L'addio discreto di Sbardella

u Da Andreotti a Tangentopoli: in sei anni l'ascesa e la caduta del parlamentare democristiano L'addio discreto di Sbardella Lo «squalo» ucciso da un tumore PROTAGONISTA DEL POTERE u ROMA NA morte solitaria e discreta, com'è giusto, dopo una vita pubblica vissuta con intensa passione e frettolosa, anzi bruciante spavalderia. Una morte privatissima, d'altra parte, eppure perfino annunciata, con il tumore prima nascosto invano e poi dolorosamente rivelato da flash e telecamere in un'aula di tribunale. Per cui l'ultima immagine di quest'uomo che almeno all'esterno non ne ha mai avuto una troppo buona lo mostra pallido e giallastro, con un berretto calato sul volto ossuto. Altro che Squalo. Non aveva neanche 60 anni. Così, al di là delle frasi rituali e di circostanza, nessuna scomparsa, più di quella di Vittorio Sbardella, nessuna parabola biografica, nessun altro vuoto costringono a rivolgere un pensierino al solito - e vagamente jettatorio - vanitas vanitatum, alla più pedagogica e scontala precarietà del potere. A pensarci bene, in fondo, il suo fenomeno, politico e giornalistico, s'è consumato tra le fiamme di contraddizioni e conflitti in meno di sei anni. La velocità della combustione lascia ora sul terriccio riarso una quantità di parole e ricordi scombinati di quell'arco striminzito di tempo. Frammenti di sbardellismo da ar¬ chiviare, pacchetti di tessere con l'elastico, sigari toscani, campi da golf come complemento e risarcimento, alla fine, di una vita impostata dentro sezioni periferiche, di borgata, facce pasoliniane, calore, sudore e polvere. E poi tornei di calcetto, scuole di partito nell'ufficio di via Pompeo Magno, foto giovanili di assalti fascisti e istantanee di successo su Capital, dietro i fornelli, sorridente, perfino civettuolo nella sua bruttezza vitale, nella villa prestigiosa e pretenziosa all'Olgiata. Elegante, mai. E però essenziale. Scoperto e sfruttato, con reciproca convenienza da un giornalismo sempre più attento agli aspetti - se è consentito - antropologici di una politica sempre più arida di idee e difficile da spiegare. Lascia agli atti, in quel deserto, un linguaggio quasi fisico, immagini inconsapevolmente realistiche, comunque romanescamente primordiali. Prima fra tutte la fratta, ossia il cespuglio da cui regolarmente i nemici gli tendevano imboscate. Diceva: «Cossiga si è infremitato con Andreotti». Oppure, per celebrare il De Mita presidente del Consiglio, evento per lui lieto fino a un certo punto: «Gli abbiamo fatto il bagnetto come a un neonato». Folklore dialettale a buon mercato pure troppo. Di la- pidario, invece, resta poco, forse solo quest'assioma preso in prestito dalla saggezza proverbiale: «Tutto è possibile tranne l'uomo gravido e Scotti segretario de». Non aveva poi tutti i torti. Anche se poi, prima ancora delle dispute metafisiche del Palazzo, pensando a lui vengono in mente sigle alla rinfusa: lo Sdo, che poi sarebbe un raggruppamento di ministeri che Roma probabilmente non vedrà mai; l'Alpoca, che non era un animale andino, ma una corrente de (Alleanza popolare per il cambiamento) che non decollò mai. Dettagli apparentemente insignificanti insieme a persone, oggetti simbolici e turbinosi rovesciamenti di occasioni, bisogni, contingenze: la collezione di cavallini ereditata, come tanti legami, da Amerigo Petrucci, l'ap- partamento sospetto (un dono? un magheggio?) ai Parioli, il biondo cassiere Giò Moschetti, l'ideologo Maurizio Giraldi, un cercatore di infinito anche lui scomparso, la famigliona pervasiva con «squala» e «squaletto» alla Fiera di Roma, i preti polacchi che alla fine lo sfrattano per morosità dal mega studio di piazza Augusto Imperatore, la foto del Sabato... In molti, anche in gamba, anche puliti e smaliziati, hanno creduto a Sbardella, che nel 1987 esordì a Montecitorio con una dote di 125 mila preferenze e qualche anno dopo accusava l'America di voler destabilizzare l'Italia, si schierava coraggiosamente con il Papa contro la guerra e intanto celebrava le sue nozze d'argento invitando 600 persone in un casale riallestito per nuovi ricchi, i cavalli sullo sfondo della campagna romana e Severino Gazzelloni che suonava. Anche limitandosi agli anni di sovraesposizione, senza cioè rivangare un passato di tutt'altro che agiata infanzia sulla via Prenestina, i primi lavori che avevano a che fare con le bombole del gas, le prime esperienze politiche nel msi, le terribili ricostruzioni che si sentivano dagli avversari, ecco, fino a questa morte così simbolica Sbardella appare un personaggio tanto ricco quanto contraddittorio. Con il tempo si potrà discettare se in termini d'analisi politologica (e anche un po' moralistica) sia stato l'esponente più rappresentativo della degenerazione de, un ingenuo alfiere di un partito che ha invertito il rapporto tra fini e mezzi, un Evangelisti post-moderno o che altro. Ma con un po' di fantasia - e di generosità - fin da ora è un mistero forse pure spiegabile, il fascino di Sbardella. Una seduzione che appare tutta giocata sui contrasti, su quel suo riuscire a contenerli tutti. Conflitti sottili, sfumati, perfino rarefatti, e contrapposizioni che invece saltavano agli occhi. Ideali, per certi versi, che camminavano nascosti dietro un fisico massiccio, un volto indefinibile, l'occhio sbilenco, le manone. Sbardella, magari, come un variegato e pubblicizzatissimo repertorio di questioni irrisolte da cui - a dispetto di ogni facile valutazione - scaturiva una tensione che esercitava una sua arcana attrattiva. La politica, che amava di un amore puro, in lui non andava affatto d'accordo con il potere, che si mischiava regolarmente agli af¬ fari. Questi ultimi Sbardella li rivendicava fino ad accogliere con disinteressata superiorità definizioni tipo «capo del partito - appunto - degli affari», «della lobby del mattone», «vigile degli appalti». Prendeva i voti dei poveracci, rivendicando un popolarismo non privo di autenticità. Tuttavia gli piacevano i ricchi, e ricco, troppo, è poi voluto diventare. Allo stesso modo non era semplice incoerenza quel suo passato violento, fascista, con tanto di bomba all'ambasciata austriaca ai tempi dell'Alto Adige, combinatosi con l'approdo nel partito molle per eccellenza. I cattolici vicini a CI - al Movimento popolare, per la verità - l'avevano adottato come «pubblico peccatore» a riprova della loro fede temeraria, anticonformista, e anche un po' delle loro virtù taumaturgiche. Ma forse, non s'è mai capito bene, era lui, Sbardellone, che li aveva adottati e li proteggeva li favoriva ai limiti del codice e oltre per il bene delle «opere». Con tutto che in quell'incontro qualcosa di sincero, misterioso e difficile da spiegare in un articolo, c'era stato senz'altro. E così può proseguire a lungo, la lista di quei contrasti che rendono il personaggio così sanguigno e diverso da tante gatte morte della de: il pacifismo e l'amicizia con Salvo Lima, l'odio antico per i comunisti e quella continua mano tesa («il governissimo»), fino all'inspiegabilità del rapporto con Andreotti e quindi a quell'andreottismo tiepido con venature di superbia: «Sono io - arrivò a teorizzare dopo l'espulsione dalla corrente - che voglio sapere se Andreotti è ancora andreottiano». Una storia, tutto sommato, incerta nella sua generosità e contraddittoria nel suo risultato. Una storia, comunque. Filippo Ceccarelli A lungo aveva cercato di nascondere la malattia, svelata dai flash in tribunale ROMA. E' morto ieri a Roma l'ex parlamentare democristiano Vittorio Sbardella. Soffriva da tempo per un tumore, e negli ultimi giorni si era aggravato. Secondo quanto hanno riferito amici di famiglia, Sbardella, che aveva 59 anni, si è spento serenamente nella sua abitazione romana, assistito dalla moglie e dai due figli Pietro e Maria Antonietta. Esponente di spicco della de romana e, soprattutto, del gruppo andreottiano, Vittorio Sbardella è stato consigliere regionale laziale, assessore, dirigente del comitato regionale della de del Lazio, segretario regionale, consigliere nazionale e componente della direzione centrale del partito. Eletto deputato per la prima volta nel 1987 nel collegio Roma-Viterbo-LatinaFrosinone, fu rieletto nelle elezioni politiche dei 1992 con oltre 115 mila voti di preferenza. Non si era presentato alle ultime elezioni: gli sviluppi giudiziari di Tangentopoli, legati all'inchiesta sulla Intermetro, avevano posto fine alla sua lunga carriera politica. Una delle ultime foto di Vittorio Sbardella con il volto già segnato dalla malattia A sinistra: l'esponente de in compagnia di Giulio Andreotti

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