I «morti viventi» del vecchio msi

I «morti viventi» del vecchio msi I «morti viventi» del vecchio msi L'ombra di Almirante sui «funerali» della Fiamma I CAMERATI E LA SVOLTA AROMA volte ritornano. Anche nel mesto congressificio in formica dell'hotel Ergife, e fanno capolino tra le colonne della sala dove Fini sbrigativamente procede allo scioglimento del vecchio partito carico di martiri, il partito della fiamma che esce dalla bara di Mussolini, il partito della vedova Almirante, che ha maledetto la svolta di An, e dì tante altre vedove e madri, come mamma Mattei, di figli uccisi nel nome del partito. Camerata... «Presente!». Era e sarà ancora? - la formula liturgica prevista ed eseguita in tanti funerali di destra. «E anche que sto è un funerale - bofonchia Teodoro Buontempo - un funerale celebrato in un clima distratto». Eppure, per forza di simboli, anche un po' tetro, sepolcrale, gravido di presenze immateriali, fantasmatiche. Così, pure senza far troppo gli spiritosi sui titoli dei film dell'orrore, davvero «a volte ritornano»: e nel msi, partito necrofilo per vocazione e tradizione, forse più che altrove. Come morti viventi, sul serio, a partire dal mitico antenato, Mussolini, la cui salma venne temerariamente trafugata, e nascosta come una reliquia dai primi seguaci, fino ai giorni nostri. E tuttavia, nonostante Alessandra abbia chiarito per tempo che «nonno sarebbe d'accordo con Fini», di un altro morto vivente soprattutto, fino a ieri garante dell'ordine rituale del partito, si avverte il potere simbolico, l'influenza ectoplasmica in quell'aula rimbombante dell'Ergife che si può osservare come la discoteca sepolcrale del msi: Aimirante. E difatti: «C'è anche lui, oggi, a far questa battaglia» s'accalora l'onorevole Franchi, che lo ebbe amico fino all'ultimo. Ma come ci sia, questa figura che s'è identificata così a lungo con il partito, con chi e contro chi, per che cosa, attraverso quali tortuosi percorsi dell'immaginario, è questione meno futile e scontata di quello che potrebbe apparire. Basti pensare che gli uomini di Fini, anche senza grande generosità nei confronti della loro stessa storia, puntano a presentare Almirante come un precorritore di An. Per cui ricordano la destra nazionale, rivendicano la Costituente di destra come la prova che, se vivo, sarebbe d'accordo. «La cosa peggiore sarebbe stata fare del msi un museo delle cere: bello, ma immobile. Il morto spiega uno dei cervelli di An, Adolfo tirso - voleva questo che sta accadendo». Vero è che Fini, nel suo intervento, Almirante non l'ha proprio nominato. Ma appena si fa notare quest'altro strappo, il portavoce missino Storace rinvia alle parole pronunciate dal padre spirituale del leader defunto, Raimondo Spiazzi: «Penso che Almirante sarebbe stato il primo ad adeguarsi alle esigenze dei tempi». Eh, magari fosse un prelato a risolvere la questione. Come sanno benissimo gli uomini della maggioranza, contro questa loro impostazione è schierata la vedova di Almirante, che con toni da tragedia greca li accusa di «sputare» sul morto: «La cosa più orribile che potevano fare. Si pentiranno e piangeranno. Mio marito, glielo assicuro - attenzione qui al tempo del verbo - si sta rivoltando nella tomba». E minaccia, donna Assunta, anche di divulgare testamenti segreti e ignominiosi, di chiamare a raccolta i fedeli, di organizzare uno scisma nero. Quel che impressio- na è che, consapevole o meno di questo suo ruolo immaginario, ma reale nei suoi effetti emotivi sulla base del msi, la vedova fini- sce per proclamarsi depositaria di una fede antica, e prima ancora reincarnazione di un morto, un Grande Morto, che invece vi- ve nel cuore dei fedeli, a garanzia di altri morti, oggi dimenticati. E sarà pure un ragionamento cervellotico, astratto e del tutto vano, questo dei morti viventi con cui Fini deve fare i conti, tuttavia a parlarne, qui all'Ergife, si raccolgono tante reazioni diverse, un caleidoscopio, ormai, di sentimenti, la prova in fondo che stanno saltando gli schemi, i moduli, i codici, i tabù. La Mussolini, per dire, non capisce: «Ma quali morti? Deve fare i conti con i vivi, Fini, e quanti ce ne sono!». E mentre il vecchio Cesco Giulio Baghino, capostipite del combattentismo, reagisce con amarezza i«A quanto pare nessuno ne parla»), a sentire parlare di morti il personaggio che più di tutti s'è impegnato sul progetto innovativo di An, l'ineffabile Tatarella, fa allegramente gli scongiuri, plateali nella loro dimensione magico-sessuale. E di fronte al necrologico, obiettivamente lugubre elenco (Mussolini, i caduti della Rsi, Michelini, Almirante, i Mattei...), risponde giusto un po' sprezzante: «Eh, allora bisogna aggiungere anche Vico e De Gaulle» e tira dritto per la sua strada. A suo modo il vicepresidente del Consiglio conferma il punto di partenza. Che i morti, cioè, sempre su un piano evidentemente simbolico, funzionano come misuratori di identità, valori, sentimenti, miti, tabù di una qualsiasi comunità. E così, An o non An, anche solo dodici mesi orsono sarebbe stato impensabile che il talento giornalistico di Pietrangelo Buttafuoco si potesse esercitare sul Secolo d'Italia in sapide interviste dall'aldilà. Interviste a morti illustri, amati, sofferti, carne della carne del msi, morti che tornano, che vivono: non solo Mussolini, perciò, ma addirittura Arturo Michelini, per giunta facendolo parlare in romanesco, senza scandali. Il che rivela, sulle modificazioni in atto in quel mondo, più novità, e sorprese, se si vuole, di tante parole negli atti ufficiali. Ed è questa del msi una condizione ideale di studio, più che per i politologi, per gli antropologi. «Perché è abbastanza chiaro: fino a un certo punto è un padre fondatore come Almirante che legittima l'identità del grappo, gli permette di pensarsi eterno rimanendo nella storia e contro un presente corrotto lo rinvia a un'origine pura» spiega Cristina Cenci, autrice di un bel saggio sul culto dei morti che tornano nella società politica italiana apparso qualche mese fa sulla rivista II corpo. La Cenci, che per sottolineare meraviglia e distacco scrive e si firma come un antropologo delle isole di Tonga, Tafua Korokoro, ha applicato alle figure di Mussolini, Sturzo, Moro e Berlinguer gli schemi delle società africane. Arrivando, con tanto di bibliografia, alla conclusione che la politica italiana è collegata ai revenants, al loro potere ectoplasmico, molto più di quel che appaia. Il caso del msi, e di Almirante in particolare, si presta ancora meglio a un'analisi del genere: «Nel momento in cui s'innesca un processo di innovazione, cioè An, il meccanismo innescato è senz'altro vitale per la salvezza del | gruppo. Però porta con sé una minaccia di morte. E allora si apre una dialettica sul morto. Chi lo vuole sepolto, chi no». Senza contare, ultimo paradosso, «che se i vivi hanno bisogno dei morti, così i morti dipendono dai vivi, rischiando sempre di trasformarsi da salvatori in vampiri». Filippo Cecca redi Storace: «Lui sarebbe stato il primo ad adeguarsi alle esigenze dei tempi nuovi» La vedova: «E' una cosa orribile In questo momento Giorgio si rivolta nella tomba» Il vicepresidente ci^i Consiglio Giuseppe Tata, ella

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