Maniero un messaggio di sangue

Verona, gli investigatori: un omicidio firmato dal bandito evaso a giugno Verona, gli investigatori: un omicidio firmato dal bandito evaso a giugno Maniero, un messaggio di sangue Ucciso poliziotto che manda all'aria una rapina VERONA. Caccia alla banda del Piovese e all'evaso Felice Maniero per un'intera notte e tutta la giornata di ieri. Vengono infatti ritenuti i responsabili dell'uccisione a sangue freddo di un giovane poliziotto, Massimiliano Turazza, 29 anni, freddato da due colpi di pistola al torace. Sospetti pesanti quelli che collegano l'assassinio alla banda guidata dalla «primula» Felice Maniero, fuggito nel giugno scorso dal carcere Due Palazzi di Padova grazie all'azione di un commando di banditi travestiti da carabinieri. Per quella clamorosa evasione del boss della malavita padovano-veneziana dal carcere di massima sicurezza sono sotto inchiesta il direttore della prigione Oreste Velleca e 10 agenti, tra i quali Renato Erbì, l'agente scelto preso in ostaggio durante la fuga di Maniero e di altri cinque detenuti. Caccia grossa dunque alla quale partecipa persino Giovanni De Gennaro, il direttore della Criminalpol arrivato in nottata a Verona, che coordina il lavoro guidato dal capo della Mobile scaligera Antonio Da Leo. Verona e la parte collinare della provincia intorno al lago di Garda sono in pratica in stato d'assedio con posti di blocco sulle strade, perquisizione alle auto sospette, controlli severi. Quasi come ai tempi del rapimento del generale Dozier, l'ultima impresa firmata dalle Br. Che siano fondati i sospetti relativi alla presenza in zona della banda di Maniero lo confermerebbero alcuni particolari dell'assassinio, sottolineati anche ieri pomeriggio in una conferenza stampa in Questura. Turaz¬ za operava nelle «volanti» a Verona da due anni, dopo aver lavorato a lungo a Milano. Un trasferimento atteso perché il giovane, che si era sposato da poco, era andato a vivere nel paese natale, a Fumane, in Valpolicella. L'altra sera, finito il servizio, Turazza stava rientrando a casa dopo aver trascorso un'ora in pizzeria con alcuni colleghi. E' una casa isolata, quella dell'agente, nella Valle dei Progni, lungo una strada di montagna, quasi l'ultima del piccolo paese. Mentre parcheggiava la sua «Dyane» aveva scorto vicino ad un cespuglio una borsa tipo quelle che si usano in palestra. L'aveva aperta ed aveva subito individuato il contenuto: un kalashnikov, un fucile a pompa, barba e baffi per un camuffamento. Alla scoperta era seguita la sparatoria con colpi esplosi in rapida successione. Colpi di pistola, come poi è stato accertato dalla Scientifica che collabora col pubblico ministero Angela Barbaglio, che svolge le indagini. Le armi e gli altri oggetti sono stati subito collegati alla banda Maniero, che è specializzata in rapine ai furgoni portavalori. Si sapeva infatti che quella notte un furgone avrebbe raggiunto Fumane per ritirare un sacco con banconote e valori da una delle due banche del paese, e che poi avrebbe percorso la superstrada della Valpocicella, collegata col casello di Verona Nord e l'Autobrennero. E' questa la pista che si batte con la convinzione che Maniero sia tornato ad operare dopo quattro mesi di latitanza per potersi permettere ancora la brillante vita che conduceva prima di finire in carcere a Padova. Lo stile è quello, anche se poi magari il compito della rapina sarebbe spettato alla «manovalanza». Le armi e la borsa sono stati inviati ieri pomeriggio a Roma per un esame comparativo con gli oggetti appartenuti a Maniero e alla sua banda, in modo da avere una conferma sulla pista imboccata, che è poi l'unica nella quale credono gli investigatori. Si escludono moventi legati all'attività del Turazza e si attribuisce la morte dell'agente alla fatalità, ma anche al suo spirito di indagatore. Franco Ruffo La città finisce sotto assedio come per il rapimento Dozier L'agente insospettito da una borsa piena d'armi vicino a una banca A sinistra Felice Maniero a destra l'agente ucciso Massimiliano Turazza