MAMMA EUSEBIO

Speciale Speciale MAMMA EUSEBIO Alle origini del legame tra Montale e Vittorini IN dieci mesi di permanenza a Firenze come soldato non ebbi mai la tentazione di vedere la Galleria degli Uffizi, il Davide, simili cose famose. I miei monumenti erano Montale e gli altri di Solaria. Per trascorrere con loro ore o minuti scappai spesso dalla caserma, una volta mi videro entrare alle Giubbe Rosse con la bicicletta verde e dura del militare», racconta Cesare Zavattini in una tenera noterella, pubblicata su Primato, la rivista di Giuseppe Bottai, il 15 dicembre 1941. «Fu sulla piazza Vittorio Emanuele la prima volta, davanti al preclaro caffè, nella primavera del 1929: intorno a un tavolo di ferro discorrevano con voce calma. Le prime parole che udii riguardavano un racconto di Carocci [Narciso, credo): «Ora deve scegliere, a destra o a sinistra». Arrivò Carocci civilmente nervoso e scontento. Parlavano anche di un viaggio a Roma che qualcuno stava per fare, méta Cecchi. Poi nomi mai uditi prima: Hòlderlin, Jouhandeau, poi il cappello duro di Ferrata, la loquace insoddisfazione di Franchi, la bocca sottile di Tecchi. Capii lentamente che tra i presenti non c'era l'affetto preveduto da me della provincia, ma sebbene veleggiami verso un lido comune si processavano con lucido continuo segreto ardore...». Nei piccoli componimenti, come, del resto, nei suoi minimi quadretti, Cesare Zavattini è insuperabile. E Le voglie letterarie, il libro in cui l'editore Massimiliano Boni di Bologna ha raccolto nel 1974 questa e altre venti noterelle apparse su Primato dal novembre 1941 al settembre 1942, è una vera delizia per la qualità della prosa, ma anche per la qualità dell'informazione. Il leggendario caffè delle Giubbe Rosse è sviscerato in pochi, lievi tocchi affettuosi e insieme inesorabili: «Vi erano infatti lunghi momenti di silenzio in cui gli occhi si muovevano instancabili, quelli azzurri di Bonsanti da un angelico stupore trasalivano nell'aguzzo, i neri e antichi di Nannetti, i giudicanti di Fallaci, le palpebre di Montale assidue nel dividere il tempo. Sperduto in tante pause, trovai il modo di mostrare a qualcuno, per avvalorarmi, una lettera di Falqui, sinché arrivarono Praz, Morra di Lavriano, Loria, Vagnetti, se ben ricordo, a rallegrare il discorso. Il mio sogno fu presto di passare una lunga sera con Montale, incoraggiato dalla mia appartenenza al clan manifesta con la pubblicazione di tre brevi scritti, due dei quali apparsi poco prima - com'è la vita! - sopra un settimanale ancillare, Piccola...». Spregiudicatamente Cesare Zavattini prende in giro se stesso per quella millantatrice convinzione di appartenere al clan degli eletti solariani, ma anche rivela di aver rifilato a Solaria due pezzi già usati sulla «rivista delle serve», la definizione è sua, il rotocalco rizzoliano Piccola, per procacciarsi il companatico. Una specie di sacrilegio, un tradimento imperdonabile, ma anche una qualche velleità di sfida al conformismo. Questo non voleva dire, comunque, che Cesare Zavattini non fosse rispettoso delle gerarchie letterarie. Eugenio Montale aveva pubblicato Ossi di seppia nel 1925 presso l'editore Gobetti di Torino, e l'aveva ripubblicato con un'aggiunta di altri versi e una prefazione del critico Alfredo Gargiulo nel 1928 presso l'editore Ribot sempre di Torino, essendo nel frattempo il povero Piero Gobetti morto nel 1926, a Parigi per complicazioni cardiache seguite ai pestaggi degli squadristi fascisti. Eugenio Montale era un faro della poesia. E, quando riuscì a passare una sera da solo con il suo idolo, Cesare Zavattini ne ce lebrò il culto con fervore. «Lo guardai e avrei voluto accorgermi dal suo corpo come gli nascevano i versi. L'egra certezza che io poeta non ero mi crebbe dal confrontare il dorso delle nostre mani, alcune rosee rughe sulle sue nocche mi apparvero diverse dalle rughe di chicchessia. Finalmente osai domandargli chi era il più grande scrittore del mondo, il più grande pittore eccetera. Dei critici nostrani definì con asprezza Borgese ed esaltò Gargiulo: puntava su alcuni giovani, in testa Ferrata e Vittorini...». Eugenio Montale era arrivato nel 1927 a Firenze da Genova dove era nato il Columbus Day, insomma, il 12 ottobre del 1896, aveva fatto per un certo periodo il segretario dell'editore Bemporad e nel 1929 aveva assunto la direzione del Gabinetto Scientifico-letterario «G. P. Vieusseux». E proprio a lui si era rivolto nel 1929 Elio Vittorini che cercava qualcosa da fare a Firenze. Gli si era rivolto perché, naturalmente, Eugenio Montale, Eusebio per gli amici, era un'autorità nel gruppo delle Giubbe Rosse e i suoi silenzi valevano come i suoi mugugni, ottenere la sua attenzione, essere giudicato bene o male da lui costituiva già un rilevante successo sociale. Ed Eugenio Montale non nascose affatto il suo interessamento alla sorte di Elio Vittorini che, per mantenere la famiglia, non se la sentiva più di tornare o non poteva più tornare a fare l'assistente ai lavori nei cantieri della Venezia Giulia o l'economo del consorzio antitiibercolare in Sicilia, né alla casa provvisoria di Gorizia né alla casa paterna di Siracusa. Insomma, cercava a tutti i costi un pretesto, un alibi per insediarsi a Firenze. Eugenio Montale non si limitò a essere vicino come la maggioranza dei solariani a Elio Vittorini quando l'articolo Scarico di coscienza provocò ai danni dell'apprendista scrittore siracusano la crociata di Giovanni Titta Rosa e di un buon numero di benpensanti, e nonché il sistematico rifiuto delle sue collaborazioni da parte di molti giornali. Eugenio Montale arrivò a ottenere per il suo protetto un incarico come correttore di bozze alla Nazione e si preoccupò della salute mentale e corporale del nuovo fiorentino d'adozione. Se lo teneva accanto per ore al Gabinetto Vieusseux, dandogli consigli, e ne seguiva con premura le precarie condizioni psicologiche e fisiche, quasi più come una madre che come un padre. A questo proposito disponiamo di una testimonianza eccezionale: Eugenio Montale: Lettere a Salvatore Quasimodo, a cura di Sebastiano Grasso, Bompiani 1981. Eccezionale perché in questa corrispondenza non è minimamente rintracciabile, e neppure prevedibile, l'odio che più tardi avrebbe diviso i due poeti, specie dopo l'assegnazione a Salvatore Quasimodo del premio Nobel. 'Allora, invece, i rapporti erano d'amicizia e di complicità, almeno per quanto riguarda l'argomento Elio Vittorini. Eugenio Montale aveva infatti conosciuto Salvatore Quasimodo perché era cognato di Elio Vittorini. Nelle sue lettere Eugenio Montale informa Salvatore Quasimodo sulle vicissitudini dell'amico che hanno in comune, che continua a dare preoccupazioni a chi gli voglia bene. Notizie allarmanti sulla salute di Elio Vittorini si alternano così a notizie catastrofiche sui suoi rapporti con il lavoro. 27 marzo 1931: «Vittorini sempre giallo. E le punture? 0 igna¬ Nella Firenze Anni 30 il poeta offrì prolezione all aspirante scrittore, si preoccupò della sua salute, gli trovò un posto di lavoro come correttore di bozze alla «Nazione», lo difese dai benpensanti I ìllorini (a (lesini) con Montale e Alessandro Bonsai ili latanepotasoqupeconvin via...». 31 marzo: «Elio Vittorini ha avuto l'influenza. Clorosi al 100 per 100. Ma irriducibile...». 17 aprile: «Elio è a spasso. Stette a casa 10 giorni senza nemmeno degnarsi di avvertire il giornale!!!!! (e si fece vedere a spasso). Ora fa il possibile per rientrare. Ahimè, ahimè. Speriamo bene...». 24 aprile: «Pare che Elio non abbia nessuna possibilità di essere riammesso alla Nazione: ha commesso, dicono, varie gaffes gravi: minacce al giornalismo locale (nel bollettino delle Federazioni), inclusione di personaggi proustiani negli interventi al Lyceum, malattia prolungata ad arte e non giustificata. Io gli ho fatto dei rimproveri abbastanza dolci per non ferirlo, ma sono inutili: non si rende conto delle cose. Ne sono, come puoi supporre, cs i d pugliattesche. Il mito del grand'uomo Pugliatti deve finire dentro la nostra amicizia... E' inutile altra soluzione. Bisogna lavorare in ogni modo perché domani si stia insieme, nella stessa città e nella stessa casa. Oppure mi viene voglia di rubare Eusebio nottetempo e costringerlo ad abitare in casa mia...». «Quasi una dichiarazione d'amore, insomma...», afferma Alba Andreini che nel nutrito studio Vittorini e Montale ha indagato le vite parallele dei due a Firenze con attenzione e comprensione (vedi numero 6 de II Belpaese, periodico di cultura e attualità, Camunia giugno 1987). «Gli interventi più importanti si collocano nel 1931, anno in cui l'amicizia tocca il diapason. Le attestazioni dello zenit riempiono la cronaca domestica, dopo che l'intesa letteraria si era consumata nei luoghi ad essa deputati e con forme persino discutibili di alleanza almeno secondo il severo punto di vista di Bonsanti, che parla di «furori» per Vittorini (in anticipo su quelli letterari alzati poi come una bandiera in Conversazione in Sicilia) e di «signorile stanchezza di condiscendente supremazia di uomo vissuto» per Montale... Nel 1932 le annotazioni sul bollettino dell'amicizia cominciano a diradarsi anche se non passa sotto silenzio l'assenza di Vittorini per il viaggio in Sardegna. Il 1933 è poi l'anno del leggendario viaggio a Milano di Vittorini, e Montale registra le implicazioni private... Il matrimonio di Elio Vittorini e Rosa Quasimodo andava a pezzi perché lui si era innamorato di Ginetta Varisco, la moglie del suo migliore amico Giansiro Ferrata. E, sin dagli inizi, Eugenio Montale si era lasciato coinvolgere a favore della donna in pericolo di perdere il marito. Una congiura, sia pure a fin di bene, a cui partecipava anche Salvatore Quasimodo. Un brutto affare come appare dalla lettera di Eugenio Montale a Salvatore Quasimodo dell'8 luglio 1932: «Abbiamo fatto leggere a Elio la tua lettera alla Mosca, pensando che fosse un'arma utile ("se non tratti bene la Delfina, facciamo leggere la lettera tua a Cirillo!!!") e di fatti è pieno di paure e di riguardi, solo vuol scriverti una letteraccia, e forse l'ha fatto. Fregatene e rispondigli per le rime! Che c'era nella tua lettera che non si fosse già detto a voce, anche presente lui?...». La Mosca era il soprannome di Drusilla Tanzi, già moglie dello studioso d'arte Matteo Marangoni, a lungo compagna della vita di Eugenio Montale che nel 1962 sarebbe diventata sua moglie. Delfina era il soprannome di Rosa Quasimodo in Vittorini. Cirillo era il soprannome di Giansiro Ferrata, che si firmava spesso Cirillo e Metodio. Alla corte di Eusebio si abbondava in soprannomi. L'anno 1933 s'inaugurò con l'apparizione nel numero febbraio-marzo di Solaria della prima puntata del primo romanzo di Elio Vittorini II garofano rosso. E il favoloso viaggio a Milano lo mise a contatto con Mondadori e una nuova visione delle cose, fu anche quello in cui Elio Vittorini cominciò a tradurre dall'inglese, pur non sapendolo ancora alla perfezione. Il 7 marzo 1933 scrisse all'amico Silvio Guarnieri: «Ho l'incarico di tradurre Lawrence per Mondadori. Vedrai che non creperò di fame nel '33...». Ad ogni modo il 9 maggio 1933 Eugenio Montale scrisse da Firenze su carta intestata del Gabinetto Vieusseux alla signora Lucia Rodocanachi residente ad Arenzano, e sua amica da sempre: «Vittorini deve consegnare fra non molto il St. Mawr di Lawrence a Mondadori con l'appendice di un'altra novella. In tutto sono 300 pagine Tauchnitz, delle quali ha fatte 150, altre 150, tutte di St. Mawr restano da farsi, e il tempo stringe. Accetterebbe di farle lei solo letteralmente, a tamburo battente?...». Ma questa è un'altra storia da raccontare. Gian Carlo Ferretti in L'editore Vittorini (Einaudi 1992) ci vede non solo la prima esperienza editoriale di Elio Vittorini, ma addirittura una sua nuova, decisiva personalità, quella, appunto, di editore. addolorato... Speriamo che trovi qualcosa; io l'ho raccomandato a S. E. Pavolini padre che qualche volta lo fa lavorare come suo segretario. E' un ragazzo di grande sensibilità; solo deve fare le ossa e imparare a vivere...». Il guaio stava nel fatto che era difficile imparare a vivere con Elio Vittorini e i suoi continui elaborati strategici e le sue continue diversioni tattiche. Quando non aveva ancora fatto ingresso stabile a Firenze Elio Vittorini aveva persino progettato di improvvisarsi ospite di Eugenio Montale nel senso improbabile di ospitante, non in quello più plausibile di ospitato. «Se trovassi un quartierino al centro», aveva scritto il 14 gennaio 1930 alla moglie ancora a Gorizia, e Rosa Quasimodo non più in Vittorini lo riferisce nelle sue memorie Tra Quasimodo e Vittorini, Lunarionuovo, Acireale 1984: «In affitto potremmo anche stare discretamente perché Ferrata e Montale che adesso spendono 15 lire al giorno per due soli pasti verrebbero a mangiare da noi per 300 lire al mese come mi hanno già proposto...». Il giorno dopo aveva, comunque, cambiato idea. «Ieri ti ho scritto che Ferrata e Montale potrebbero mangiare con noi, ma oggi non mi sembra più una cosa conveniente...», aveva scritto alla moglie il 15 gennaio... Ma con lui nulla era mai sicuro. I colpi di testa si succedevano, scompaginando la vita altrui. La testimonianza di Eugenio Montale nelle Lettere a Salvatore Quasimodo continua a illuminarci su questa amicizia difficile. 24 aprile 1931: «Elio tranquillo, cadaverico e incosciente...». 30 aprile: «Per Elio alla Nazione non c'è nulla più da fare. Ora pare che potrà scrivere parecchio sul Bargello. Ma è roba da ridere... Mah...». 18 luglio: «Presto avrai con te Elio. Mi pare sparuto. Spero che il mare gli faccia bene...». 3 settembre: «Elio? Bene, ma è "assente", "vacante" in modo fenomenale. Gioventù? Effetti della politica? Non saprei...». 15 ottobre: «Sai bene che stimo Pugliatti e che giudico molto eccessive le parole di Vittorini al suo riguardo. Non mi dissimulo però che la differenza dei due temperamenti è grande, e che difficilmente si potrebbe accordarla...». 2 novembre: «Vittorini su di me ha scritto un lungo saggio apologetico che per certi lati è interessante. Ma ha voluto prendersela con tutti (persino con Pugliatti) e io ho appena ottenuto che moderasse i termini...». Elio Vittorini era scomodo anche come ammiratore. Che un altro si azzardasse a parlare i Ossi di seppia, su Solaria, l'aveva considerata una provocazione grave, ma che poi Eugenio Montale si ritenesse soddisfatto di quella recensione, per così dire, abusiva era il colmo, e Salvatore Quasimodo si era visto recapitare in data 5 ottobre una vibrante protesta dal cognato, infuriatissimo: «Ora che ho letto l'articolo su Montale, per quanto positivissimo, mi soconvinto che Pugliatti non vale neanche il fatto di esserti amico. Eusebio è rimasto contento, e ciò non solo mi stupisce, ma mi riempie di rabbia nera... M'inimicherò Eusebio, m'inimicherò te, ma vi dirò tuttavia, ogni giorno, che Pugliatti è un marzotto più un aurelio, con temperamento di professore calvinista...». Uno sfogo di avvampante gelosia. Elio Vittorini non conosceva limiti al suo risentimento e al suo desiderio di possesso. «Né vi sarò mai amico, fratello, cognato abbastanza se voi non sarete abbastanza meno amici di lui. Sono una nuvola, una minaccia, subisserò alte case, spogli viali... Insomma, io vi amo, te ed Eusebio e non ammetto soluzioni di continuità Monta/c risto da Loredana illlillllilliiilililllli^ Oreste dei Buono