Savoia i padri dello sfascio?

Zagrebelsky: «La monarchia è un istituto discussione. Il convegno di Racconigi: raffica di accuse ai re d'Italia Savoia, i padri dello sfascio? «Colpa loro il disastro di oggi» RACCONIGI DAL NOSTRO INVIATO Sotto il busto a Umberto II re d'Italia, posto un anno la dai monarchici nella piazza di questa cittadina piemontese sorta attorno all'imponente Castello Reale, si legge tra l'altro: «Per restituirla libera ai suoi figli, le sorti d'Italia strenuamente difese». Ma a una conclusione opposta è giunto il convegno «Casa Savoia e l'Italia del Novecento», organizzato con il patrocinio di Regione Piemonte, Provincia di Cuneo, Istituto storico della Resistenza di Cuneo e Città di Racconigi. Due giorni di relazioni, con un folto pubblico, concluse con una tavola rotonda, ieri pomeriggio. 11 verdetto di questo processo storiografico ò che se l'Italia è un Paese con istituzioni deboli, con una democrazia inquinata, se la vita politica è di bassa qualità, se le rappresentanze parlamentari non godono credibilità, dobbiamo dire grazie anche, se non soprattutto, a Casa Savoia. Sui banchi di scuola generazioni di italiani hanno imparato che sono stati i Savoia a fare l'Italia, sebbene con la collaborazione di Cavour e Garibaldi, di Mazzini e dei Carbonari. Ma gli storici che hanno partecipato al convegno - appartenenti al mondo degli intellettuali di sinistra, chi più chi meno - hanno smontato pezzo per pezzo la mitologia sabauda e hanno dimostrato che i Savoia dopo averla fatta l'Italia l'hanno anche disfatta. Il «caporale degli zuavi» Vittorio Emanuele II ne è ancora uscito per il rotto della cuffia, ma sui suoi successori il giudizio è di boccia!'.ira. Quante volte abbiamo sentito, soprattutto a s nistra, che i buchi neri dello Stato italiano sono da imputare al ventennio fascista, quando il «re buono» era in ostaggio ai fascisti? Dal convegno si è usciti con il dubbio che le colpe storiche dei Savoia siano altrettanto pesanti di quelle del Duce. Ma quali r-olpe? In quali circostanze? «Di fronte alla modernizzazione di fine secolo - ha spiegato Marco Revelli nella relazione più dura -, la monarchia poteva scegliere fra due grandi modelli: quello autocratico prussiano o quello parlamentare inglese. Non ha scelto ne l'uno né l'altro, ma è rimasta a mezza strada, servendosi del Parlamento come scudo di fronte alla massificazione della vita politica, usandolo come arena notabilarc in cui creare un partito della corona, e scavalcandolo con calcolate iniziative extraparlamentari nei momenti critici». Bava Beccaris, la grande guerra, la marcia su Roma: in queste tre fasi che videro vacillare la corona «i Savoia finirono per appoggiarsi o alla caserma o alla piazza o allo squadrismo». A questa ambiguità dobbiamo tornare se siamo orfani di un partito della borghesia o se siamo facili alla crisi extraparlamentari, Una tesi forte? Non c'e dubbio. Un sasso scagliato nello stagno degli studi storiografici sul- la monarchia, che sono ancora piuttosto in ritardo. Il merito del convegno ò di aver aperto nuove strade. «Il fulcro complessivo delle riflessioni del convegno è sato il nesso - ha detto Giovanni De Luna, membro del comitato scientifico - fra i comportamenti della monarchia e l'anomalia italiana». Anche Silvio Lanaro ha osservato che «l'istituto monarchico ha contributo all'indebolimento dell'identità nazionale». Secondo Giorgio Rochat la monarchia sotto il fascismo ha abdicato totalmente alla sua funzione. Anche per Enzo Santarelli gli Anni Venti segnarono «la risoluzione del rapporto fra la dinastia e il popolo». Un patrimonio sprecato, se dopo il 25 luglio 1943 «un'esplosione d'entusiasmo di massa - come ha ricordato Mario Giovana - si raccolse intorno al monarca». Una polemica nella polemica ò stata aperta da Umberto Levra a conclusione della sua relazione sui rapporti ira storia dei Savoia e storia d'Italia. Da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele IV, la dinastia sabauda ha esercita lo sempre un ferreo controllo sulle calte d'archivio: «Erano stati predisposti dei filtri che impedivano a uno storico ideologicamente inaffidabile l'accesso alle carte». Come lasciò scritto un funzionario dell'Archivio di Stato con pragmatica franchezza, «non si voleva che la Casa Savoia mostrasse il c... a chicchessia». La censura è durata fino ad oggi: quando Vittorio Emanuele III si rifugiò ad Alessandria d'Egitto, si portò via sessanta casse piene di documenti. Levra ha riconosciuto a Umberto II il merito di aver disposto nel suo testamento che questi documenti venissero messi a dispusizione degli storici, «ma a dieci anni dalla sua morte sono rientrate negli archivi italiani tredici casse. Il sessanta per cento dei documenti sottratti nella vergogna fuga resta inaccessibile». Ma il convegno riguardava soltanto il passato? O non aveva anche un significato politico? Nonostante tutto il sabaudismo è rimasta una leggenda italiana, se non altro sui rotocalchi. Forse non è una coincidenza casuale se il convegno è caduto in tempi in cui si torna a invocare il ritorno dei Savoia in Italia, anche da parte di esponenti del governo. «D'altronde non mi stupisce che l'istituzione monarchica possa essere rivista con nostalgia se pensiamo al grado di degenerazione cui sono giunte le istituzioni repubblicane, con un ministro dell'Interno sospettato di collusione con un'associazione criminale - ha riconosciuto il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, nella tavola rotonda (privata della presenza di Pavone, malato, e di Tranfaglia, all'estero) -. Ma la nostalgia resta un sentimento del passato e l'istituto monarchico è irrevocabilmente superato nel nostro ordinamento. L'idea stessa che esistano ancora dei monarchi è in stridente contraddizione con le premesse della Costituzione italiana. Non a una rivitalizzazione della monarchia si deve pensare ma semmai a un suo declassamento. Come Luigi XVI che dopo l'89 divenne il cittadino Capete». Il quale fece la fine che fece. Opposizioni a questo processo ai reali? Una piccola rappresentanza monarchica ha seguito tutti i lavori. Incidenti ci sono stati a causa di una battuta ironica di Rochat a proposito del busto a Umberto II: «Perché non lo hanno chiamato anche re d'Albania, visto che lo fu?». L'intervento di risposta dei monarchici non ha brillato per finezza dialettica: «Sono cavoiate! Andate a lavorare». Nel merito storiografico si sono espressi per voce di un avvocato Guardia del Pantheon, che ha tacciato di «storici superficialissimi» Levra, Isnenghi e Lanaro e ha presentato la sua versione dei fatti, sostenendo che Garibaldi è stato «il più fedele servitore della Real Casa» e che nel 1946 il Sud ha votato monarchico per «entrare in Europa» (sic!). A differenza della matematica, la storia è un'opinione. Alberto Papuzzi Zagrebelsky: «La monarchia è un istituto irrevocabilmente superato» Rochat: «La casa regnante ha abdicato del tutto alle sue funzioni» 1 Sopra: Vittorio Emanuele stringe la mano a Mussolini nuovo presidente del Consiglio il 31 ottobre 1922 A sinistra: Marco Revelli. In alto a destra: Umberto I e, accanto, Umberto II Qui sopra: Gustavo Zagrebelsky. A destra: lo storico Giovanni De Luna 1monarchici infuriati: 1 «Storici superficiali!»