Gardiner con Beethoven Nove sinfonie irresistibili

Gardiner con Beethoven Nove sinfonie irresistibili r I DISCHI Gardiner con Beethoven Nove sinfonie irresistibili EETHOVEN come l'alpinismo. Se di cime da ottomila metri non ne rimangono da conquistare, sembrerebbe che scalare le monumentali sinfonie del grande tedesco possa essere un'impresa sì cospicua ma senza più segreti. C'è chi ha cercato di misurarsi con quelle celebri pagine dotando le orchestre di antichi strumenti, immedesimandosi nei suoni dei tempi di Ludwig. Si possono segnalare diversi tentativi negli Anni 80: Franz Briiggen ha fondato l'Orchestra del XVIII secolo per affrontare, oltre a Beethoven, anche Rameau, Mozart, Haydn, Schubert, Mendelssohn. Uno spirito troppo barocco, che lo ha portato a a qualche incontestabile successo e qualche ombra. Altri tentativi, quasi contemporanei, furono poi quelli dei London Classical Players di Roger Norrington e, con migliore riuscita, dell'Academy of Ancient Music di Christopher Hogwood. Nel 1992 Nikolaus Harnoncourt ha realizzato un'integrale delle sinfonie premiata generosamente dal pubblico anche se dallo stile rigido, ai confini dell'accademismo. Ora arriva - sembrerebbe un po' in ritardo commercialmente - John Eliot Gardiner e la sua Orchestra rivoluzionaria e romantica: «Nove sinfonie» (Archiv, cofanetto di 5 Cd). Una proposta nello spirito di una riscoperta. Intanto di suoni. E qui l'Orchestra, fondata nel '90 da Gardiner, ha ormai raggiunto un notevole esperienza nell'eseguire i lavori dell'Ottocento con strumenti d'epoca. L'affiatamento totale con il conduttore è talmente gioioso da essere palpabile, e i musicisti decuplicano il loro potere espressivo. Inoltre, per questa edizione è stata compiuta una ricerca sull'autenticità testuale mai condotta prima. Le partiture oggi in uso deI rivano in genere da un'edizioI ne di metà Ottocento, fonte di alcune parti sostanzialmente inesatte. Gardiner e i suoi collaboratori hanno così voluto tornare alle fonti: autografi, prime edizioni, parti manoscritte e a stampa. Il risultato di questa interpretazione è irresistibile, così ottimamente registrata, tale da rinnovare realmente la fisionomia di queste opere beethoveniane. Il finale dalla Nona diventa un nuovo pezzo in cui la musica collima con il senso del testo. Viene quasi da dire che finora si è conosciuto Beethoven come si sono descritti gli indiani nei film western. Qui si va oltre la convenzione. Il cast messo in opera si completa di altre stelle: dal soprano Luba Orgonasova al mezzosoprano Anne Sofie von Otter, dal tenore Anthony Roli'e Johnson al basso Gilles Cachemaille e al Monteverdi Choir. Le registrazioni (tranne la Seconda Sinfonia) sono poi eseguite con il sofisticato sistema 4D messo a punto dalla Deutsche Grammophon, e del quale esiste ormai un cospicuo catalogo di titoli. In argomento di sinfonie e di utilizzo di antichi strumenti, ecco una proposta non così innovativa e di raffinata ricerca come omelia di Gardiner. Si tratta della proposta di sir Neville Marriner con l'Academy of St. Martin in the fields delle «Sinfonie n. 3 "Scottish" e n.4 "Italian"» (Philips, 1 Cd) di Felix Mendelssohn. Incline agli stati lirici e ai climi amabili e brillanti, piuttosto che alla profondità e allo antitesi decisive, il compositore tedesco ci ha lasciato con queste due sinfonie altrettanti straordinari resoconti di viaggio in forma musicale. Due terre così diverse, ma che ugualmente Mendelssohn ha saputo penetrare nell'intimo per descriverle con forme cristalline e affascinanti. Marriner e l'Academy ce ne offrono una rivisitali zione corretta, sciolta, ricca di colori, ma anche un po' rigida. Chi di viaggi ne ha fatto uno solitario e personale, sia in senso artistico che produttivo, è una giovane pianista romana. Alessandra Celletti, che, dicendosi non contenta dei rapporti con le etichette discografiche, ha deciso di fare tutto in proprio. Ha registrato mi Cd con lo strumento (uno Steynway) che preferiva, si è stampato il disco e se lo promuove. Ecco, con un titolo preso da Debussy, «Les sons e les parfumes», che contiene diciassette brani dello stesso Debussy, di Ravel e Satie. Anche questo è un viaggio musicale. Scrive Alessandra Celletti nella autopresentazione: «Il fascino dell'esotico e del lontano è comune a tutti e tre gli autori che ho scelto per questa registrazione e se Ravel rimase totalmente incantato da una regione come il Marocco e dai suonatori di strani strumenti neri, Debussy e Satie furono impressionati dalle musiche orientali ascoltate all'Esposizione Universale del 1889». Un disco piacevole, ricco di sentimento e di libertà, frutto di buona tecnica, di timbri delicati, di coraggio e anche di un po' di inesperienza. Con il carattere che si ritrova sicuramente la giovane pianista saprà trarre i giusti insegnamenti da questo suo generoso tentativo in cui dimostra di amare e ben conoscere i tre autori francesi. Il disco sarà difficile da trovare fuori dai negozi di Roma Alessandro Rosa >saj

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