Saddam mezzo dietrofront

Baghdad annuncia di aver cominciato il ritiro delle truppe, ma Washington non si fida Baghdad annuncia di aver cominciato il ritiro delle truppe, ma Washington non si fida Saddam, mezzo dietrofront Clinton: potremmo sparare per primi NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Gli iracheni hanno annunciato di avere cominciato il ritiro delle proprie truppe dalla zona vicina al confine con il Kuwait, e lo hanno fatto senza rinunciare al loro solito, contraddittorio modo di comunicare. Mentre a New York il rappresentante iracheno all'Onu Nizar Hamdoon diceva di avere notificato al Consiglio di Sicurezza l'allontanamento delle truppe dalla zona di Bassora, a Baghdad un altro esponente del governo di Saddam Hussein, il ministro della Cultura Hamed Youssef Hammadi, semplicemente negava che ci fosse mai stato un ammassamento di truppe. Ieri le parole dei due, sebbene si trovassero a migliaia di chilometri di distanza, sono arrivate pressoché in contemporanea su-. gli schermi americani, e a sentirle facevano l'effetto di una commedia di Ionesco. «Noi - diceva Hamdoon - rivendichiamo il diritto di muovere le nostre truppe dove vogliamo e in qualsiasi momento all'interno del nostro territorio. Ma di fronte alla preoccupazione manifestata da vari membri del Consiglio di Sicurezza abbiamo deciso di spostare quelle che si trovano nell'area di Bassora in un'area più a Nord». «Ho sentito le invenzioni americane riguardanti le nostre truppe a Bassora - gli faceva eco Hammadi - e posso dire che in quella zona non c'è stata nessuna concentrazione di truppe: non un battaglione, non un'unità». Così l'annuncio del ritiro, che in teoria doveva servire a far calare la tensione repentinamente salita venerdì, quando i satellitispia americani hanno fotografato le truppe irachene vicine al confine con il Kuwait, ha in gran parte mancato il suo obiettivo. «Noi ci fidiamo dei fatti, non delle parole», è stato il commento di un funzionario della Casa Bianca. «Osserviamo attentamente ciò che accade sul terreno, e intanto continuiamo il nostro spiegamento». Secondo le informazioni di ieri mattina (prima dell'annuncio del ritiro) i soldati iracheni a ridosso del confine con il Kuwait avevano raggiunto il numero di 80.000, rendendo la cosa sempre più inquietante e spingendo vari esponenti del governo di Washington ad ammonimenti che col passare delle ore si facevano sempre più perento- ri. «E' necessario che Saddam Hussein capisca che noi siamo lì e che siamo del tutto determinati a non permettere una cosa come quella di quattro anni fa», ha detto la rappresentante america¬ na all'Onu Madeleine Albright. «La cosa principale che voglio dire a Saddam Hussein e agli iracheni - le ha fatto eco da Gerusalemme il segretario di Stato Warren Christopher - è che se saran¬ no tanto sciocchi da sbagliare ancora una volta i calcoli si troveranno a pagare un prezzo orrendo». Infine il segretario alla Difesa William Perry, annunciando che a questo punto il pro¬ gramma americano prevede una forza «in zona» di 36.000 soldati, ha spiegato che la funzione di quella forza non è quella di «rispondere» a un'eventuale invasione del Kuwait, ma quella di «prevenirla». Insomma, nel momento in cui diventasse «chiara e inequivocabile» l'intenzione delle truppe irachene di invadere, verrebbero attaccate prima ancora di avere varcato il confine. La forza per farlo c'è già, ha spiegato ancora Perry, visto che la portaerei «George Washington», con a bordo almeno 200 fra F-l 5, F-16 e A-10, proprio ieri ha passato il Canale di Suez e ormai si trova «a tiro». Ieri sera Clinton ha ordinato l'invio nel Golfo di una forza aerea tattica «più robusta», con decine di altri bombardieri B-52 e di caccia F-l5. La forza aerea statunitense in zona arriva così a 350 velivoli. In un messaggio televisivo al Paese, il presidente ha quindi ribadito che non c'è nessuna conferma dell'annunciato ritiro iracheno. George Bush, l'«eroe» della Guerra del Golfo, ha detto di ritenere improbabile l'attacco iracheno contro il Kuwait perché Saddam Hussein non può non sapere che «lo spazzeremmo via, più duramente dell'altra volta», ma gli uomini di Bill Clinton ten- gono a far notare proprio la differenza fra il comportamento di questo Presidente e quello di Bush, reo di avere mandato, all'inizio della vicenda di quattro anni fa, «segnali sbagliati» a Saddam Hussein. Clinton invece ha deciso di rispondere con estrema prontezza, minacciando l'attacco «preventivo», forse perché sa che costruire «dopo» una coalizione come quella messa in piedi da Bush per lui sarebbe difficile. E' più debole all'interno, la sua veste di «leader del mondo» è messa in discussione e ci sono già truppe americane ad Haiti e aerei americani che - ogni tanto intervengono in Bosnia. Inoltre, i suoi rapporti con gli alleati - in particolare i russi e i francesi, su cui Bush contò molto al tempo della Guerra del Golfo - si sono incrinati proprio per le divergenze sulla Bosnia. Ieri il Presidente ha rinviato un viaggio elettorale per restare a Washington e parlare al telefono con Boris Eltsin, con Francois Mitterrand, con re Fahd dell'Arabia Saudita, e a un certo punto un suo portavoce ha detto che «gli alleati hanno mostrato molto rispetto per le nostre posizioni», senza tuttavia specificare cosa avessero detto in concreto. Ma una notizia proveniente da Ankara la dice lunga sul clima che circonda questa vicenda. La Turchia, ha detto il suo ministro della Difesa Mehmet Golhan, è «molto perplessa» sull'eventuale uso della base di Incirlik per attaccare l'Iraq. Quella base, come si sa, viene usata dagli aerei americani, inglesi e francesi per controllare la «no fly zone», cioè la parte di Iraq dove vivono i curdi e dove agli aerei di Baghdad è proibito avventurarsi. Franco Pantarelli Arrivati nell'emirato i primi marines In un discorso tv il Presidente annuncia l'invio di altri bombardieri e caccia Il segretario della difesa Perry «Manderemo nel Golfo 36 mila uomini» Il rappresentante iracheno all'Onu «Torniamo indietro» Ma un ministro «Sul confine non c'è nessuna concentrazione di truppe» ARABIA SAUDITA Due immagini della partenza dei G.l. americani dalla Georgia per il Golfo Persico La zona di confine dove sono ammassate le truppe irachene