«Non voglio essere ostaggio o manichino»
«Non voglio essere ostaggio o manichino: LETTERA A DI PIETRO «Non voglio essere ostaggio o manichino: La contessa Agusta: ho paura, ecco perché non torno MILANO. «Un'esperienza allucinante, l'umiliazione, l'angoscia». In tre pagine spedite via fax al suo avvocato la contessa Francesca Vacca vedova Agusta ricostruisce in bella calligrafia la sua vicenda giudiziaria e la scelta della latitanza. E annuncia: «In Italia non torno». In fuga con la Mercedes 500 dalla sua villa di Portofino dopo l'ordine d'arresto firmato da Di Pietro contro il suo giovane amico Maurizio Raggio per la vicenda dei conti svizzeri di Bettino Craxi, la contessa Agusta è stata data prima in Messico, poi a Montecarlo, infine sulla strada del ritorno. In Italia, davanti a Di Pietro che pure per lei ha firmato un ordine di arresto. E invece no. Faxa la contessa: «Sento la pressione di questa incredibile situazione che mi lascia senza fiato, col cuore in gola, con mille tumulti che mi si agitano dentro: ma che cosa avrò mai fatto di male per patire tutto questo? Perche in un paese civile come l'Italia può avvenire tutto questo?». Fatto il prologo, ovvia la conclusione: «Ma come si può torturare psicologicamente e moralmente una persona solo per ottenere uno show pubblico, per permettere alla stampa più cattiva e bassa di affondare, come un bisturi maligno, la penna in un marasma di bugie? Voglio sia ben chiaro che io non ritomo in Italia». Chiaro, chiarissimo il pensiero della contessa, inseguita dalla polizia di mezzo mondo e dalle telecamere tv che bussano - senza risultato - a villa Agusta, calle de Virreyas 19, Quernavaca, Mexico, là dove probabilmente non è mai stata in questi giorni di fuga • Aggiunge l'avvocato Ennio Amodio: «Prima (che torni in Italia, ndr| occorre portare le prove che possano a scagionarla. Solo allora tornerà e i magistrati dovranno prendere atto che non ha alcun rilievo nella vicenda». E la vicenda è quella dei conti svizzeri addossati a Craxi, gestiti prima da Giorgio Tradati, e poi, da Maurizio Raggio. E la contessa? «Non intendo essere torturata psicologicamente scrive - perché racconti cose che assolutamente non conosco, non ho mai saputo e di cui perciò non posso raccontare nulla». L'avvocato Amodio annuncia che presto farà ricorso al Tribunale della libertà, che parte delle carte sequestrate a villa Agusta a Portofino sono già state riconsegnate. E che c'è un mistero. Il decreto di perquisizione alla villa è del 7 ottobre. Viene eseguito solo il 10, e il giorno dopo c'è l'ordine di arresto. «Io non capisco cosa sia successo in questo arco di tempo...», si chiede il legale. E quasi pare voler dividere la posizione processuale della sua assistita da quella del suo convivente, il giovane Maurizio Raggio, 35 anni, ristorante nel golfo del Tigullio e (da 10 anni) breccia nel cuore della contessa. Posizioni processuali divise così come adesso sono divise (geograficamente) le loro vite. «No, non sono insieme», conferma l'avvocato. E la contessa spiega: «Non posso e non voglio rinnegare amicizie, amori, affetti, che mi hanno riempito la vita ed il cuore». Poi ripete: «No, non voglio tornare in Italia perché istintivamente sento che non sarei mai creduta, che mi si userebbe come un ostaggio o comunque come un manichino da offrire in pasto ai media». Va avanti la contessa nei suoi attacchi. Parte ancora da sé, e da una causa che da anni la oppone ai figli dell'ex marito: «Ma da che parte sta questa giustizia umana, dov'è la legge che a me, in cinque lunghi anni di una giusta battaglia legale per far valere i miei precisi diritti, non è stata capace di farli riconoscere ed eseguire?». Sono le ultime nove righe del fax quelle in cui la contessa Agusta spiega fino in fondo perché non se la sente di tornare in Italia, affrontare Di Pietro, i media, forse un processo. Conclude: «Chiunque mi conosca abbastanza sa quanto io sia sempre stata schiva ed in un certo senso timida a dispetto della mia apparenza fisica, o delle poche volte in cui ho condiviso normali, allegre serate con pochi amici. Ripeto che è proprio per questa mia timidezza che sarebbe troppo facile fare di me carne da macello». Fabio Potetti
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