Nelle trincee dell'Emiro

Nelle trincee dell'Emiro SUL CONFINE IN ARMI Nelle trincee dell'Emiro I soldati kuwaitiani: Bill, salvaci m KUWAIT CITY j I L capo di Stato Maggiore delI l'esercito kuwaitiano, il generale Ali Momin, si è spinto fino a un piccolo avamposto, a poco più di un chilometro dalla zona smilitarizzata e a meno di 20 dalle avanguardie irachene. La postazione consiste di un carro armato, di due tende e di cinque uomini. «Il nostro esercito - dice si trova allo stato di massima allerta ed è fermamente convinto che con l'aiuto dei suoi fratelli in armi (gli americani) Saddam sarà sconfitto». Ma, nonostante i riservisti siano già stati richiamati, l'esercito dell'emirato resta molto piccolo e arriva a stento a 20 mila uomini. Una parte consistente è stata schierata a difesa dei campi petroliferi nel Sud del Paese e le forze che si trovano a Nord devono affrontare un nemico di gran lunga superiore. Lo stesso generale, d'altra parte, ammette che le linee di difesa sono sottili. «Riteniamo che ci siano almeno tre divisioni irachene al di là del confine», spiega a un gruppo di reporter stranieri che sono stati invitati a visitare la zona settentrionale del Kuwait. Qui c'è ben poco a separare questo avamposto dalle forze irachene, dato che nei pressi della zona smilitarizzata non sono state schierate forze americane. Ci sono invece una trincea scavata nella sabbia, che serve a segnare il confine, e 1.100 osservatori dell'Onu, dotati di armamento leggero, oltre a 700 soldati del Bangladesh. Ma, se Saddam Hussein può godere di un indubbio vantaggio numerico, «l'esercito kuwaitano ha un altro punto di forza», spiega Momin a un grup- po di camerarnen americani. E in un altro avamposto, a pochi chilometri di distanza, il riservista Abdul Mohsin spiega di quale punto di forza si tratta: «Se gli americani non fossero qui, io me ne starei già in Arabia Saudita». La ricostruzione dell'esercito dopo la catastrofe del '90 è stata laboriosa e la domanda più imbarazzante che si può porre a un ufficiale kuwaitiano è che cosa abbia fatto nel coiso dell'invasione e della guerra del Golfo. Momin, per esempio, è stato nominato solo quest'anno, dopo forti tensioni all'interno dei circoli militari. Gli altri candidati, molti dei quali appartenenti alla famiglia reale, hanno dovuto tirarsi indietro perché su di loro pesava una macchia difficilmente cancellabile: quel giorno fatale del 2 agosto '90 furono tra i primi a fuggire. D'altra parte, lo stesso Momin ha dovuto ammettere che non si trovava in Kuwait quando gli iracheni attaccarono: «Comun¬ que, io ho partecipato alla guerra di liberazione». Dopo la guerra l'esercito si è profondamente rinnovato, liberandosi dei beduini che costituivano un terzo della truppa. La maggior parte sono stati deportati in Iraq, perché sospettati di simpatizzare con Saddam. Le espulsioni hanno ridimensionato la comunità dei lavoratori stranieri in Kuwait, portandola da 250 mila a 100 mila persone. Nelle ultime ore, gli iracheni hanno ammassato 20 mila di questi beduini nei pressi del confine e gli osservatori temono che questa massa indifesa possa essere usata dagli iracheni come «scudo umano» in caso di attacco. In realtà, ben pochi in Kuwait ritengono che un attacco sia possibile e molti sperano che gli americani lancino un attacco aereo preventivo. Al fronte gli ufficiali dimostrano ottimismo, anche se nella capitale non mancano i segni della paura. Negli ultimi giorni, la corsa per cambiare dollari è stata tale che molti sportelli bancari hanno dovuto chiudere. Kathy Evans Copyright «The Guardian» e per l'Italia «La Stampa»

Persone citate: Abdul Mohsin, Ali Momin, Kathy Evans, Saddam Hussein

Luoghi citati: Arabia Saudita, Bangladesh, Iraq, Italia, Kuwait