Dietrofront sulla Rai niente maxicanone di Massimo Gramellini

Letta assicura correzioni alla Finanziaria: viale Mazzini non dovrà versare al fisco 160 miliardi Letta assicura correzioni alla Finanziaria: viale Mazzini non dovrà versare al fisco 160 miliardi Dietrofront sulla Rai, niente maxicanone La Fininvest corteggia Santoro, Librano e Guglielmi ROMA. Alla fine il mistero del canone Rai si rivela un giallo mediocre: finisce con troppa confusione sull'identità effettiva dei colpevoli e con una frettolosa retromarcia del governo, sollecitata da una telefonata pomeridiana di Scalfaro a Berlusconi: per la concessione degli impianti la Rai continuerà a versare nelle finanze pubbliche 40 miliardi e non 160, come stava scritto sul testo della nuova Finanziaria che il sottosegretario Gianni Letta ha cercato ieri sera di far cambiare mentre era già in stampa. Se la modifica in corsa risulterà tecnicamente impossibile, si provvederà alla Camera con un emendamento. Letta ha ribadito l'estraneità di Berlusconi alla richiesta di aumento e augurandosi che nel testo finale della Finanziaria il «canone resti quello dell'anno scorso», ha di fatto annunciato il colpo di reni del governo. L'intervento di Scalfaro che nel pomeriggio al Quirinale aveva parlato di Rai con la presidente della Camera rivetti - ha accelerato la conclusione di una vicenda che aveva visto insorgere in coro tutti i partiti, compresi quelli di governo. Un vero papocchio, aggiustato, ma non ancora chiarito. Rimane il dubbio: malafede o dilettantismo? E' aperta la caccia all'autore dell'articolo della Finanziaria che riportava a 160 miliardi (contro 1*1,2 del- la Fininvest) il canone di concessione pagato dalla Rai. Palazzo Chigi ha indicato un responsabile: il ministro del Bilancio, Pagliarini. Il quale non si nasconde, ma chiama a correo gii altri ministri economici e i leader dei partiti di governo che adesso cadono tutti dalle nuvole. Dell'argomento si parlò nel vertice di Palazzo Chigi con Fini e Bossi. Berlusconi si era chiamato fuori: «Non chiedete il mio parere, perché potrebbe sembrare interessato». Le uniche obiezioni sarebbero arrivate da Casini del ecd: «Se fate quest'aumento, verrà fuori un putiferio». E' andata pun¬ tualmente così. Adesso strillano tutti: l'opposizione attacca Berlusconi, che Mussi paragona al «dottor Stranamore a cui scattava involontariamente la mano: a lui scatta sempre sulla Rai». Fra i governativi, i commenti più duri arrivano da Sgarbi e persino da Del Noce, i più strazianti dal sottosegretario leghista alle Poste, Marano: «Mi hanno lasciato all'oscuro di tutto», ha confessato sgomento in commissione Cultura, quando Veltroni gli ha chiesto lumi sulla vicenda, imma¬ ginando che il rappresentante del governo dovesse saperne più di lui. Da viale Mazzini, la presidente Moratti ha ricordato come l'aumento contraddice il decreto salvaRai che prevede invece un canone di quaranta miliardi. Alla fine, più che contro Berlusconi il «giallo del canone» rischia di trasformarsi in un boomerang per la solita Lega. In commissione di vigilanza, dove martedì'si gioca la partita decisiva sul futuro della Rai, fra i progressisti aumenta la diffidenza verso un alleato giudicato inaffidabile: «Se è stato Pagliarini a chiedere l'aumento del canone, allora è la conferma che i leghisti stanno con noi solo per alzare il prezzo e ottenere un tg e una rete tutte loro», accusa la socialista Manieri. Dando per scontata la bocciatura, martedì prossimo, del piano editoriale, ci si interroga sul destino del eda presieduto da Letizia Moratti. Si dimetterà subito, magari per spalancare le porte a un commissario, o si limiterà a riscrivere il piano editoriale, aggiungendovi gli elementi (e i direttori) federalisti richiesti da Bossi? Nel dubbio, che investe soprattutto Rai3 e il Tgr (i leghisti continuano a chiedere la testa di Vigorelli), Sergio Zavoli ha rinviato la firma del contratto alla settimana prossima, mentre riprendono le voci sulla diaspora della rete rossa, con Michele Santoro e Antonio Lubrano pronti a sbarcale insieme a papà Guglielmi in Fininvest per ricreare in vitro una tv d'opposizione all'interno dell'impero berlusconiano. Massimo Gramellini

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