VINCITORE SENZA GUERRA

E I VINCITORE SENZA GUERRA postrivoluzionaria il primo benessere, la prima borghesia fiera di sé. Il Cancelliere-candidato può vincere, soprattutto se il piccolo partito liberale con cui ha governato in questi anni non scomparirà dal Parlamento. Forse continuerà a guidare la Germania anche in caso di grande coalizione con i socialdemocratici. Ma fin d'ora è chiaro che i politici tedeschi dovranno fare i conti con questa sua sovranità, con questa sua tenuta, e con la sua impressionante presenza fisica. 11 colosso - lo chiamano anche così, in Germania - ha vinto troppe scommesse per esser sorpassato, o dimenticato. Ha vinto l'unificazione nazionale, che ha imposto in tempi rapidissimi a un Paese calamitato dallo stupore; ha vinto resistenze e paure in Germania Occidentale e poi in Europa, in America, in Russia, in Polonia; ha vinto la scommessa della sovranità tedesca ritrovata, che ha ottenuto senza creare panico, senza fughe nell'insolenza nazionale. Forse è l'unico occidentale ad aver vinto la battaglia dell'89, che quasi tutti i suoi colleghi in Europa hanno perduto sulle montagne della Bosnia. E' l'unico ad aver fatto qualcosa della caduta del Muro, a costruire sui suoi detriti. Fin dal 1982 Kohl aveva annunciato il suo programma: una grande «Svolta» spirituale e morale, una « Wende», per liberare il Paese da quella che chiamava, allora, la morsa dell'esperienza socialdemocratica. Ma col passare tare le città dell'Est, per rendersene conto: si vedrà un subbuglio di sconvolgimenti, una matassa fittissima di ansie contraddittorie, di speranze, uno straordinario cambiamento delle cose, delle persone e dei paesaggi. L'ex Germania comunista sembra un immenso cantiere, le città rimbombano di rumori di ruspe e una palazzina su tre è in restauro. A ogni angolo delle strade, cavi telefonici giacciono per terra in attesa di esser inseriti. Perché cambiare il Cancelliere, che nel '90 ha deciso di trasferire ogni anno a Est la somma considerevole di 150 miliardi di marchi (150 mila miliardi di lire), presi dalle casse dello Stato? Quale politica più generosa, più statalista, più socialdemocratica di questa? E che vuol dire esattamente, in queste condizioni: cambiamento? Il Cancelliere del cambiamento già c'è. Enorme è il cambiamento del paesaggio-Germania da lui iniziato. E' così che l'89 scavalca lo spirito del '68. Paradossalmente il Cancelliere è più contemporaneo, più vicino alla realtà di parte della sinistra. Lo spirito dell'89 è svelto nel capire l'importanza rinascente delle nazioni, dei loro paesaggi, e le paure della borghesia declassata o restaurata. E' svelto nel capire che la forza dei programmi è soppiantata dalla forza delle personalità. Personalità tenaci, che non temono le epoche dell'impopolarità. Personalità equilibrate, che hanno in orrore gli estremismi d'ogni tipo: anche i propri. Personalità solitarie, che grandeggiano sovrane, ma anche col senso del limite, in mezzo alle folle. Barbara Spinelli rienza di Bonn: un presente che doveva imporsi, secondo Kohl, perché questa doveva essere la Germania del futuro: questa rottura di continuità fra nazione e suo territorio, questa forza tedesca non più fondata sulla solitudine della Germania in Occidente, sulle conquiste territoriali indeterminate, illimitate. Kohl si è battuto perché la capitale della Germania ridivenisse Berlino. Ma il Cancelliere è un renano, un cattolico meridionale: nella lontana Prussia ha sempre voluto portare le forme incivilite, il senso delle proporzioni, la mitezza, la modestia pratica di un Sud legato alla Francia e alla cultura «welsch», antico-romana o italica. Nella Prussia e nell'ex Germania comunista, il Renano si sentiva forse simile a Adcnauer, un altro cancelliere del Sud che preferì la costruzione europea alla retorica nazionale, e che usava dire, ogni volta che andava a Est: «Quando attraverso l'Elba ho l'impressione di entrare in Asia». La campagna elettorale dei socialdemocratici è tutta costruita su una parola d'ordine: è tempo di cambiare - dicono - dopo 12 anni di monarchia democristiana è tempo di provare una nuova personalità, una nuova «équipe». Insistono molto sull'equipe - in particolare sulla trojka guidata dal candidato Scharping e dai suoi compagni La Fontaine e Schroder - perché i nipoti di Brandt son nati alla politica nel '68, e portano con sé il gusto del piccolo collettivo fraterno. Ma lo spirito del '68 d'un tratto ha preso un po' a sfiorire, nella Germania del dopo '89, e il Paese così come appare a chi lo osservi è tutt'altro che immobile, sotto la guida di Kohl. Basta visi¬ degli anni il programma si è appannato, sino a svanire. La Svolta ideologica s'è spenta, la grande sfida alla sinistra è mancata, ed è precisamente qui la grandezza di Kohl: nel fastidio istintivo che sente per le guerre civili e ideologiche, anche quelle da lui annunciate; nell'orrore che prova per i furori dottrinari, per le astratte rivoluzioni morali. Kohl dice magari cose sbagliate nel momento giusto, ma fa poi le cose giuste che si rivelano adatte al momento. E' stato così dopo l'82, e poi anche nel 1989-90, quando promise «paesaggi fiorenti» dopo la caduta del Muro e l'unificazione, e si mise semplicemente a restaurare paesaggi. Kohl non si è mai identificato con i conservatori rivoluzionari che praticavano la Svolta da lui solo propagandata. E' stato meno coerente ideologicamente di Margaret Thatcher, o Reagan, di Berlusconi o, a sinistra, di Mitterrand. E questa è stata la sua fortuna: in cambio, la sua tenuta è stata infinitamente più forte, tenace. La Wende, la vera Svolta, è stata per lui quella dell'unificazione nazionale. Qui si trattava veramente di innovare, spiritualmente oltreché materialmente, di reinventare un rapporto della Germania con il proprio territorio, i propri spazi, la propria biografia storica. Qui si trattava di tener conto del passato (nazista, comunista) e di dissolverlo in un presente che aveva ricevuto la sua impronta democratica dall'espe¬