Perché chiediamo scusa al signor Green

Messina, donati gli organi del bimbo ucciso dai banditi che avevano tentato di rapinare i genitori PANEALPANE Perché chiediamo scusa al signor Green I ^Ll ON è colpa di voi JL ^ italiani», ha ripetuto macchinalmente il signor Reginald Green ai giornalisti che lo appostavano con pudore nei corridoi del Policlinico di Messina. Ma da che cosa intendeva assolverci, come etnìa e come nazione, questo educato signore inglese che abita in California e mostra un volto devastato dal dolore? In una stanza dell'ospedale era ricoverato il figlio Nicholas William, sette anni, con una pallottola nella testa. Il padre pronunciava quelle parole poche ore prima che il piccolo entrasse in coma irreversibile e lui decidesse la donazione degli organi (correggiamo subito l'orrenda espressione clinico-burocratica: decidesse che i superstiti brandelli di vita del suo bambino fossero donati ad altri, ideali compagni di gioco e di umana avventura). Non ho trovato da nessuna parte in questi giorni (sfogliando politica, economia, cultura, cronaca bianca e nera) espressioni così toccanti, così «vere» come quelle del signor Green. Quando è accaduto, stava viaggiando su una «Y-10» presa a noleggio lungo l'autostrada Salerno-Reggio Calabria: con la moglie Margaret, Nicolas e la sorellina Eleanor, di 10 anni. Presso Vibo Valentia una macchina li ha affiancati, uomini dal volto incappucciato hanno cercato di bloccarlo, lo hanno inseguito sparando. Si è fermato, dopo chilometri di deserto e di notte, vicino alle luci lampeggianti della polizia stradale, il cuore in gola per la paura e il sollievo. E' allora che ha scoperto il figlio fulminato sul sedile. Erano stati a Paestum, un richiamo irresistibile per i viaggiatori colti. I templi severi della Grecia arcaica che fissano il mare sono una splendida iniziazione per dei ragazzi, da ricordare come un sogno definitivo. Intendevano proseguire per la Sicilia: avrebbero certo visto Selinunte, Siracusa, Agrigento, Segesta, a completare un itinerario architettonico senza eguali nella stessa Grecia. Inseguivano un'idea di solarità, intrisa nelle colonne, che è insepa- I rabile da quella di civiltà. I Ma sulla loro strada sono calati gli assassini, hanno fatto esperienza di un Far West senza leggi e senza sceriffi che in America è soltanto cinema e leggenda. Il signor Green sa bene che la delinquenza non ha patria, che anche gli Stati Uniti sono flagellati dalla furia omicida. E, in un momento così duro per lui, trova il tempo di manifestare sentimenti di cortesia e di rispetto. Ma noi ci sentiamo ugualmente a disagio. Perché sappiamo quanto sia endemica la rapina su quei venti chilometri di autostrada, dove non passa giorno senza che siano aggredite le stazioni di servizio e i viaggiatori, dove vengono rubati e saccheggiati gli autotreni. L'impotenza davanti a simili forme di criminalità primaria, elementare, dovrebbe indurre le autorità a segnalare con vistosi cartelli l'«Hic sunt leones», a proclamare che là cominciano le terre selvagge in cui ciascuno procede a suo rischio e pericolo, meglio con il fucile a portata di mano e senza l'impaccio di donne e bambini. Avremmo dovuto avvisarlo, il signor Green, che i maledetti accidenti possibili in ogni parte del mondo hanno qui una straordinaria frequenza, sia pure ovattata per paura e stanchezza; ricordargli, se mai nutrisse ingenue illusioni, che non c'è alcun rapporto tra la cultura che egli ama e i suoi imbastarditi eredi. Che le mura e gli archi sono da noi, in tutti i sensi, assediati e umiliati. Per questo proviamo davanti a lui un senso acuto di vergogna. E appendiamo le sue parole, incise a sangue su un cartiglio votivo, al frontone del maggior tempio di Paestum. Grazie, signor Green, per la lezione di dignità, e civiltà. Lorenzo Mondo do |

Persone citate: Green, Green I, Lorenzo Mondo, Nicholas William, Reginald Green