«Torino ti oma e ti racconto» di Marco NeirottiBeniamino Placido
«Torino ti omo e ti racconto» Sorprendente fioritura di autori. Grazia Cherchi: una città-laboratorio «Torino ti omo e ti racconto» In pochi anni, boom di scrittori esordienti FUCINA DI NARRATORI TORINO periferica e provinciale, Torino madre snaturata, che caccia i talenti e si piange addosso? Tutte storie. Torino riappare ridipinta e fiera, culla di scrittori «under '35»: laboratorio di creatività, da Alessandro Baricco, premiato al Campiello e al Viareggio, oggi ideatore di una scuola di scrittura, agli esordienti Dario Voltolini, Andrea Canobbio, Giuseppe Culicchia, Gabriele Romagnoli, Gian Luca Favetto. E lunedì scorso, sulle pagine culturali dell'Unità, Grazia Cherchi sottolineva questa «notevole quantità di scrittori, giovani e dotati, che la città sabauda in questi anni sta sfornando». Insomma, la Torino apparentemente votata a mortificarsi è un laboratorio di creatività, di studio, di lavoro. La Cherchi proponeva una spiegazione: quegli autori amano la loro città più di quanto si possa riscontrare altrove. Torino amata, malamata e ri- trovata. Qualche segnale viene anche dai generosi «tradimenti» di autori consolidati: Mario Baudino, poeta, trascura temporaneamente i versi per In volo per affari, romanzo sospeso fra Tangentopoli e atmosfere paranormali. Piero Bianucci, letterato in prestito alla divulgazione scientifica, riscopre Torino con Benvenuti a bordo. Autori che vanno ad aggiungersi ai nomi di Frutterò e Lucentini, Mondo, Orengo, l'«apolide» Ceronetti, Bona, Cal¬ cagno, Berbotto, Camerana, De Rienzo, Guerrieri, Soria, Mancinelli, Romano e altri ancora. Dice Grazia Cherchi: «Ci sono città ricche di vitalità, ma senza questo fenomeno. E' ima fioritura misteriosa, destinata ad aumentare. Se cerco una spiegazione, non posso trovarne altre che l'amore per la città». Forse, anche la città è cambiata. La Torino dei ruoli consolidati impara ad amare le sue promesse? «E' probabile. Però forse, più di tut- to, a Torino rimane quel vivere appartati che permette la concentrazione E' una città dura, non credo che gli autori vivano in simbiosi con essa: la utilizzano. Però trovano una Torino più disposta, sono un po' più profeti in patria, più coccolati di un tempo». E vede una Torino «studiolo», un posto appartato per lavorare. Baricco concorda: «Torino è l'ideale per lavorare. Di fronte a città caciarone, è il luogo dove si fa poco fumo, niente chiacchiere». Poche sere fa, a parlare di autori torinesi in piazza San Carlo, c'era Beniamino Placido. Anche lui è sorpreso da «questa ricchezza di autori» e dal loro amore per la città. Però non riesce a spiegarsi la proliferazione di tanti personaggi interessanti, questo loro venir fuori tutti insieme: «Non basta amare. La amano, ma sanno quanto è difficile, costrittivo, amare una città come Torino. Si è intensamente e drammaticamente torinesi: Torino è come un destino. Lei lo sa benissimo». Pavese ne fece un'amante puttana. Arpino l'amò con rabbia. Scrisse Arpino nell'80: «O malamata Torino/ che tutto hai vissuto/ che tutto hai donato/ che tutto hai ospitato./ Vederti, abbracciarti/ è calarsi/ ùi una lunga piaga/ di sospiri e di grida/ di sangue sparso/ di continua sfida». Marco Neirotti Baricco: gli altri parlano tanto noi lavoriamo I Grazia Cherchi e, da sinistra lo scrittore Alessandro Baricco e il critico Beniamino Placido
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