«Faremo pulizia anche nella moda»

«Tra gli stilisti ci vorrebbe la morte con la falce...» «Faremo pulizia anche nella moda» Dolce & Gabbana: vestiremo gli italiani con la toga IL LOOK MANI PULITE TMILANO RANQUILLI come sempre. Domenico Dolce e Stefano Gabbana fanno e disfano, provano e riprovano sommersi da un mare di vestiti. Ma di quelli non si parla. Top secret fino al giorno della sfilata (domenica 2 ottobre). Jeans e maglietta, i due chiacchierano volentieri di svariati argomenti. Dall'aria che tira a Milano in questi giorni ai cambiamenti del costume. Dall'abbigliamento dei giudici alle modelle. Chez Dolce e Gabbana il ciclone Mani pulite sembra non aver portato scompiglio. Loro, dicono, le tangenti non le hanno pagate. («Eravamo piccoli, manco ce l'hanno proposto»). Quel che stupisce è sentirli parlare di voglia d'ordine. Ma come, fino ieri assecondavate l'estetica del caos? «Già, ma noi osserviamo le persone, guardiamo alla strada. E questa indicazione arriva proprio da lì. Ma attenzione, il ritorno al classico, ai canoni di una certa eleganza, non è un concetto repressivo, di tipo fascista, modello "faccetta nera". Parliamo piuttosto di efficienza, di servizi che funzionano, di civiltà. Vai in Comune o alla Posta e nessuno ti fila. Alla stazione ti prende il disgusto... Da qui nasce il bisogno di pulizia. Un'esigenza che automaticamente si riflette nell'abito: lindo, semplice, adatto a ogni momento della giornata. La moda è come una cartina di tornasole, assorbe gli umori delle persone. E noi ci limitiamo a tradurli. Non avete idea di che cosa ci chie- dono le boutique. Vogliono tailleur, foulard, abiti per andare in ufficio. Naturalmente noi li proponiamo alla nostra maniera». Sono completi simili a quelli indossati dai giudici che - come dice Sgroi - sono diventati divi intoccabili, capaci di dettare stile anche nel vestire? «No, no. Anche se il gioco di come si può cambiare il look a Di Pietro l'abbiamo fatto tutti. Ma lascia il tempo che trova, adesso è diventato un passatempo ritrito, come agghindare la Barbie. Lasciando da parte giacchette e calzini di questi signori, prendiamo invece in considerazione la toga. Quello sì che è un gran bel capo. Pensate a un cappotto del genere, in passerella sarebbe stepitoso. A noi è sempre piaciuta la toga, volevamo farcene prestare una dal nostro avvocato per copiarla, poi non è stato possibile. Adesso però non scriva che manderemo in pedana la toga... Però l'idea sarebbe carina, un bell'aggancio con l'attualità». Torniamo all'ordine, come si può fare pulizia nella moda? «Ci vorrebbe la morte con la falce. Non ci riferiamo a nessuno in particolare, ma a certe crepe del sistema. L'informazione per esempio. A che cosa serve descrivere le collezioni con sei mesi d'anticipo. Quando arrivano in negozio la gente se ne è già dimenticata. Poi c'è un'offerta esagerata, troppi marchi, troppi vestiti, un'infinità di appuntamenti, questo disorienta il consumatore. Dalla torre però non buttiamo giù i défilé. Come li presentiamo altrimenti i vestiti?». L'inchiesta sul settore dell'abbigliamento vi danneggia? «Come immagine all'estero, forse. In effetti si poteva aspettare che finisse Milano Collezioni. Ma quella che vediamo sui giornali è l'Italia di ieri, il risultato degli Alni Ottanta. Oggi è già diverso. Per esempio, scandali o non scandali, c'è da registare un fatto positivissimo, le vendite sono aumentate del 30 per cento». State diventando sempre più ricchi, che valore hanno per voi i soldi? «Non moltissimo. Per carità, ci servono per andare avanti e investire. La ricchezza, però, è soprattutto sinonimo di libertà». Per la prima volta una serie di feste raggruppa tutti gli stilisti, a quali avete accettato di partecipare? «Andremo alla cena di Voglie e da Giorgio Armani. Sì, con Armani c'è proprio un bel rapporto, lo consideriamo il grande maestro. Armani è la nostra Coca Cola, dovunque vai lo trovi. Una volta, nel deserto del Marocco, abbiamo incontrato un tizio con una sua maglietta. Ci è venuto da ridere, ma allo stesso tempo eravamo fieri. E' Giorgio la bandiera del made in Italy». E' vero che le top model hanno aumentato i cachet? «Molti di noi fanno due sfilate, quindi le indossatrici costano il 50 per cento in più. Le top vogliono dai 10 ai 15 mila dollari. Comunque sarebbe il caso di cominciare a pagarle meno. E in lire». Antonella Amapane «Tra gli stilisti ci vorrebbe la morte con la falce...» «Tra gli stilisti ci vorrebbe la morte con la falce...» affinché si adopese per far rimaneservizio a Milandottor Padalino, i\ ricato come giu1 del lavoro a MonzFabio PolGli stilisti Domenico Doe Stefano Gab Gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana

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