto e il post-comunista, simboli della futura capitale

Ricostruire o lasciare le cicatrici aperte? La lotta fra l'architetto e il post-comunista, simboli della futura capitale Ricostruire o lasciare le cicatrici aperte? La lotta fra l'architetto e il post-comunista, simboli della futura capitale BERLINO DAL NOSTRO INVIATO Per gli architetti, Berlino è c. questi tempi un'eccitazione, una sfida. E' in gran parte da ricostruire, da reinventare. Anche da riallacciare e ricucire, perché il muro ha strappato per quasi trent'anni i quartieri dell'Ovest da quelli dell'Est. Per questo i ricostruttori insistono tanto sulla necessità di ritrovare le radici storiche, di dare un'impronta prussiana magari o comunque nordica, neoclassica, antibarocca, alle piazze e agli uffici, ai palazzi dei congressi o ai ministeri che verranno a installarsi qui, quando Berlino diverrà capitale della Germania riunificata. Alcuni parlano polemicamente di monumentalismo neo-teutonico, favorito dal municipio e dai suoi consiglieri. Questi ultimi si difendono ricordando che trovare una comune radice è indispensabile se si vuol dare alla città una fisionomia nuovamente unitaria. Gli architetti litigano, sull'opportunità di salvaguardare oppure ricostruire da zero, di alzare grattacieli sull'Alexanderplatz oppure di americanizzare il Potsdamer Platz nei pressi della linea di confine. Litigano, affacciati sugli innumerevoli spazi vuoti che si aprono nei quartieri berlinesi da ricostruire, e lungo il muro che è stato abbattuto. Oggi l'identità di Berlino è tutta in questi spazi vuoti che sembrano come buchi tra i denti, nella città. Se si potesse riassumere teatralmente quel che accade a Berlino, dopo le elezioni del 16 ottobre, si potrebbe titolare: «L'architetto e il post-comunista». Ambedue sono di fronte agli stessi spazi vuoti, sono come appostati davanti a un unico paesaggio che dà, ad altri, le vertigini. Ma ognuno dei due ha in mente un'idea diversa, su quel che si può fare del vuoto, dei buchi nella terra o nella pietra. C'è infatti una potenza del vuoto a Berlino, assai bene descritta dallo scrittore olandese Cees Nooteboom [Notizie berlinesi, Suhrkamp) e con questo potere si possono fare cose assai contrarie. Si può edificare oppure lasciare il senso del vuoto, della cicatrice aperta. Si può riesumare la storia che si annida nei buchi oppure cancellarla, trasformarla in una citazione ironica. L'architetto vorrebbe edificare: è il suo mestiere. Il post-comunista del pds punta invece tutto sulla permanenza di uno spazio ferito, e le elezioni lo hanno generosamente premiato: è perché ha tenuto aperta la cicatrice che il pds ha ottenuto, qui, i più grandi successi elettorali, quelli che gli hanno permesso di entrare nel Parlamento. Gli architetti si interrogano su come allacciare passato e presente, esperienza dell'Est e esperienza dell'Ovest, in Berlino ricostruita. 1 post-comunisti dicono di voler ricostruire ma in realtà fanno di tutto per salvaguardare i muri, le divisioni. Non si sbagliano, nei calcoli: il muro di pietra è crollato ma quello mentale resta intatto ed è anzi ancora più solido di prima, quando almeno esisteva un'Altra Parte della città, sconosciuta, o un altro cielo come nei film di Wenders: più luminoso o più tenebroso, a seconda del punto di vista. Una parte immaginaria comunque, fantasticata. I post-comunisti di Berlino Est immaginano di poter vegetare all'ombra dei muri ingannatori per sempre. Ho chiesto a più persone il perché dell'enorme successo post-comunista, e sempre mi rispondono: perché non c'è comunicazione fra i due cieli di Berlino, perché l'Est è infelice, arrabbiato e frustrato. Ma soprattutto: perché non sanno quello che vogliono, perché sono spaventati, appunto, dal grande attivismo degli architetti. Un esempio è Pankow, dov'erano le ville della nomenklatura comunista e dove incontro il sindaco socialdemocratico del quartiere, Jòrg Richter, nel vasto municipio rionale con i mattoni rossi: «A Berlino Est non sanno quello che vogliono mi dice - e sempre desiderano una cosa e l'esatto contrario. Per esempio, sono contenti di avere presto i loro telefoni, l'anno prossimo tutti li avranno e non dovranno più aspettare vent'anni per ottenere la linea. Sono contenti anche dei negozi, delle case e delle strade riaggiustate. Berlino era in uno stato miserando, quando entrò in Occidente. Ma poi gridano e protestano per il rumore delle ruspe, per il chiasso dei cantieri, per il traffico e per quello che ancora non hanno. Non c'è lo stesso clima della ricostruzione tedesca post-bellica, qui. Qui vorrebbero la ricostruzione ma senza che nessuno se ne accorga, o tantomeno paghi prezzi. Tutto è loro dovuto, come accade ai bambini o ai minorenni». Il sindaco di Pankow ha molto da fare. Deve distribuire migliaia di nuovi alloggi, e sempre incrocia insofferenza, malumore. Malumore tanto più grande, quanto più l'Ovest paga per aiutare l'Est: non solo la Germania occidentale versa annualmente 150 mila miliardi di lire all'Est, ma anche Berlino Ovest dedica all'Est tutti i suoi investimenti. Niente da fare tuttavia: è come se una parte di Berlino vivesse schiacciata sotto la scarpa della ricca parte occidentale, e l'odiasse per questo. E' vero, la odia: non sopporta la tranquillità più sovrana dell'Ovest, spiega il sindaco di Pankow, non tollera le sfrontate sicurezze di chi è benestante da più tempo: «Io stesso vengo da Berlino Est e conosco questa mentalità. E' la mentalità di chi ha permanentemente crampi nei muscoli. La scioltezza di Berlino Ovest irrita, inacidisce». Berlino Est non si limita a odiare. La sua borghesia piccola e media si aggrappa ai privilegi che aveva nel regime precedente. Si chiude nelle case, nei quartieri, adesso che non c'è il muro, e non vuol neppure sapere quel che succede oltre la linea di confine. I berlinesi dell'Ovest vanno poco nei quartieri orientali, quelli dell'Est non ci vanno quasi mai: né quelli di Mitte e Prenzlauer Berg, al centro, né tantomeno quelli periferici di Marzahn o Lichtenberg, con i loro piatti e brutti grattacieli. I diseredati sono con noi, dice il post-comunista Gysi che ha trionfato a Marzahn. Ma i dati smentiscono il vivace avvocato Gysi che parla due linguaggi per i due cieli di Berlino: uno rivendicativo per l'Est, uno ironico e post-moderno per i salotti intellettuali dell'Ovest. I veri disei edati non scelgono pds, ma i grandi partiti, come democrazia cristiana o socialdemocrazia. Invece votano pds le classi medie post-nomenklaturiste, un'elite di umiliati e offesi che nell'ex capitale orientale è particolarmente solida. E' questa che «ha nostalgia della illibertà», come mi dice Joachim Gauck, che a Berlino Est presiede la commissione federale d'inchiesta sulle complicità passate con la polizia segreta, la Stasi comunista. Un'altra verità viene fuori dalle analisi elettorali, più impressionante ancora. L'estrema destra non riesce a ottenere successi, a Est dove son così frequenti le violenze anti-immigrati, non perché il fenomeno sia assente ma perché esiste il pds come partito che sfrutta le frustrazioni e le proteste. Spesse volte gli elettori postcomunisti sono addirittura gli stessi che votano neonazista. E' quel che succede nel quartiere centrale di Mitte, qui bruno e i'osso si fondono perversamente. In Germania, dove si vota due volte, una secondo il siste- ma maggioritario-personalistico una secondo il sistema proporzionale-partitico, lo stesso elettore ha spesso messo la prima croce sul partito postcomunista, e la seconda sui partiti neonazisti. Così, tra patologie schizoidi e incomprensioni, Berlino si prepara a divenire la futura capita- ! le della Germania unificata, a spezzare le addormentate certezze su cui ora in parte costruì- j ta la Repubblica di Bonn. Prota- j gonista come ai tempi guglielmini o di Weimar, Berlino dovrà faticare per reinventarsi. Serviranno gli architetti allora, e servirà una giusta memoria. La memoria soprattutto di quel che è stata l'epoca gloriosa dei berlinesi, quando scelsero di fuggire le architetture tradizionali prussiane e disegnarono per se stessi un volto nuovo, sempre più occidentale, per divenire più leggeri, meno irrigiditi. La fuga berlinese a Ovest non risale alla costruzione del Muro, è più antica dei cieli divisi di Wim Wenders. E' negli Anni 20 che la modernità berlinese si inventa un nuovo quartiere attorno alla gedachtniskirche e al famoso Ku-Damm: un quartiere per gli incontri e le nuove idee e una più grande libertà. Il Caffè dell'Ovest era il baricentro di quello che presto si chiamò: BerlinoWW; Berlino-Nuovo Occidente, dove si rifugiarono i pionieri della prima democrazia tedesca. Un giorno occorrerà forse chiarire cos'è l'Oriente, cosa vuol dire precisamente Occidente. E cos'è la tendenza neoteutonica, nella nuova architettura o nel nuovo conservatorismo postcomunista. Di certo tuttavia Berlino torna in parte a orientalizzarsi, si avvicina di nuovo al quartiere del Reichstag e del Duomo. Si allontana dal Caffè dell'Ovest per toccare, riluttante, la cicatrice del Muro. Nella sua testa i punti di riferimento cambiano, son tutti rovesciati. Il centro della città non è più quello di ieri, le periferie ridiventano centrali. C'è una grande confusione a Berlino, oggi. Ma finché ci sono ancora i suoi vuoti, pieni di storia, si può ancora sperare. Possono sperare gli architetti, e anche i postcomunisti; i pionieri dell'Ovest, e i neoconservatori dell'Est. Barbara Spinelli //sindaco di Pankow. «Quelli dell'Est sono scontenti di tutto, ogni cosa è loro dovuta, come ai bambini» Con Usuo paesaggio da vertigini la città è preda della potenza del vuoto: conquistarlo è la vera posta in gioco Qualcuno ha votato pds e neonazisti insieme, ma i veri diseredati hanno scelto i grandi partiti ummì Mszìmmg OeyitscJìlairó sfabll , , r r o e ri e rro, oi i A sinistra, Gregory Gysi Sopra, la campagna elettorale Al centro, un bar di Berlino