Il Triveneto vince alla Fiera dell'Est

Il Triveneto vince alla Fiera dell'Est «Sì, facciamo miracoli: sappiamo addirittura vendere frigoriferi in Siberia» Il Triveneto vince alla Fiera dell'Est «Ilfuturo è oltrecortina? La nostra merce c'è già» la re lellllÉIII PORDENONE LLA fiera dell'Est, senza tewm vmm lefonino «che è una roba da milanesi» e con giacchette striminzite, da pionieri tristi, occhi aperti e bocca chiusa, perché i friulani sono così e «non vorremmo far sapere in giro quanto è buono il formaggio che stiamo mangiando», dice un mobiliere che si ingozza silenziosamente in Russia, buon appetito. Diffidenti. Si incrociano in aeroporti dai nomi strani e «ciao, Brembo, che ci fai qui in Siberia?», «E ti?». «Niente, sono venuto a veder». Forse è una forma di pudore, perché uno è lì per vender capperi e l'altro frigoriferi Zanussi ai siberiani, come nelle barzellette. Poi si ritrovano nel salone dei convegni di Pordenone col naso all'insù, ad ascoltare il «professoron», quel Giuseppe De Rita del Censis che adesso dal podio sta parlando proprio di loro: «Voi siete la locomotiva del sistema economico italiano. Voi, con la metà della disoccupazione di Torino. Voi che avete fatto un doppio salto: prima da poveri siete diventati ricchi e poi negli ultimi due anni avete invaso il mondo. Dove sta oggi la vibrazione che porta a una logica di presenza così forte?» In platea qualcuno arriccia il sopracciglio («vibrasion? che vibrasion?»), ma De Rita provvede subito a spianarglielo: «Oggi la vibrazione proviene dall'unico confine vibratile italiano: il vostro. Il Nord-Ovest ò inerte perché non ha confini: Ginevra è sonnacchiosa, Lione egoista. A Sud il Mediterraneo è in fase molto critica. Da qui invece si penetra nel grande mercato dei prossimi trent'anni: l'Est. Voi siete la cerniera. Voi il futuro». E allora, conquistato il mercato tedesco, tutti alla fiera dell'Est. In marcia verso la frontiera vibratile, come ò scritto nel destino di questa terra di confine, la già cattolicissima Pordenone delle diciottomila aziende, undicimila individuali, mute e ricchissime, con un export annuo di tremila miliardi. In media è come se ogni abitante incassasse dall'estero un milione al mese, compreso il bambino che, ignaro, sta giocando a palla contro il muro del Duomo ed ò così diverso dai suoi coetanei di trent'anni fa che Guido Piovene vide cadere in ginocchio davanti allo stesso muro e gridare ad un cenno del prete: «Benedetto Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento dell'Altare». La fede resiste a fatica. In compenso è aumentata quella in se stessi e ne serve ancora tantissima per andare incontro al proprio destino, scansando figuri e figuracce, alla fiera dell'Est. STORIA. Al telefono gli stanno dicendo che ha vinto il concorso per autoambulanze in Romania. Abbassa il ricevitore, cerca di darsi un contegno, ma è tutto un brillio, si capisce: è fatta, ha sfondato. Col lieto fine in tasca, il signor Bianchini può allungarsi sulla poltrona, chiudere gli occhi e riannodare la trama. L'avventura, da queste parti, comincia sempre con un'agnizione inattesa oltre confine, perché alla fiera dell'Est l'unica merce che abbonda sono gli ex friulani. Chi è il ragazzo che passeggia per le vie del centro sotto braccio a una bellona? Ma certo, il figlio di quel mobiliere di Tolmezzo, e lei, la signorina bionda che non parla italiano, si chiama Manderò, che è il nome di una stirpe: di Pordenone emigrata in Romania. Il padre della ragazza fa l'ingegnere a Bucarest, e insieme al quasi-genero gestisce gli studios cinematografici romeni, specialità scene di massa. Il gruppetto propone a Bianchini un affare: tu che commerci materiale medico, perché non compri le nostre pellicole radiografiche? «E se vendessi io qualcosa a voi?». Bianchini salta sulla carovana, ci carica un miliardo di rispanni e parte per la frontiera. Si imbatte subito in un soggetto umano universale, il «sola»: termine romano, ma evidentemente anche romeno. Sergiu Nicolaiescu è un regista cinematografico amico dei Manderò. Millanta entrature col nuovo governo e trofei da eroe della resistenza: mostra a Bianchini un foro nella parete della sua villa e gli dice che l'ha fatto la rivoltella di Ceausescu. Ma va là, Sorgili. Bianchini gli finanzia la campagna clettora- le: sui manifesti il «sola» sembra Vittorio De Sica nel «Conte Max». Lo stesso giorno in cui coi suoi soldi il regista diventa senatore, Bianchini si prende un temporale d'inflazione: 300%. In meno tre ore ha perduto un quarto dei suoi beni. Ma arriva la luce: il governo decentra agli ospedali le decisioni d'acquisto e i medici romeni si fidano così poco dei macchinari locali che invece di duecento ventilatori polmonari fatti a Bucarest, con la stessa cifra ne acquistano sei dalla Miythos Moldova, la società che Bianchini con supremo sprezzo del pericolo ha costituito insieme al Vasco Rossi romeno: Emilian Petrocel, leader del complesso rock Holograf. Alla fine del '94 il fatturato della ditta avrà superato il miliardo investito. E il prossimo anno, anche grazie alle ambulanze, triplicherà. Parlando dell'Est, Bianchini, futuro console onorario, in realtà racconta se stesso, orgogli e pregiudizi di un prototipo esemplare dell'imprenditore del miracolo triveneto. «Lavorare in quei Paesi è difficile, però non se ne può più fare a meno. Ma era difficile lavorare anche in Sicilia, eppure ci siamo andati». «Come gli Usa hanno fatto lega goii Canada e Messico, noi veneti dobbiamo farla con gli Stati dell'Est, esportando il nostro modello di piccola-media impresa. I grandi sono fallimentari». «Siamo soli contro tutti. Non una banca italiana, mentre ormai a Bucarest ce l'hanno pure i turchi. E poi un consolato che è una catapecchia. E i politici, da vergognarsi. Una volta a un convegno di imprenditori italo-romeni arriva il nipote di un cardinale, mandato dal governo, e comincia a promettere soldi. Io gli strappo il microfono dalle mani e grido: "Amici, non crediate a una sola parola di questo signore. Non aspettatevi i loro soldi. Imparate a rischiare da soli». STORIELLE. Girano Pordenone con giacche troppo grandi e occhi furbissimi anche se in apparenza lessi. Ungheresi, polacchi, russi, addestrati per andare ad inondare di Jacuzzi l'Europa dell'Est. Sono e saranno i commessi del Progetto Laura, cinquecento negozi di arredamenti per bagno che stanno sorgendo in questi giorni nei quartieri più eleganti di Budapest, Mosca, San Pietroburgo. Dietro l'idea ci sono il geniaccio e le entrature di Benetton, che partecipa all'impresa con una linea di vasche da idromassaggio, la Albatros. Ne hanno già vendute per dieci miliardi: il modello più economico costa due milioni, ma non lo compra nessuno, perché, spiega il direttore del marketing Zamprotta, «lì chi può permettersi qualcosa, si permette il meglio». E' come in Italia negli Anni Cinquanta, solo che stavolta gli americani siamo noi, anzi loro, i mercanti friulani pronti a tutto, anche a scoprirsi palazzinari: si chiama Altan, come il disegnatore, solo che è più ricco. Sta costruendo prefabbricati in Ungheria e una darsena in Slovenia. Dice che un operaio di Pordenone ne fa tre dei loro ma bisogna avere pazienza, digerire anche l'assenteismo, perché il boom arriverà da un momento all'altro e lui è già lì, pronto a riempire di case postcomuniste quelle terre infelici. Dopo la stasi seguita alle prime delusioni, la carovana dei pionieri riparte impetuosa. Vincendo una naturale allergia verso lo Stato, in centosessanta hanno bussato negli ultimi mesi alla Finest, la finanziaria pubblica che fa da balia alle jointventures con gli slavi. Lo studio del direttore Roberto Gasparini sembra quello televisivo del vecchio «Portobello» di Enzo Tortora: progetti e idee, secondo l'estro: c'è la ditta di liquori triestina che vuole reimpossessarsi della distilleria in Slovacchia comprata durante l'impero austroungarico e l'imprenditore agricolo che intende impiantare una fabbrica di succo di mele in Russia: là le mele sono brutte, sembrano quelle dei maiali, ma il sapore funziona e poi nel succo la buccia non si vede. STORUCCE. Alla fiera dell'Est i banditi sono sempre dietro l'angolo, spesso anche davanti. Renzo Dall'Agnese non l'ha ancora digerita. Infatti si fa pregare, non vorrebbe parlarne. Mica per i soldi persi, saranno stati duecento milioni, pochi per un mobiliere che ha coperto di capannoni i vigneti pordenonesi di Maron di Brugnera. No, è proprio l'essere stati fregati che brucia. Fregati da quel Francesco, il friulano di stanza a Mosca che gli aveva fatto annusare l'avventura. Lui e la sua fidanzata russa, «un tumore vivente», che gli spillavano i quattrini per fantomatiche joint-vontures con ditte locali. Della Russia, al mobiliere resta il ricordo dei viaggi in Siberia e Mongolia, fra boscaioli che non si facevano pagare in dollari ma in vodka; di alberghi sperduti dove bisognava andare a letto coi calzoni, per via degli scarafaggi; di poveri russi pasticcioni e corrotti, come quella notte in cui un poliziotto lo fermò nel centro di Mosca, «tu bevuto vino?» e lui «sì, ma poco», «no importa, tu vieni in centrale», ma erano bastati venticinque rubli, perché il ragazzo in divisa si convincesse a lasciarlo andare. «L'Est è ancora un Far West, senza leggi sicure né soldi da spendere», commenta Francesco Zacchigna, che come direttore del Bic di Trieste (niente a che vedere con le biro) cercaci affiancare i pionieri nella loro difficile avanzata. Uomini come Zacchigna o il direttore della Camera di commercio di Pordenone, così poco italiani finanche nell'aspetto, hanno parole dilaniami per la politica di Roma: inerte, inutile, inetta: «La Germania ha un progetto di penetrazione. Un progetto nazionale: lì lo Stato ha addestrato persino i soldati russi di stanza a Berlino per farne manager e agenti della nuova economia. Noi, l'unica cooperazione che abbiamo saputo fare era di mandare pescherecci fasulli in Somalia e regalie al sultano di turno». «La locomotiva del miracolo», il Triveneto nell'immaginario di De Rita, fa così rotta verso Est. Dopo averci passato una settimana in subaffitto, il passeggero scende con due banali sensazioni: la prima è che se la locomotiva corre oltre la crisi è perché tecnologia, organizzazione e svalutazione si associano a una voglia di lavorare persino feroce e alla capacità di vendere cose concrete, non sorrisi. La seconda è che la locomotiva non ha nessuna voglia di aspettare gli altri vagoni. Anzi, gli pesiamo anche un po'. Massimo Gramellini «Siamo pionieri soli contro tutti Un esempio? A Bucarest ci sono banche di ogni Paese Salvo l'Italia» lì AUTUNNO '94 la ripresa e le paure Con la puntata dedicata al Friuli si conclude il reportage su «Il vento del NordEst». Seguirà l'inchiesta di Alberto Staterà su «La fabbrica delle idee». L'interno di una fabbrica di frigo uno dei prodotti più venduti nei Paesi dell'ex impero sovietico. A destra, in alto, Giuseppe De Rita In basso Luciano Benetton L'abitacolo di un'ambulanza. La Romania è uno dei mercati più interessanti per i prodotti sanitari