L'infermiera che ama più della madre di Vittorio Zucconi
L'infermiera che ama più della madre LA STORIA L'infermiera che ama più della madre PWASHINGTON ER il suo compleanno, la mamma aveva pensato a un regalo davvero eccezionale: gli avrebbe regalato la morte. Il giorno 8 ottobre 1994, quando Jamie Butcher avrebbe compiuto 34 anni, la madre che lo aveva messo al mondo avrebbe chiamato il prete e l'infermiera, con le sue stesse mani avrebbe staccato le spine, tolto gli aghi e avrebbe guardato pregando i tracciati e i bip bip delle macchine farsi piatti e silenziosi, permettendo al corpo del loro ragazzo di «raggiungere l'anima», ormai da 17 anni «volata in cielo», come diceva lei. Perché da 17 anni, da quando la station wagon che lui guidava slittò su un letto di foglie bagnate e si impastò contro un platano su una strada del Wisconsin, quel che restava di Jamie sopravviveva agganciato alle macchine. Da 17 anni, probabilmente un record, il corpo senz'anima del campione di atletica nel suo liceo, giaceva nel soggiorno della piccola casa della famiglia Butcher nel paesetto di White Bear, Orso Bianco, nascosto da un paravento. Per 17 anni, la famiglia, madre, padre e nonna aveva mangiato, conversato, guardato la televisione, letto i giornali con l'accompagnamento incessante dell'orrenda colonna sonora dei robot che facevano funzionare il cuore e i polmoni di Jamie. Per 17 anni, le sue vecchie scarpette d'atletica con le firme a pennarello dei compagni di scuola come si fa sulle ingessature si erano ingrigite di polvere sopra il comodino. Ma nessuno andava più a trovarlo. Nessuno, tranne Mary Krumholz, la robusta infermiera dall'ampio seno e dai capelli grigi che ogni giorno lo visitava, per assicurarsi che le macchine riempissero il guscio di carne con la giusta quantità di sangue e di ossigeno. Da anni, la madre e il padre di Jamie avevano espresso il desiderio di spegnerle, da quando i medici avevano categoricamente avvertito che il ragazzo era ormai «un cavolfiore» e per lui non c'era alcuna speranza di risveglio dalla morte cerebrale. Ma l'infermiera dai capelli grigi aveva rifiutato, aveva cercato di convincere i genitori che qualche speranza c'è sempre. E quale genitore sa resistere alle sirene della speranza? Ma questa volta, la madre era decisa. 17 anni aveva vissuto da «vivo». L'8 ottobre del 1977, giorno del suo compleanno, aveva avuto l'incidente. 17 anni era sopravvissuto attaccato alle macchine. L'8 ottobre sarebbe dunque morto. La simmetria dei numeri era irresistibile. Non c'era nulla che l'infermiera dai capelli grigi potesse fare per convincerla. Nulla, tranne una cosa, un gesto estremo, disperato: adottare Jamie come figlio. Chiedere al giudice di togliere la tutela ai genitori naturali e affidare il «guscio» a lei. Lo ha fatto. Ha impugnato la richiesta di eutanasia. L'ha portata al giudice per dimostrare che i genitori e la nonna avevano, con quella domanda, rinunciato a ogni diritto tutelare su Jamie. Ha ottenuto un rinvio. Ora deve affrontare il ricorso presentato dalla madre e dal padre e sarà una battaglia lunga. «Ma la vincerò - dice l'infermiera - perché Jamie non è un cavolfiore, è un essere umano. E chi di voi può dirmi con certezza che dietro il silenzio dei comatosi non ci sia una voce che grida, vi prego, non uccidetemi?». E' pronta a portarselo a casa, paravento, pappagalli, macchine, sibili e tonfi per il resto della sua vita. E' pazza? E' una santa? Vittorio Zucconi
Persone citate: Jamie Butcher, Mary Krumholz, Orso Bianco
Luoghi citati: Wisconsin
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