«Mani pulite è già finita va per inerzia, fermiamola»

«Mani pulite è già finita va per inerzia, fermiamola» «Mani pulite è già finita va per inerzia, fermiamola» ^^^^ EI GIUDICI TROMA ANGENTOPOLI è finita». Requiem per la rivoluzione dei giudici. A recitarlo è Cesare Previti, avvocato personale e «primo consigliere» di Silvio Berlusconi, ministro della Difesa, mancato Guardasigilli, capo di Forza Italia. Occhiale fumé, tratti duri e toni amabili, Previti ci riceve nel suo studio legale di via Cicerone, culla della Seconda Repubblica. Qui s'è fatta la storia della nuova Italia: qui sono nate la Fininvest, nel '79, e l'azienda-partito di Forza Italia, nel '93. Qui nell'aprile scorso Previti ha offerto al simbolo di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, la poltrona di ministro degli Interni. Appena sei mesi dopo, il «falco del beflusconismo» decreta la morte dell'«anomalia di Mani Pulite» e invoca il «ritorno alla normalità». Ministro Previti, siamo allo scontro finale fra governo e magistrati? «Anzitutto i fatti. C'è stata un'intervista assolutamente e sorprendentemente fuori misura di Borrelli e una reazione più o meno proporzionata da parte del governo al singolo episodio. Non parlerei di scontro finale». Più o meno proporzionata? Per quanto fuori misura, quella di Borrelli era un'intervista e voi citate l'articolo 289 della Costituzione, roba da insurrezione armata. «Personalmente non ho partecipato alla stesura della lettera. Ma mi pare che il governo abbia chiarito che non intendeva denunciare Borrelli o addirittura mandarlo in galera. Tutto quello che si chiede è una censura a un errore gravissimo. E' chiaro che parlando dei giudici di Milano tutto viene poi enfatizzato dal solito discorso...». Quale sarebbe? «Il perenne appello da parte dei giudici all'opinione pubblica, come a un Moloch sacro dal quale trarre ogni volta legittimazione per inchieste che sembrano non avere mai fine». Era questa l'intenzione di Borrelli: un appello al popolo per dire attenti, stiamo prendendo Berlusconi? «Credo che Borrelli non si sia neppure reso conto di quanto stesse superando i limiti. Conoscendo Borrelli, persona di prim'ordine, certe pesantezze nell'intervista al Corriere mi hanno sorpreso. Quelle battute all'indirizzo del ministro Biondi... Ma in generale, ripeto, era tutta fuori misura e fuori dalle regole. In uno Stato di diritto i giudici fanno i giudici. Se hanno elementi per inviare un avviso di garanzia, che lo facciano. Ma non convochino un giornalista per mandare il preavviso o l'avvertimento». Lo stesso giorno dell'intervi- sta di Borrelli il presidente del Consiglio, parlando delle inchieste sulle sue aziende, denunciava ai giornali «l'uso della giustizia per fini distorti». Questo non è fuori dalle regole dello Stato di diritto? «Il Presidente del Consiglio rispondeva a Buttiglione, ch'era stato assai più duro coi giudici. Comunque, ammetto, siamo in presenza di una spirale di anomalie. Per il futuro spero che sia la Fininvest a prendere iniziative». Ma intanto si perpetua il conflitto d'interessi, l'anomalia di un presidente del Consiglio proprietario di un impero industriale. «Il problema esiste e Berlusconi ha mostrato di volerlo risolvere istituendo come primo atto la commissione dei saggi. Il risultato del lavoro è stato consegnato a Scognamiglio». Qual è la proposta? «Si va verso la soluzione del blind trust all'americana, una netta se¬ parazione tra l'uomo e l'azienda». Basterà? C'è sempre il rischio del blind trust all'italiana. «Credo anch'io che la soluzione migliore infine sarà la dismissione. Oppure l'ingresso in Borsa e la creazione di una public company. Certo ci vorrà un po' di tempo...». Nel frattempo Berlusconi resta padrone della Fininvest. Come allontanare il sospetto che il suo governo voglia semplicemente far cessare le inchieste sul suo gruppo? «E' un sospetto immotivato. Oppure una certezza. Dipende da come uno la guarda. L'indagine di cui la Fininvest è vittima, oggetto, sarebbe giusto che finisse». E perché mai? «Perché questa su Telepiù è un'inchiesta pazzesca. Qual è il reato? Chi è l'imputato? Dove sono le tangenti? Non si sa. La violazione della legge Mammì sarebbe al massimo un illecito amministrativo. E invece qui si fanno cento perquisizioni, si interrogano venti o trenta testimoni alla ricerca di un reato, per provare che ci sia stata corruzione. Le sembra regolare?». I giudici hanno indagato su tutti i grandi gruppi industriali: Fiat, Olivetti, Ferruzzi. Perché quando toccano la Fininvest la faccenda diventa irregolare? «Ma quelle erano inchieste vere, con reati e indagati certi. Qui, ripeto, s'indaga da mesi e mesi senza un reato e senza un indagato. Il colpevole si creerà a posteriori, scovando un reato qualsivoglia. Tutto ciò è sconfinatamente abnorme, è tipico dei regimi di polizia». Ma insomma che cosa volete, la fine di Mani Pulite? «Mani Pulite è già finita. Ha svolto un grande compito di pulizia e moralizzazione e l'ha svolto bene, nonostante il clima rivoluzionario. Poteva accadere di peggio. Ma ora la rivoluzione è passata, il Paese ha votato, le vere inchieste sono finite. Potrebbero riaprire il filone del pds, l'unico rimasto in sospeso. Mani Pulite ha esaurito il suo compito, è finita. Ma la ruota gira ancora per inerzia, macina cose e persone, produce danni anche grossi e rilevanti. Qualcuno deve fermarla». Chi, il governo? «Non solo. Penso anche ad altre istituzioni. Al procuratore generale Sgroi, che ha già preso alcune iniziative. Al Presidente della Repubblica, che ha detto cose importanti. E al procuratore Catelani, il quale per la verità è intervenuto più adesso che nei momenti caldi». E' un appello a normalizzare le procure? «Normalizzare è una brutta parola ma forse è il caso di usarla. Nel senso di tornare alla normalità e anche alle norme». Però gira in fretta anche la vostra ruota. Sei mesi fa lei proponeva a Di Pietro il Viminale e ora dichiara morte le inchieste. «Di Pietro resta Di Pietro, penso ancora di lui tutto il bene possibile». Di Pietro buono, Borrelli cattivo? «Io non penso mai che un giudice sia cattivo e tanto meno buono. Un giudice è un giudice». Perché Di Pietro rifiutò di entrare nel governo? «Non rifiutò, disse che voleva completare l'opera. Inoltre ci fece capire che avrebbe preferito incarichi operativi e non di governo». Voleva fare il capo della polizia? «Non lo disse, lo fece capire. Ci lasciammo dandoci appuntamento a ottobre». E ora gli rifarebbe l'offerta? «Non so, abbiamo tante altre preoccupazioni...». Che cosa preparate per il dopo rivoluzione? «Stiamo pensando a un Progetto Italia, scadenza l'Anno Duemila. Ci sarà il Giubileo a Roma, gli occhi del mondo saranno puntati sul nostro Paese. E naturalmente, manteniamo gli impegni per le grandi riforme strutturali: il liberalismo, il federalismo, la Repubblica presidenziale. L'emergenza è finita, guardiamo al futuro». Curzio Maltese «Quest'inchiesta è pazzesca si cerca un reato a tutti i costi» a , y a e l . o i i a i è e a , a o m e a a A eei i, iiaai, eea o n3. fnisi o» Cusani, Bettino Craxi e il suo segretario Mauro Giallombardo; dove è finita buona parte della tangente Enimont (e non soltanto di quella). Ma cosa c'entra la Fininvest con la Cit e la Bil? E' proprio quanto vogliono appurare i magistrati milanesi e la testimonianza di Novick è stata senza dubbio importante. Lui è un manager esperto, in particolare di finanza internazionale; dopo aver lavorato con il gruppo De Benedetti, è passato alla Fininvest occupandosi prima della Standa e poi diventando responsabile del settore «merger and acquisition» (vendita e acquisizione); tuttora im¬ to) in mano alla Cit e che con la Fininvest, ufficialmente, non avrebbe dovuto aver nulla a che fare. Non solo: Novick di questa trattativa sfociata poi, nel luglio di quest'anno, con la vendita della Cit a Rupert - avrebbe regolarmente tenuto informati sia Galliani che Franco Tato, amministratore ■ della Fininvest. E appunto queste periodiche relazioni sarebbero racchiuse nei dischetti sequestrati. Il complèsso nodo di Telepiù si sta dunque dipanando e le scoperte dei magistrati milanesi si intersecano con quelle dei loro colleghi romani, impegnati ugualmente a capire quale sia la reale proprietà della «pay tv» nostra- Il ministro della Difesa Cesare Previti A destra: il procuratore generale Vittorio Sgroi e il pg di Milano Giulio Catelani

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