Bonelli all'attacco: «Non mi dimetto»

Il procuratore di Milano: non sono avvitato a questa sedia, se vogliono mi destituiscano Il procuratore di Milano: non sono avvitato a questa sedia, se vogliono mi destituiscano Bonelli all'attacco: «Non mi dimetto» IIpool pronto a autodenimciarsi L MILANO. Esternazione numero uno: ore 16 e 3 minuti. Borrelli parla davanti a dieci giornalisti: «Posso dire che la mia aspirazione di carriera, è noto, è quella di occupare la presidenza di una corte d'appello». Esternazione numero due: ore 16 e 27. Borrelli replica e accusa i cronisti: «Ma che cosa avete capito? Le mie aspirazioni le accantono in attesa che si definisca questa vicenda. Non mi dimetto, resto alla procura di Milano». Ventiquattro minuti, due esternazioni e una commedia degli equivoci. Si gioca in un soffio - e qualche parola di troppo - il giorno più lungo di Francesco Saverio Borrelli. Dopo l'intervista al «Corriere», gli assalti di Ferrara e del ministro Biondi, le polemiche, la lettera-esposto del governo al presidente Scalfaro e al procuratore generale presso la Cassazione Vittorio Sgroi. Anche quella di ieri giornata campale per il procuratore capo di Milano. Al mattino ci sono i giornali, le telefonate, i magistrati in processione e la visita del generale Bozzo, comandante del Terzo corpo d'armata. All'ora di pranzo le agenzie «sparano» l'annuncio dell'offensiva (legale) del governo. Alle 15 Borrelli rientra a palazzo. Sulla Croma blu blindata fa «no, no» con il dito al giornalista del «Tg 4», pronto con microfono e telecamera. Poi Borrelli ci ripensa: «Contro la lettera esposto del governo mi tutelerò nelle sedi competenti. Fi- no a ieri sera sembrava che fosse un'iniziativa solo di un componente del governo, non è così. Sono comunque sereno». Un'ora dopo scoppia «il caso B.». Borrelli fa entrare nel suo ufficio 10 giornalisti. Hanno in mano il papiro con l'iniziativa del governo, il primo vero attacco contro il capo del pool Mani pulite in quasi tre anni di inchiesta. Borrelli la butta sul ridere: «Siete venuti qui a portarmi solidarietà? Ovviamente non ho nulla da dire. Dichiarazioni non ne faccio». Non è così. Spiega il procuratore capo ad una richiesta tecnica di chiarimento: «In base all'articolo 31 del codice, Scalfaro e Sgroi hanno l'obbligo di denuncia, sono pubblici ufficiali. Certo il reato è grave, almeno 10 anni di carcere. Il che vuol dire che potrebbero darmene 24. Mi auguro di vivere altri 24 anni, fino a 89 anni». Ripete, Borrelli: «Dichiarazioni non ne faccio. La questione è stata posta su binari ufficiali. E' a quelli che mi dovrò riferire». Subito dopo smentisce la voce, una delle tante girate in queste ore, secondo cui avrebbe già presentato le dimissioni. E' il momento controverso, la commedia degli equivoci. Testuale. Risponde Borrelli: «No. Dimesso? E perché?». Anche nel caso dovesse partire l'azione disciplinare? «Certo non posso restare avvitato alla mia sedia se mi vogliono mandare via». Prima di una decisione disciplinare toglierebbe il disturbo? «Non ci penso proprio, perché dovrei lasciare la magistratura?». Ancora domande. No, non la magistratura. Si parla di questo ufficio... Replica: «A questo non rispondo. Ci sarebbe una lettura sbagliata, si potrebbe pensare che sia conseguenziale a questo episodio». Può chiarire meglio? «Posso dire che la mia aspirazione di carriera, è noto, è quella di occupare la presidenza di una corte d'appello. La mia una carriera lunga? Cinque anni e mezzo non sono pochi. E perdinci se gli ultimi due sono stati intensi». Tutti capiscono che il procuratore capo ha intenzione di andarsene dall'ufficio che ricopre. E ancora non si sa che, pochi giorni prima della bufera, Borrelli aveva avanzato una richiesta per concorrere alla presidenza della corte d'appello di Firenze. Intanto gira di mano in mano il fax con le notizie da Roma. Gerardo D'Ambrosio legge con attenzione e mormora: «Potremmo audenunciarci per solidarietà con Borrelli». Ma smentisce subito di iver detto ufficialmente quella frase, E spiega: «Perché preoccuparsi? Prendiamo atto dell'iniziativa del governo e continuiamo a lavorare. La cosa più seria, comunque, è tacere e lavorare». Altri due magistrati del pool, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo, leggono i fax e ascoltano dai giornalisti l'ultima esternazione di Borrelli. Vanno nel suo ufficio. Alle 16 e 27 esce il procuratore capo in persona. Borrelli è arrabbiato, arrabbiatissimo. Quasi urla: «Ma che cosa avete capito? Che me ne vado da Milano? Non mi dimetto. E non prendo nessuna iniziativa conseguenziale ai fatti di questi giorni». Aggiunge, con voce concitata: «Non me ne vado dalla magistratura salvo non mi destituiscano. Anzi, le mie aspirazioni le accantono in attesa si definisca questa vicenda. Quindi resto alla procura di Milano». Due minuti dopo il procuratore Borrelli è di nuovo nel suo ufficio. [f. poi.] L A destra Francesco Saverio Borrelli procuratore capo di Milano

Luoghi citati: Ferrara, Firenze, Milano, Roma